Data: 
Lunedì, 25 Febbraio, 2019
Nome: 
Filippo Sensi

A.C. 1302-A

 

Presidente, la proposta di legge in discussione interviene per modificare l'articolo 416-ter del codice penale, quello che punisce - come diceva il collega poc'anzi - lo scambio elettorale politico-mafioso: una norma molto importante, perché è finalizzata a tutelare il buon funzionamento del meccanismo democratico dalle influenze e infiltrazioni della criminalità organizzata, assai pervasiva purtroppo, capillare addirittura, in molte realtà del nostro Paese.

Il Partito Democratico è sempre stato in prima fila nella battaglia contro i poteri criminali organizzati, e anche sotto il profilo in esame, quando ne ha avuto la responsabilità, ha introdotto novità importanti e significative. La norma oggi vigente in materia è, infatti, figlia di una riformulazione introdotta nella scorsa legislatura, con la legge n. 62 del 2014, con la quale furono recepiti le indicazioni e i suggerimenti dei magistrati, delle associazioni antimafia, degli esperti, che invitavano a rendere più limpido e chiaro il testo e ad inasprire il trattamento sanzionatorio. Ricordo che il relatore della proposta di legge allora alla Camera dei deputati fu l'onorevole Stefano Mattiello del Partito Democratico, ben noto, per essere un esponente di Libera, l'associazione di don Ciotti che si batte da sempre per la legalità, per la crescita della società civile, contro ogni forma di criminalità organizzata.

Il lavoro di allora produsse una buona legge, che nel tempo, grazie anche al lavoro di affinamento nella sua interpretazione prodotto dalla giurisprudenza, ha dissipato dubbi e incertezze, consentendo di pervenire ad un assetto che a noi pare ragionevole ed equilibrato, e che tale, peraltro, è stato giudicato anche dagli esperti che sono stati ascoltati in Commissione giustizia. Va sottolineato, in particolare, che alcuni dubbi che si erano palesati in origine, in particolare per la scelta che venne fatta allora di legare la punibilità del reato al procacciamento di voti “mediante le modalità di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis”, ovvero attraverso i metodi tipici delle organizzazioni mafiose, sono stati definitivamente dissipati dalle più recenti sentenze, che hanno chiarito come tale requisito non sia strettamente necessario laddove il procacciatore di voti si sia presentato come esponente o membro di una cosca mafiosa: in tale caso infatti la modalità di procacciamento può dirsi presunta.

Questa premessa, Presidente, appare doverosa, perché l'intervento legislativo oggi all'esame dell'Aula è stato giustificato dai promotori, ma anche dalla relatrice, proprio con i dubbi anzidetti, cioè con la necessità di chiarire aspetti applicativi della fattispecie che, in realtà, sono già stati fugati.

E questa è anche la ragione di fondo per la quale il Partito Democratico ha già avuto modo di esprimere tutte le proprie perplessità sulla modifica, che anziché conseguire l'obiettivo di perseguire con efficacia reati così gravi, rischia paradossalmente di trasformarsi in una fonte di confusione, ambiguità e incertezza, tutte cose di cui francamente non si sente il bisogno nella lotta contro la criminalità organizzata. E la cosa paradossale, appunto, è che di ciò appare essersi resa conto anche la maggioranza, che, dopo aver approvato un testo al Senato che modificava profondamente la fattispecie, è poi tornata precipitosamente indietro, qui alla Camera, reintroducendo dalla finestra ciò che al Senato aveva fatto uscire dalla porta, ovvero proprio il procacciamento di voti mediante le modalità di cui all'articolo 416-bis.

Per dare un senso ad una legge che, come appare evidente da quanto detto, senso non ne ha, è rimasta, peraltro, l'introduzione nella fattispecie, in alternativa alle modalità mafiose, dell'appartenenza all'associazione mafiosa da parte del promittente i voti come requisito per l'integrazione del reato: una precisazione inutile, perché la giurisprudenza, come sopra visto, era già pervenuta al medesimo risultato. Ma forse - e c'è di più - anche rischiosa: legare ad una circostanza oggettiva la punizione di un reato di pericolo, nel quale dunque non è neppure necessario che l'accordo sia portato a consumazione, e per il quale è prevista una pena draconiana, come più oltre dirò, apre infatti interrogativi molto seri. Basti ipotizzare il caso in cui un candidato faccia un accordo per il procacciamento di voti con un soggetto che immagina capace di raccoglierli, magari perché molto conosciuto, e di cui però non abbia alcuna consapevolezza che appartiene ad una cosca: l'accordo non viene eseguito, ma il candidato viene eletto lo stesso. Si scopre poi che c'era stato un accordo iniziale, ancorché poi disatteso, e che il promittente i voti, per quanto incensurato e noto, in realtà era affiliato alla mafia: in tal caso il reato per cui dev'essere punito il candidato eletto passa da un massimo edittale di pena pari a 3 anni di reclusione – quello previsto per il voto di scambio normale senza criminalità organizzata di mezzo – a 22 anni e mezzo. Ripeto, da 3 anni a 22 anni e mezzo. Il tutto per la circostanza oggettiva, non conosciuta dal candidato, dunque non coperta dal dolo del reo, che il promittente era in realtà un mafioso: una conseguenza assurda ed irragionevole, che, come abbiamo chiesto in Commissione, ci auguriamo venga smentita e dissipata in Aula, magari anche attraverso l'approvazione di un emendamento correttivo che elimini l'inciso ambiguo dalla fattispecie e ripristini il testo così com'è oggi. Una conseguenza, peraltro, la cui irragionevolezza dipende anche da un aumento spropositato della pena per il reato, che, secondo la proposta all'esame, andrebbe punito addirittura più severamente dell'appartenenza all'associazione mafiosa.

Per tutti questi motivi, cari colleghi, continuiamo ad esprimere al dunque le nostre forti riserve e perplessità su questa iniziativa legislativa, e ci auguriamo vivamente che la maggioranza sia disponibile a migliorare il testo in Aula.