Presidente, riprendendo il discorso, il numero di parlamentari dipende dalla funzione che si dà al Parlamento, e di per sé ovviamente non è un tabù: una riduzione potrebbe anche aumentare l'efficienza dell'ordinamento a certe condizioni, come la modifica delle competenze delle Camere o la revisione del bicameralismo perfetto in un bicameralismo differenziato, come appunto dicevano poc'anzi i colleghi Ceccanti e Fornaro. Occorre quindi assicurare che la riduzione del numero dei parlamentari non costituisca una riduzione della loro rappresentatività. Ma con questa proposta di riforma costituzionale, invece, le funzioni delle Camere rimangono inalterate e si opera un taglio proporzionale lineare dei parlamentari, senza una revisione organica dell'ordinamento.
Io qui vorrei usare questi minuti per sollevare la questione dei parlamentari eletti all'estero, che questa riforma vuole ridurre da 18 a 12. Vorrei ricordare ai colleghi che i parlamentari eletti all'estero devono già rappresentare oggi molti più elettori che i loro colleghi eletti in Italia, per la precisione quattro volte di più: ogni deputato eletto all'estero rappresenta 400 mila elettori, i suoi colleghi eletti invece in Italia più o meno 100 mila. Questo fu il compromesso storico che permise l'introduzione della circoscrizione Estero con la legge n. 459 del 2001: già allora un compromesso ingiusto, in quanto non si capisce perché gli italiani all'estero debbano essere trattati come cittadini di serie B. La cittadinanza è una sola, come ricorda spesso la mia collega Angela Schirò.
Con la riforma invece questa situazione verrebbe ulteriormente peggiorata, in modo irreversibile: ogni deputato dovrà rappresentare oltre 700 mila italiani all'estero. La situazione è ancora più drammatica al Senato, dove ogni senatore dovrà rappresentare 1,4 milioni di cittadini. Voi sostenete che il taglio riguarda tutti i parlamentari in maniera indistinta: ma è proprio questo il punto, è ingiusto fare parti uguali tra disuguali. Con la riduzione degli eletti all'estero il rapporto con gli elettori scompare completamente: si creano dei collegi planetari con l'uso della preferenza; per essere eletti serviranno enormi quantità di denaro per sostenere le spese elettorali, un ostacolo alla partecipazione e quindi alla contendibilità delle cariche elette, che è un principio cardine delle democrazie liberali.
Nel caso del Senato, la riduzione da 6 a 4 senatori eletti all'estero produrrà o la necessità di accorpare le due ripartizioni meno popolose, una gigantesca che va dall'America Settentrionale fino all'Oceania e all'Australia; oppure una disproporzione ancora maggiore di quella attuale tra il numero di cittadini italiani residenti e l'entità dei senatori eletti nelle circoscrizioni in cui risiedono. Io per questo motivo chiedo alla maggioranza che venga lasciato invariato il numero di parlamentari eletti all'estero, per evitare di indebolire ulteriormente il legame tra eletti ed elettori.
Con la riforma si riduce la pattuglia parlamentare della circoscrizione Estero a una mera decorazione, che forse a questo punto diventa completamente inutile. La riforma lascia invariato il numero di senatori a vita e il numero di consiglieri regionali durante l'elezione del Presidente della Repubblica: non si capisce perché tale sensibilità non sia stata applicata anche alla circoscrizione Estero. Collegi enormi, seggi esigui, un rapporto tra eletti ed elettori inesistente, tutti ingredienti che costituiscono un ostacolo enorme all'effettiva pratica del diritto di voto per gli italiani all'estero, un principio sancito dal comma 3 dell'articolo 48 della nostra Costituzione. Le problematiche del voto all'estero vanno risolte riformando il sistema di voto, non indebolendo la rappresentanza italiana all'estero; questa riforma, invece, costituisce una vera umiliazione del loro diritto di rappresentanza. Questa è una questione antica, non è una cosa nuova, il tema della rappresentanza degli italiani all'estero, già trattata dai padri costituenti. La legge entra in vigore nel 2001, ma la prima proposta di legge fu del 1955, e già all'Assemblea costituente, nel maggio 1947, gli onorevoli Piemonte e Schiavetti proponevano che la Repubblica assicurasse ai cittadini italiani residenti all'estero la possibilità dell'espressione organica della loro volontà e della rappresentanza dei loro interessi, e così argomentavano: perché il diritto di voto possa legare veramente queste masse di italiani al nostro Paese, dovrebbe essere esercitato in forma organica, vi dovrebbero essere rappresentanti delle diverse comunità italiane.
Quindi, fin dal dibattito in Costituente, Presidente, è stato chiaro come si volesse assicurare il diritto di voto agli italiani all'estero, e la ratio appunto della legge del 2001 andava ricercata nella volontà di rendere effettivo il diritto di voto degli italiani all'estero, e si proponeva di assicurare una rappresentanza specifica, genuina, autonoma, con propri rappresentanti politici, possibilmente espressivi delle istanze e degli interessi che si manifestano nelle comunità in cui gli italiani all'estero vivono. Ma oltre a questo argomento, noi abbiamo un momento storico in cui l'emigrazione sta assumendo livelli altissimi - stiamo tornando agli anni Settanta -, siamo di fonte a una generazione esule, a una generazione, quella dei miei coetanei, con oltre 120-130 mila italiani che lasciano il Paese ogni anno, quindi il tema non è solo quello di avere un'equa rappresentanza di una sezione specifica della società italiana, ma, nello spirito dell'articolo 67 della Costituzione, ovvero di una rappresentanza generale della società dove ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione intera, è fondamentale per il Paese capire le motivazioni che spingono così tanti giovani, così tante professionalità a lasciare il Paese, al fine di capire le cause perché così tanti italiani si vedono costretti a soddisfare le proprie ambizioni o aspirazioni fuori dai confini nazionali. Insomma, in altre parole, una rappresentanza parlamentare viva ed efficace degli italiani all'estero non è solo nell'interesse di quegli italiani all'estero, ma nell'interesse del Paese intero, è una questione strategica nazionale, perché non è normale un Paese da cui si scappa, è il sintomo che qualcosa non va. E il modo migliore per concentrare l'attenzione della politica e dei legislatori sulla questione è proprio avere uno spazio parlamentare proporzionato all'entità del fenomeno. I rappresentanti degli italiani all'estero sono i canarini nella miniera di una parte dei problemi che affliggono il nostro Paese: disoccupazione giovanile, mancanza di tutele, salari greci e tasse svedesi, nepotismo, solo per citare alcuni fattori che questo Paese deve affrontare.
Data l'enorme entità e la diffusione della comunità italiana all'estero, già i padri costituenti, appunto, avevano discusso dell'opportunità di introdurre questa circoscrizione Estero, che appunto costituisce una vera innovazione a favore della mobilità dei diritti, che non vanno in vacanza e non si fermano alla frontiera, perché si fa parte della comunità dove si risiede - e per questo motivo dobbiamo introdurre al più presto lo ius culturae, per integrare il prima possibile i figli degli immigrati che nascono, studiano e lavorano nel nostro Paese, che sono a tutti gli effetti già italiani de facto - e la comunità di origine, alla quale ci si sente culturalmente legati. L'Italia è stata all'avanguardia nello strutturare la rappresentanza della propria diaspora, istituendo il Consiglio generale degli italiani all'estero, i Comitati degli italiani all'estero, i Comites, la circoscrizione Estero, e molti Paesi l'hanno imitata prendendo la stessa via. Oggi nel mondo ci sono tredici Paesi che hanno una circoscrizione Estero; in Europa sono: Francia, Portogallo, Croazia, Romania e Macedonia, e altri ne stanno discutendo l'introduzione, come la Grecia e la Germania. Sarebbe piuttosto bizzarro che proprio l'Italia, a fronte della sua grande, enorme comunità di italiani all'estero, cominci a ridurla, a comprimerla, andando all'indietro. Forse è un primo passo di questa maggioranza per poi un giorno eliminare la circoscrizione Estero: dato il peso ridotto, i cittadini si sentiranno ancora meno rappresentati e quindi traditi. Allora ditecelo, se la maggioranza ha l'intenzione di eliminare la circoscrizione Estero, se questo è il vero disegno finale dietro lo smantellamento della democrazia rappresentativa. Interrogati su questa questione, gli esponenti la maggioranza, soprattutto del MoVimento 5 Stelle e del MAIE, il Movimento Associativo Italiani all'Estero, ci dicono che con la riforma il peso relativo della rappresentanza parlamentare italiana all'estero crescerà sul totale del Parlamento, ma di un piccolo 0,1 per cento (dal 1,9 al 2 per cento), ignorando i numeri assoluti e ignorando il fatto che rimane un peso relativo tra i più bassi a livello internazionale, ben al di sotto di Francia e Croazia, dove i parlamentari all'estero costituiscono rispettivamente il 3,6 e il 3,9 per cento. I colleghi della maggioranza eletti all'estero non sentono su questo tema nessun bisogno di intervenire (non so cosa leggere nel loro silenzio assordante), e il MAIE, che non ha detto una parola durante l'intero iter parlamentare, è stato assente alle votazioni, nemmeno quando sono in gioco i diritti fondamentali degli italiani all'estero; e voi vi chiamate Movimento Associativo Italiani all'Estero: un ossimoro alquanto interessante.
Noi, cari colleghi, rappresentiamo un contributo e un legame di attaccamento alle nostre istituzioni, e di grande rigoroso impegno e fiducia nel lavoro del Parlamento per chi vive fuori della penisola. I nostri connazionali, quelli della prima emigrazione, hanno sentito sulla loro pelle la durezza dell'andare in un Paese straniero senza conoscere la lingua, le tradizioni e i costumi. Del loro Paese hanno serbato e trasmesso la memoria, hanno conquistato passo dopo passo, con fatica e sacrificio, un loro ruolo nella società che li ospitava, hanno sopportato umiliazioni, quelle che i migranti soffrono troppo spesso anche in Italia. Noi siamo qui per difendere i diritti, la giustizia e le opportunità di tutti, traendo la lezione da quelle italiane e quegli italiani fuori dal nostro Paese e che lo rappresentano quotidianamente. Questo provvedimento è, per quanto detto, assolutamente sbagliato, perché ancora oggi le nostre comunità all'estero ci chiedono coerenza, rappresentanza seria e proporzionata nel costruire spazi di convivenza, nel rafforzare la coesione e nel consentire alle minoranze culturali e religiose di esercitare, nel rispetto delle leggi, i loro diritti. Non possono esserci cittadini di serie A e di serie B a seconda di dove siano nati o approdati o obbligati ad approdare. È un impegno, certo, che non è ancora una realtà, ma è l'impegno che noi eletti all'estero del Partito Democratico ci assumiamo. Chi all'estero si è battuto per essere pienamente cittadino del Paese in cui vive, come hanno fatto i nostri connazionali, non può vedere ridotto o negato questo diritto in patria con una rappresentanza ridotta e quindi insufficiente.