A.C. 1134
Grazie, Presidente. A nome del Partito Democratico, anticipo subito che la nostra posizione sarà di astensione su questo provvedimento, perché ne condividiamo certamente l'obiettivo, lo scopo di valorizzare la protezione delle idee e dei processi generati dalle innovazioni nelle produzioni made in Italy e i vantaggi competitivi per gli autori, ciononostante, questo provvedimento non ha accolto nessuno degli emendamenti che abbiamo presentato, sia in sede senatoriale che in quella della Camera. Pertanto, il nostro sforzo di migliorare il provvedimento, sforzo che raccoglieva sia le risultanze della consultazione pubblica di 2 anni fa, che ha preceduto la stesura delle linee strategiche, sia le audizioni che sono state fatte, sia gli autorevoli contributi di membri stessi del nostro gruppo, non ci può che portare a una posizione di astensione.
In particolare, non possiamo dirci contrari a questo provvedimento, perché, oltre ad essere convinti che l'obiettivo sia lodevole, è evidentemente un testo - è stato detto anche da chi mi ha preceduto - che si ripresenta tal quale dalla legislatura precedente. Prevede semplificazione delle procedure, della tempistica, l'indirizzo verso la digitalizzazione delle procedure stesse e, abbiamo detto, questa riforma prevista all'interno della Missione 1 del PNR si accompagna anche a più investimenti ed incentivi per le imprese e gli enti di ricerca sulla proprietà industriale.
Voglio, però, rilevare che quello che il mio gruppo ha sottolineato con forza, con una serie di emendamenti, non è stato preso in considerazione, nonostante - e ve lo voglio leggere - il parere della Commissione, che andava proprio a raccogliere alcune delle proposte che noi avevamo avanzato. La VII Commissione, infatti, per quanto di competenza, ha espresso parere favorevole, ma con delle osservazioni, chiedendo di valutare l'opportunità di precisare che i contratti per attività per conto terzi siano esclusi dall'ambito di applicabilità della disciplina in esame, atteso che la proprietà intellettuale eventualmente generata nell'ambito dei contratti da ultimo richiamati deve essere in via preventiva regolata secondo intese fra le parti. Poi, invita a chiarire, al fine di non ingenerare possibili fraintendimenti in sede applicativa, che la disciplina in esame non si applichi alle invenzioni degli studenti e dei dottorandi, e qui verrò più approfonditamente.
Chiede, poi di valutare l'opportunità di novellare il comma 4 al fine di ridurre per quanto possibile il termine attualmente pari a sei mesi entro cui la struttura di appartenenza dell'inventore è tenuta a comunicare la volontà di depositare la domanda di brevetto, qualora all'invenzione effettuata da ricercatori collaborino studenti o dottorandi.
Vengo a specificare meglio quali sono stati gli emendamenti proposti dal mio gruppo, sia al Senato sia alla Camera, che riguardano innanzitutto l'articolo 1, dove si chiedeva che non costituissero oggetto di registrazione come marchio d'impresa i prodotti agroalimentari tradizionali e, poi, soprattutto, l'articolo 3; gli articoli 3, 4 e 5 sono quelli - di cui si è già parlato prima del mio intervento - che spostano dal ricercatore all'ente la proprietà. Ecco, all'interno dell'articolo 3 il mio gruppo aveva chiesto che la norma fosse estesa agli enti che afferiscono al sistema sanitario nazionale o regionale, a partire dalle aziende ospedaliere universitarie, ma l'emendamento non è stato accolto.
Sempre all'articolo 3, un altro emendamento chiedeva di distinguere nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto a favore di terzi tra i contratti di sviluppo ricerca e, appunto, i contratti per attività per conto terzi. Chiedeva, poi, che la disposizione del capoverso rubricato “Art. 65” del comma 1 prevedesse di non applicare la disposizione quando l'invenzione industriale è fatta da studenti o da ricercatori, appunto, e una tempistica di deposito dell'invenzione e dell'istruttoria dimezzata, oltre a tutta una serie di modifiche formali. Interveniva, ancora, sull'articolo 4 rispetto al contrasto alle pratiche di italian sounding: proponeva, infatti, di aggiungere che ai fini del contrasto delle condotte di cui al comma 2 della legge, l'operatore che importa, esporta, trasporta, detiene per vendere, offre o pone in vendita, distribuisce, consegna o mette altrimenti in circolazione prodotti agricoli o alimentari provenienti da un Paese diverso da quello di vendita deve riportare l'indicazione precisa e a caratteri ben chiari del Paese o del luogo di fabbricazione o di produzione o altra indicazione che valga ad evitare qualsiasi errore sull'effettiva origine dei prodotti. Per “effettiva origine” si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale. Anche questa proposta è stata bocciata.
Voglio, allora, leggere l'intervento del collega, senatore Crisanti, fatto al Senato, dove, con la sua esperienza e competenza nel campo, ci illustra alcune problematiche. Se riconosce la positività di questo provvedimento nella semplificazione normativa, nel rafforzamento della protezione dei marchi e nell'introduzione della digitalizzazione, come dicevamo prima, delle procedure, segnala però delle problematiche che riguardano, sempre come dicevamo prima, gli articoli 3, 4 e 5, in cui viene normato il trasferimento della titolarità dell'invenzione industriale dall'inventore, che è identificato come dipendente, all'istituzione, in questo caso università o enti di ricerca.
Dice il collega Crisanti: “Chiaramente noi siamo d'accordo in principio su questo concetto, perché è giusto che i risultati di una ricerca realizzata con fondi pubblici in istituti e università pubblici in qualche modo ritornino alla collettività. Tuttavia, a nostro avviso, questo disegno di legge contiene delle ambiguità; in modo particolare, non valorizza il contributo degli studenti e, cosa ancora peggiore, ne ignora le esigenze formative.
Quanto alla valorizzazione, gli studenti sono la componente più creativa, ma allo stesso tempo più vulnerabile delle nostre università e dei nostri centri di ricerca. Spessissimo hanno contribuito o contribuiscono all'invenzione industriale e figurano tra gli autori di brevetti, dando, quindi, un contributo fondamentale. Gli studenti, però, non sono dipendenti: pagano le tasse, eppure in questo provvedimento sono equiparati ai dipendenti. A nostro avviso, le disposizioni che si applicano ai dipendenti non si dovrebbero applicare gli studenti, ai quali dovrebbe rimanere la titolarità per la loro quota parte. Questo ne aumenterebbe la forza contrattuale e le opportunità una volta lasciata l'università”.
Continua il collega: “Penso che siamo tutti d'accordo sul fatto che uno studente, se ritarda la tesi o è messo nelle condizioni di non pubblicare una scoperta scientifica, ne trae un danno grave. Questa legge crea le condizioni proprio perché ciò accada. (…) Il disegno di legge concede all'università nove mesi per esercitare l'opzione per presentare la domanda di brevetto, un periodo lunghissimo per uno studente: un laureando può tranquillamente rimandare la laurea, ma un dottorando deve completare in tre anni, e nove mesi sono il 25 per cento del suo tempo. È chiaro, quindi, che il disegno di legge in esame, così com'è impostato, è in conflitto con le esigenze degli studenti”. Negli altri Paesi europei “le esigenze degli studenti prevalgono su quelle della proprietà intellettuale, per cui quello che stiamo creando è un unicum, ma non finisce qui. Infatti nel caso in cui l'università non optasse per la protezione dell'invenzione industriale, nulla è previsto per quanto riguarda i tempi che il ricercatore deve utilizzare per presentare la domanda, mettendo quindi lo studente in una situazione di completa dipendenza e incertezza. (…) L'ultimo articolo, poi, non prevede alcun finanziamento per l'attuazione di questo disegno di legge. Ebbene, se si trasferisce la titolarità, si trasferiscono anche gli oneri legati alla domanda di deposito dei brevetti. Sono state fatte tante audizioni, ma non ci è stato detto quanto costa un brevetto”. E, allora, il collega precisa che si tratta di circa 12.000 euro a brevetto, dopo tre anni, di 50.000. Si tratta di costi importantissimi che le università, allo stato attuale, evidentemente, non sono in grado di affrontare.
Il disegno di legge, poi, prevede l'istituzione di un ufficio di trasferimento tecnologico con risorse proprie. E, qui, voglio intervenire con una annotazione personale. Io ho avuto l'onore e il privilegio di istituire nella mia regione, da assessora alla ricerca, un hub per l'innovazione che sostanzialmente fa un passo ulteriore rispetto ai centri di trasferimento tecnologico delle singole istituzioni. Li accorpa in un organismo nel quale è rappresentato anche il mondo dell'industria che poi quel trasferimento tecnologico lo deve scaricare a terra e, dove, soprattutto, logiche spesso diverse di ragionamento tra il mondo della scienza e il mondo delle imprese, delle industrie, hanno bisogno di trovare luoghi di dialogo e comprensione reciproca. In chiave bidirezionale la scienza ha bisogno di sapere meglio cosa serve all'industria e l'industria stessa ha bisogno di sapere su che cosa sta lavorando e può lavorare per lei la ricerca scientifica.
Quindi, il tema qui sollevato del rafforzamento degli uffici di trasferimento tecnologico deve poi essere messo in campo con reali risorse, altrimenti questi passaggi di innovazione rischiano di non avere la giusta valorizzazione, come è già stato segnalato da molti degli auditi.
Diceva, quindi, il collega che: “un ufficio di trasferimento tecnologico è una cosa seria, ha bisogno di competenze finanziarie e tecnico-scientifiche, nonché di conoscenze del mondo finanziario e industriale”. E, quindi, conclude: “Il rischio è che questo provvedimento contenga molti aspetti velleitari”.
Concludo con le sue stesse parole: noi abbiamo tentato in qualche modo di modificare il contenuto di questo disegno di legge attraverso una serie di emendamenti che ritenevamo migliorativi, nessuno dei quali, però, è stato preso in considerazione e, pertanto, non posso che ribadire, come è stato fatto appunto al Senato, la posizione di astensione del Partito Democratico.