Discussione generale
Data: 
Lunedì, 20 Novembre, 2017
Nome: 
Titti Di Salvo

 

A.C. 4388-A e A.C. 4610

Relatrice per la maggioranza

Grazie, Presidente. Oggi discutiamo la proposta di legge Laforgia, a cui è abbinata una seconda proposta di legge, che riguarda l'articolo 18, il ripristino cioè di un articolo sui licenziamenti.

Naturalmente, per le persone qui presenti è del tutto superfluo che ricordi di che cosa si tratta, penso invece sia rilevante precisare l'oggetto, e cioè noi parliamo della reintegra dell'articolo 18 dalla legge n. 300 del 1970, più comunemente conosciuta come Statuto dei lavoratori, il quale diceva che, nel caso di licenziamento definito illegittimo dal giudice, in questi casi sarebbe stata possibile la reintegra nel posto di lavoro. È un articolo che è stato modificato nel tempo, prima dalla legge sul lavoro Fornero e successivamente dal Jobs Act.

Quindi noi parliamo di questo, la proposta di legge Laforgia e la proposta di legge Airaudo si occupano di questo punto e propongono anche altre cose, ma il centro del ragionamento è questo: il ripristino dell'articolo 18, cioè quindi della reintegra nel posto di lavoro di fronte a un licenziamento dichiarato illegittimo dal giudice, non soltanto delle imprese sopra i quindici dipendenti, ma anche nelle imprese sopra i cinque dipendenti, quindi l'estensione, diciamo così. Le due proposte di legge hanno alcune differenze, ma il cuore fondamentale è del tutto identico. La Commissione ha lavorato nel Comitato ristretto, adottando come testo base, per scelta di entrambi i presentatori, il testo Laforgia.

Ora, come prima considerazione che voglio fare, anticipo subito che la Commissione ha dato alla sottoscritta, in quanto relatrice, il mandato a riferire in senso negativo rispetto alla proposta e ha dato questo parere dopo il lavoro del Comitato ristretto, nel quale abbiamo, da un lato, esaminato l'intenzione politica dei proponenti, dall'altro, ascoltato le opinioni che si sono espresse. In particolare ritengo rilevante - perché è giusto che lo riferisca come scelta dei proponenti delle due proposte di legge - l'intenzione espressa di presentare un testo che si riferisse esplicitamente a una parte della Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori presentata dalla Cgil, su cui la Cgil raccolto più di un milione di firme. Nomino questa relazione perché è stata in modo preciso richiamata dai presentatori di entrambe le proposte di legge.

La prima considerazione che intendo fare, una volta definito di che cosa parliamo, è questa: l'articolo 18 è stato nel tempo l'architrave di un sistema di diritti, in modo più preciso l'architrave di un sistema di diritti che è l'impianto integrale dello Statuto dei lavoratori. Cioè, lo Statuto dei lavoratori della legge n. 300 del 1970 ha un cuore: il cuore è l'articolo 18, cioè la reintegra in caso di licenziamento illegittimo. Ecco, il punto è esattamente questo, e cioè chiedersi se oggi, in un mondo completamente cambiato, poi dirò meglio, vi sia la necessità di trovare un nuovo impianto, un architrave che non solo freni la precarietà, ma dia valore al lavoro e si opponga alla svalorizzazione del lavoro; ecco, la domanda è se di fronte ai cambiamenti di oggi questo architrave è ancora ciò che serve per dare valore al lavoro. Questa è la prima considerazione. La mia risposta è negativa ed è sulla base di questo ragionamento che articolerò adesso meglio che la Commissione ha votato mandato negativo alle proposte di cui dicevo prima. Perché? Intanto, quando si dice ‘sono cambiate molte cose', ‘è cambiato il mondo', sono espressioni che vengono usate nel senso comune, in questo caso si dice una cosa molto precisa perché ci si riferisce ai cambiamenti che sono intervenuti nei processi produttivi, nei processi economici, nei processi macroeconomici: cito, ma non mi soffermo, non soltanto le novità portate nella competizione internazionale dalla globalizzazione, cito, in relazione a questo e molto altro, come si forma oggi la catena del lavoro, cito l'economia digitale, le rivoluzioni determinate e il suo impatto. Ora, l'opinione che io ho è che tutti questi cambiamenti non modificano di un millimetro la necessità che ci sia una rete di diritti, perché il lavoro non è una merce, perché il valore del lavoro informa di sé un'idea, una visione di modello di sviluppo, potevamo dire con un termine antico, ma, insomma, una visione di società. Questo è il punto.

Allora, la domanda che propongo - e poi darò la mia risposta, ovviamente - è se in questo momento così epocale sia possibile e quali siano le forme e le modalità per tenere insieme la modernità, e con questa parola faccio una sintesi dei cambiamenti di scenario che ho detto prima, seppure in modo molto sintetico e sicuramente difettoso di altri punti che avrei potuto presentare nello scenario del racconto del cambiamento, ecco, come è possibile oggi, se la mia risposta è positiva e quindi la mia domanda ulteriore è come tenere insieme questa modernità, questo cambiamento di scenario inarrestabile, con la scelta che ripropongo di dare valore al lavoro, perché, come dicevo prima, il valore del lavoro, e quindi il contrasto alla sua svalorizzazione è uno dei cardini di un'idea di una visione di società, non è un dettaglio, è uno dei cardini di un'idea di società.

Allora, la mia opinione è appunto che quell'architrave che ha sorretto l'impalcatura dei diritti degli anni che abbiamo alle spalle oggi non sia più quello necessario per arrivare a quell'obiettivo, l'obiettivo cioè del valore del lavoro come cardine di una visione dei rapporti di lavoro, delle relazioni industriali, di come si creano i prodotti, di come si lavora, di come si sta all'interno delle imprese, di come si sta nei posti di lavoro che non sono più la stessa cosa, di come si fa il lavoro individuale, eccetera eccetera. Dico ancora di più, senza nessuna pretesa di aver trovato ovviamente - scusate la banalità - la soluzione al problema, perché penso che questo ha di fronte a sé una domanda talmente difficile che non richiede sicuramente ricette preconfezionate, richiede però, forse, mettersi d'accordo se la domanda è giusta o no, e poi una ricerca profonda che interroga non solo il nostro Paese ma sicuramente l'Europa. Dico l'Europa non soltanto per descrivere una dimensione che oltrepassa i confini nazionali, ma perché l'Europa sociale ha un'idea di crescita, di sviluppo coerente con le cose che dicevo prima, quindi la domanda interroga davvero le linee di una politica europea di crescita. Quindi, senza pretesa di esaurire una domanda storica di passaggio d'epoca, mi permetto di indicare alcune linee su cui costruire un nuovo architrave di un sistema di diritti, un nuovo architrave di un sistema di diritti per realizzare quell'obiettivo, il valore del lavoro, che sono sicuramente il diritto alla formazione, il diritto - se penso alla realtà che abbiamo di fronte nel nostro Paese - all'equo compenso e sicuramente il salario minimo nei settori non coperti dalla contrattazione collettiva, quindi come scelta di sostegno alla contrattazione collettiva, non di svalorizzazione. Se penso ai ragazzi della gig economy, per esempio, penso che quella scelta sarebbe molto utile, e penso ad esperienze europee analoghe.

Sono un esempio, neanche una graduatoria, una citazione di punti di nuove frontiere della precarietà che a mio avviso non sarebbero colmate e risolte né dalla riproposizione dell'articolo 18 come l'abbiamo conosciuto nella legge n. 300 né dalla sua estensione. Però questa domanda, a mio avviso, è la domanda giusta che i progressisti dovrebbero proporsi: modernità e diritti del lavoro, come si fa oggi a coniugare queste cose? Le proposte di legge, come dicevo, hanno un'opinione e la traducono in articoli e commi. Il secondo ragionamento che voglio affrontare unito al primo è questo: a me pare che questa discussione che provavo a descrivere prima sia difficile da proporre alla fine della legislatura, in ogni caso. La dimensione che ho provato a descrivere prima, è difficile proporla alla fine della legislatura, ma naturalmente, mentre affermo questa che è quasi una presa d'atto, voglio dire anche un'altra cosa, cioè che questa è una legislatura che non ha evitato di guardare in faccia le nuove frontiere della precarietà. Insomma, non credo sia utile - non è questo l'obiettivo - utilizzare il mio ruolo di relatrice in questo momento per proporvi dati sull'andamento dell'occupazione dall'inizio della legislatura ad oggi, se non per dire, riprendendo le parole del Presidente del Consiglio di qualche giorno fa, che dal 2009 al 2014 sono stati persi 1 milione di posti di lavoro, dal 2014 al 2017 ne sono stati recuperati altrettanti; se non per dire che nel 2014 l'80 per cento dei rapporti nuovi di lavoro era precario e oggi il 61 per cento dei nuovi avviamenti è a tempo indeterminato. Ma non è questo il punto. Per il tema che ho proposto io prima, non è questo il punto, perché, a chi dice “guardiamo dentro quei rapporti di lavoro”, io dico “sì, guardiamo dentro i rapporti di lavoro”.

Cioè, se proponiamo di ragionare di precarietà, allora bisogna naturalmente guardare dentro quei lavori, avendo definito quel quadro che dicevo prima. Allora, di questa legislatura voglio nominare le cose fatte contro la precarietà. Voglio nominare la legge contro il caporalato. La si nomina sempre quando si parla delle condizioni delle persone che lavorano nei campi, quando si parla di Paola Clemente e della sua morte di fatica, ma si nomina troppo poco una cosa che c'è dentro quella legge sul caporalato, cioè il reato di sfruttamento. E per la prima volta nella storia viene definito cos'è lo sfruttamento del lavoro. Naturalmente le leggi non è che di per sé risolvono, ma la scelta di definire cos'è lo sfruttamento è una scelta importante. È una legge che è stata votata con grande consenso. È una legge importante che ha fatto questa legislatura. Voglio nominare, parlando…

Voglio nominare anche la scelta del JobsAct e di privilegiare il lavoro a tempo indeterminato. Voglio nominale le nuove regole sul lavoro occasionale, che hanno definito esattamente cos'è il lavoro occasionale, impedendo l'utilizzo di voucher al posto di altri rapporti di lavoro. Voglio nominare le dimissioni in bianco. Voglio nominare la tracciabilità delle retribuzioni, che spero diventi legge anche in questa legislatura. Ma allora, detto tutto ciò, io sono molto interessata - come relatrice della Commissione ho questo mandato a dirlo - a ragionare dell'impatto del JobsAct sui licenziamenti, cioè a ragionare dell'andamento dei licenziamenti, e a intervenire su questo, che è il terzo punto che propongo come relatrice. Da un lato, il ragionamento sulla precarietà e su come si contrasta, sui nuovi problemi e sulle nuove domande, dall'altro come qui e ora si affronta questo tema, il tema dei licenziamenti.

La legge di bilancio è il luogo in cui, al di là del confronto speculativo sui grandi temi, noi possiamo ragionare positivamente su questo; altri canali non arriveranno a conclusione, quello sì. La legge di bilancio attualmente contiene l'aumento della tassa sui licenziamenti, proposta dal Governo nel testo base, lì è il luogo in cui si può andare a fondo e andare oltre, magari immaginando l'aumento dell'indennità di risarcimento prevista in luogo della reintegra, non perché risarcisce, ma perché fa costare di più i licenziamenti. Questo è il punto e questa è la proposta.