A.C. 2678-A
Grazie, Presidente. Colleghi, componenti del Governo, gentile relatore, gentile relatrice, discutiamo oggi sulla conversione del decreto-legge recante misure urgenti in materia economica, un provvedimento che, nelle intenzioni, dovrebbe intervenire su capitoli rilevanti della vita dei cittadini: dal rifinanziamento della società delle ferrovie, all'organizzazione dei Giochi olimpici e paralimpici invernali Milano-Cortina 2026, fino a norme sul sostegno al settore privato ucraino, agli enti locali e misure per giovani, università e digitalizzazione.
Nella realtà, però, ci troviamo ancora una volta davanti a un decreto omnibus, costruito con un mix di materie, obiettivi e voci di spesa che non sono tenuti insieme da alcun disegno coerente, da alcuna visione strategica d'insieme. È il segno di un Governo che galleggia, che vive di emergenze e che continua a produrre atti d'urgenza, pensati più per tappare falle, che per programmare il futuro del Paese.
Ed è proprio qui che emerge, cari colleghi, il nodo politico. Questo non è un Governo che fa riforme, non è un Governo riformatore. Lo abbiamo detto più volte, ma ogni provvedimento che arriva in Aula lo conferma. Non c'è una grande riforma che affronti davvero i nodi strutturali del Paese. Non c'è una riforma per il rilancio dell'istruzione, non c'è una riforma per il diritto allo studio, non c'è una strategia per colmare il divario tra Nord e Sud. Non c'è un piano industriale che accompagni le nostre imprese nelle transizioni tecnologiche e ambientali in corso.
Anche questa volta, come sta avvenendo anche al Senato con la manovra, le poche risorse disponibili vengono frantumate in una miriade di interventi disorganici, perdendo forza e capacità di incidere davvero sulla crescita e sul benessere delle italiane e degli italiani. Una strategia di lungo periodo sarebbe oggi più che mai necessaria, soprattutto alla luce dello stravolgimento commerciale e politico globale dei dazi introdotti dall'amministrazione Trump, che hanno già inciso e continueranno a incidere negativamente sugli equilibri della nostra bilancia commerciale, in un sistema produttivo nazionale già in crisi. Ed è questa assenza di visione che si riflette puntualmente nei risultati economici. La Commissione europea certifica, per il 2025, una crescita del prodotto interno lordo di appena lo 0,4 per cento; un dato che fotografa un Paese sostanzialmente fermo, che evita la recessione solo grazie agli investimenti del PNRR, voluti, negoziati e costruiti dal Governo Conte con il Commissario Gentiloni, con il Ministro Gualtieri, con David Sassoli, Presidente del Parlamento europeo.
Risorse che, se fosse dipeso da voi, che eravate all'opposizione, non sarebbero mai arrivate. Ed è un dato, quello sul PIL, che delinea un quadro ancora più preoccupante per il 2027, collocando l'Italia all'ultimo posto nell'Unione europea per crescita del PIL. In questo contesto è ancora più evidente la debolezza delle vostre proposte relativamente a giovani, università, istruzione e digitalizzazione contenute all'articolo 2 di questo decreto. Anche qui, infatti, si ripete lo stesso schema: interventi di breve respiro, frammentati, limitati a un solo esercizio finanziario.
Piccoli aggiustamenti al Fondo di garanzia per la prima casa, un modesto incremento delle borse di studio universitarie, rifinanziamenti limitati ai programmi di innovazione digitale: tutte misure che, per la loro portata e per la loro natura una tantum, finiscono per assomigliare più ad annunci che a politiche in grado di incidere davvero sui ritardi strutturali del Paese. Eppure proprio il livello di istruzione dovrebbe essere la priorità assoluta, se vogliamo riattivare un ascensore sociale che da anni è sostanzialmente bloccato. La povertà colpisce il 13 per cento delle famiglie con basso livello di istruzione, ma scende al 4,6 per cento tra quelle in cui almeno una persona è diplomata.
La dispersione scolastica è ancora vicina al 10 per cento, più della metà della popolazione adulta italiana è priva delle competenze digitali di base necessarie per esercitare pienamente i propri diritti di cittadinanza e i consumi culturali restano tra i più bassi d'Europa. Di fronte a questo scenario, Presidente, sarebbe naturale attendersi un intervento organico, un impegno strutturale, un piano pluriennale, un afflato su istruzione, università, ricerca, cultura e innovazione, e invece niente. Nel decreto non troviamo alcuna riforma incisiva né sul diritto allo studio, né sul numero dei laureati, né sulle politiche abitative volte a sostenere i giovani nella conquista della loro autonomia.
Per il famoso Piano Casa per i giovani, Presidente, più volte annunciato con grande enfasi dal Governo, per cui, come stimato dall'Osservatorio sui conti pubblici italiani, servirebbero 15 miliardi di euro, semplicemente non c'è nulla, non compare né qui, né altrove, in nessun provvedimento. Questo decreto, in sostanza, rispecchia l'approccio del Governo anche nel metodo con cui è stato costruito e discusso. Il copione è sempre lo stesso: nessun dialogo con l'opposizione e selezione unilaterale delle misure da approvare e di quelle da respingere.
In Commissione bilancio la maggioranza si è persino attribuita il diritto di stabilire da sola quali fossero gli interventi prioritari e urgenti e quali, invece, dovessero essere non ammessi alla votazione. Così troviamo misure particolari, come l'ampliamento e il rinnovo dei binari del deposito ferroviario di Dinazzano oppure i fondi per ridisegnare il nodo del trasporto ferroviario nel comune di Ferrara, ma non si trovano mai le risorse per discutere le proposte dell'opposizione, che non vengono ammesse al dibattito per mancanza di copertura.
Emblematico di questo disinteresse per le posizioni dell'opposizione è quanto avvenuto sull'articolo 3 del provvedimento, dedicato ad allineare i cronoprogrammi procedurali degli interventi ricompresi nel PNRR. È un articolo che, per l'obiettivo dichiarato, avrebbe richiesto una maggiore attenzione alle difficoltà operative dei comuni, che sono i principali soggetti attuatori di molti interventi. I comuni sono il pilastro dell'attuazione del Piano.
Ed è proprio per questo che avremmo dovuto interrogarci seriamente su quello che succederà dopo, su come si potranno continuare a garantire investimenti e risorse, e, come segnalato dall'ANCI, a proposito della proroga del Fondo, capire come evitare che vengano definanziati interventi che sono a un passo dalla conclusione. Sulla stessa Milano-Cortina si è evidenziato il vostro disinteresse per le nostre pressioni. La collega Roggiani ha segnalato una disparità grottesca: tutti i comuni coinvolti nell'organizzazione dei Giochi possono autorizzare straordinari al personale impegnato in vista dell'evento, tutti tranne Milano.
Per quale motivo il comune capoluogo, che ospita l'evento, dovrebbe essere escluso dalla facoltà minimale e di buon senso di riconoscere gli straordinari ai propri dipendenti? Su questo non c'è stata risposta, non c'è stata discussione, ma solo un invito al ritiro e poi la bocciatura o il parere contrario. È la conferma, la dimostrazione di come avete proceduto senza un confronto con i territori e con chi rappresenta l'opposizione in questo Parlamento. Una menzione particolare voglio farla sulla vicenda dell'Ospedale Carlo Forlanini di Roma.
Si prevede il trasferimento dello storico complesso allo Stato. Immaginiamo che questo sia propedeutico ad un accordo con la Santa Sede per l'utilizzo come ospedale pediatrico, come sede sostitutiva per l'Ospedale Bambino Gesù di Roma. Però - abbiamo presentato un emendamento, che non è stato preso in considerazione, e lo riproporremo in Aula e poi in un ordine del giorno - non viene introdotto un vincolo di destinazione rispetto alla destinazione sociosanitaria. Ora, a pensar male si fa peccato, ma a volte ci si indovina.
Già in passato l'amministrazione di centrodestra della regione Lazio provò lì una trasformazione di tipo residenziale, una vendita di quel patrimonio. Noi confermiamo, come Partito Democratico, che siamo d'accordo all'utilizzo del bene da parte dello Stato anche in un accordo internazionale, come proposto dalla precedente amministrazione regionale, a condizione che venga definito il vincolo di destinazione sociosanitaria (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
Il provvedimento contiene poi un importante, dal nostro punto di vista, e positivo emendamento che dispone la chiusura della gestione commissariale del debito storico di Roma Capitale accumulato fino al 2008. Non si tratta di un favore verso una parte politica o verso chi pro tempore amministra la città, ma di un atto giusto e necessario per la capitale del Paese. Dopo avere introdotto, nel dicembre 2023, il meccanismo per quantificare il debito residuo, Roma Capitale e il Governo hanno lavorato insieme per definire un percorso che garantisse la neutralità finanziaria sul lato della cassa, della chiusura della gestione commissariale, quindi.
Le risorse già disponibili erano più che sufficienti a tale chiusura, dal momento che, sin dalla gestione commissariale, lo Stato e Roma Capitale concorrono al pagamento del debito rispettivamente con 300 e 200 milioni di euro l'anno. Il comune preleva queste risorse con un'addizionale straordinaria dello 0,4 aggiuntiva a quella ordinaria dello 0,5 e una quota dell'addizionale aeroportuale. Queste risorse, dal 2009, sono regolarmente destinate alla copertura da parte di Roma dei debiti della gestione commissariale.
Per rendere possibile una chiusura immediata, occorreva definire un meccanismo di anticipazione di cassa, che consentirà, nei prossimi mesi, di aggiornare il piano di estinzione del debito e di quantificare le risorse residue, che potranno essere destinate alla riduzione delle addizionali comunali e dell'onere per le casse dello Stato. È chiaro che, se da questo percorso emergerà un avanzo, esso dovrà andare da subito a beneficio delle romane e dei romani, a partire dalla possibile riduzione dell'Irpef, che il sindaco Gualtieri ha già annunciato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
Però deve essere chiaro, Presidente: non c'è nessun regalo a Roma, i romani hanno pagato per 15 anni gli oneri della gestione commissariale con un'addizionale significativa, che ha contribuito ad indebolire il tessuto produttivo della capitale. Tante aziende hanno lasciato la città in questi 15 anni anche perché gli oneri fiscali erano maggiori che altrove.
Noi confidiamo che, con questo impegno corale del Parlamento che si completa con questo emendamento, Roma possa tornare, anche per ragioni fiscali, più attrattiva per l'attrazione di investimenti, che ovviamente non seguono solo il criterio della convenienza fiscale ma anche quello della convenienza fiscale.
Presidente, in conclusione, questo decreto conferma, nel suo insieme, tutte le criticità del metodo di fare la legislazione della maggioranza: provvedimenti disorganici, assenza di visione, scarsa attenzione agli enti locali, centralismo delle scelte e opacità nei processi decisionali. L'Italia per noi ha bisogno dell'esatto contrario, cioè di programmazione, di coerenza, di riforme, di capacità di ascolto, di investimenti mirati che sappiano dare prospettiva, di un rapporto leale e collaborativo tra Stato e autonomie locali. È in questa direzione, Presidente, che il Partito Democratico continuerà a lavorare in quest'Aula e soprattutto fuori da quest'Aula.