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Grazie, signor Presidente, per la parola. Ringrazio i colleghi e le colleghe presenti in quest'Aula. Mi lasci dire che è con grande soddisfazione, Presidente, che accolgo l'approdo in Aula di questa legge, che segna un passo avanti fondamentale, direi, nella lotta contro il gender pay gap e le discriminazioni di genere sul posto di lavoro. Con il testo di legge sulla parità salariale, infatti, si punta a istituire un meccanismo di trasparenza e di garanzia che riguarda milioni di donne, che a parità di mansioni oggi non solo vengono pagate meno, ma sono anche escluse dalle opportunità di carriera rispetto ai loro colleghi uomini, come ha detto bene la relatrice Gribaudo.
È una proposta che prevede la creazione di nuovi meccanismi di trasparenza e garanzia per le lavoratrici, attraverso l'introduzione di un rapporto sulla situazione del personale e la creazione di una certificazione della parità di genere, che premia le aziende virtuose. Infatti, investire nella crescita del lavoro femminile e impegnarsi affinché sia lavoro buono - perché oggi molte donne lavorano, ma quel lavoro è un lavoro cattivo, è un lavoro nero, è un lavoro che non dà diritti - è essenziale anche sul piano etico, perché l'occupazione restituisce dignità e non è che le donne non ne abbiano bisogno. Non è giusto e non è normale sottrarre alle donne questa opportunità, impedendo loro, peraltro, di contribuire al benessere di tutta la comunità.
Ne sono talmente convinta, Presidente, che nel 2018 ho presentato una proposta di legge, che consiste in un piano per il sostegno alla genitorialità – attenzione: genitorialità! - legata all'occupazione e all'imprenditoria femminile, che include varie misure, fra cui anche quella della parità salariale. Questa proposta di legge l'ho voluta chiamare “obiettivo 62 per cento”, a significare che si deve superare la grave situazione italiana, che vede meno della metà delle donne impegnate in attività lavorative e professionali. Con la pandemia siamo mi pare al 47 e poco più per cento di donne che lavorano. Vi rendete conto cosa significa? A fronte, appunto, del 62 per cento, che è la media europea. Mi fa piacere ricordarla oggi, anche perché decisi di costruirla con un metodo particolare, cioè quello di finalizzare il provvedimento dopo averlo sottoposto alle donne in giro per l'Italia, in forma aperta, da Trento a Palermo, donne che fanno impresa, rappresentanti sindacali, di categoria, di ordini professionali, responsabili dei centri antiviolenza, lavoratrici, disoccupate, ricercatrici e quant'altro.
Perché mi piaceva l'idea che quella legge fosse il risultato di un lavoro collegiale con il concorso delle idee e delle opinioni di chi vive ogni giorno sul campo dei problemi legati a ogni aspetto del lavoro femminile, da tradurre poi in articoli e commi.
Questa mia proposta, per la sua parte relativa alla parità salariale, era tra quelle abbinate dalle quali poi è scaturito il testo unificato che oggi è al nostro esame, che è il risultato di un lavoro paziente e determinato condotto dalla collega Chiara Gribaudo, lo voglio dire in quest'Aula, che ringrazio per la passione e per la caparbietà (Applausi). Noi sappiamo bene che per ottenere risultati a vantaggio delle donne, che poi è a vantaggio del Paese, ci vuole anche caparbietà.
Un esito importante perché la parità fra uomo e donna è una delle grandi questioni in cui l'Italia è deficitaria; ne ha parlato ieri anche il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, è stato già detto, dicendo - cito testualmente – “Dobbiamo pretendere più informazioni da parte delle aziende sul divario salariale di genere” - ed è quello che la nostra legge, di cui oggi stiamo parlando, vorrebbe fare – “Governi e imprese” - aggiunge il Presidente del Consiglio – “devono lavorare insieme per superare questa disparità”.
Si impone, Presidente, un'inversione di rotta per dare alle donne quello che è delle donne, cioè il riconoscimento della loro affermazione nelle professioni, nel mondo produttivo, della formazione e della conoscenza, che ancora non emerge, un riconoscimento che non emerge. Solo quando le donne avranno il protagonismo che meritano, insieme ad un accesso paritario al mercato del lavoro, allora, solo in quel momento, il nostro Paese potrà essere finalmente competitivo. Ricordo a quest'Aula che anche la Dichiarazione finale dei Ministri del Lavoro del G-20 ha voluto mettere al centro della riflessione e del dibattito di quest'anno l'occupazione femminile e le disparità di genere nel mercato del lavoro, che significa adoperarsi per creare più e migliori, lo ribadisco e lo sottolineo, posti di lavoro per le donne, soprattutto pagati quanto gli uomini, pagati allo stesso modo per le stesse mansioni. Questo tema sarà anche al centro, la prossima settimana dal 13 al 15 luglio, qui a Roma, del Summit conclusivo dell'Engagement group Women 20 voluto dalla Presidenza italiana del G-20. Non dimentichiamo mai, colleghi e colleghe, che abbattere i vari gap di genere non è solo a vantaggio delle donne, ma è a vantaggio di tutte e tutti noi e dell'economia dell'intero Paese. Non significa soltanto rimediare a una clamorosa e odiosa ingiustizia ai danni delle donne che rappresentano la maggioranza della popolazione - siamo il 51 per cento, non una sparuta minoranza, e dunque dobbiamo esigere, a questo punto della storia -, ma significa anche fare un passo avanti a tutta la società, consentirgli di farlo per il progresso e per una crescita che sia davvero equa e sostenibile.