Discussione generale
Data: 
Lunedì, 24 Giugno, 2024
Nome: 
Michela Di Biase

A.C. 1718

Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi e colleghe, tutte e tutti noi ricordiamo gli annunci in campagna elettorale dei principali leader della vostra maggioranza, coloro che oggi siedono tra i banchi del Governo, per una riforma strutturale della giustizia. Abbiamo capito, con amarezza, in questi mesi cosa intendevate: non l'impegno a superare i problemi strutturali di questo ambito dello Stato, come la lentezza dei processi o la carenza del personale negli uffici giudiziari, bensì una riforma frammentata, decreto dopo decreto, per evitare di affrontare la questione giustizia nel suo complesso.

Avete scelto questa strada invece di dare piena attuazione alle riforme approvate dai precedenti Governi e, ancora peggio, lo fate tagliando i finanziamenti. Infatti, nel piano pluriennale di bilancio è prevista una contrazione del 10 per cento delle risorse assegnate alla giustizia, da 11 a 10 miliardi di euro, e questo rischia di portare al collasso il sistema. Si chiama, pretenziosamente e pretestuosamente, riforma della giustizia un intervento residuale, come quello che ci troviamo a esaminare, che, in realtà, come ci avete abituato, è un intervento sulla giustizia a costo zero.

Con il cosiddetto DL Nordio ci si aspettava una riforma organica voluta dal Ministro. Il titolo evocava grandi imprese. Invece, ci si trova davanti a una serie di norme e articoli che, in realtà, si concentrano, in maniera sbagliata e talvolta populista, su poche questioni. Rispetto ai proclami roboanti di grandi riforme, vi presentate con una legge, a nostro avviso, mediocre, che, però, non per questo è meno pericolosa negli effetti che potrà produrre. Scegliere non di riformare ulteriormente ma smantellare l'abuso d'ufficio significa obiettivamente dare un messaggio che va di pari passo con l'annuncio, che lo stesso Ministro Nordio ha fatto, di voler mettere le mani sui reati della pubblica amministrazione. Incrinate il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione.

Mi prenderò tutto il tempo necessario per entrare nei dettagli del provvedimento, cercando di evidenziare quale sia stato il lavoro che, come gruppo del Partito Democratico in Commissione giustizia, abbiamo cercato di portare avanti per emendare un testo che, così come pensato dal Ministro e approvato dal Senato, riteniamo essere irricevibile, oltre che lesivo dei princìpi del nostro ordinamento giuridico. Abbiamo letto l'intervista al Ministro, i toni trionfalistici di chi afferma che, con questa nuova legge, si velocizzano i tempi della giustizia. La realtà, ahimè, è un'altra. Si tratta di un provvedimento di scarsa portata, perché non avrà alcun effetto su quei problemi di efficienza e di velocizzazione dei processi che sono forse l'aspetto da risolvere del nostro sistema e del nostro apparato. È una legge che, però, nella sua ridotta efficienza, riesce a garantire quella dose di ideologia che abbiamo visto affiorare in ogni atto di questa maggioranza. Lo fa con le modifiche alla legge sulle intercettazioni e, ancora di più, con l'abolizione del reato di abuso d'ufficio. Quest'ultimo è il punto centrale di questa legge. L'avete presentata ai cittadini ponendo l'accento su questo aspetto, come fosse una svolta storica per il nostro Paese. A nulla - a nulla - sono valsi i pareri di molti esperti, qui alla Camera o al Senato, da dove è partito l'iter di questa legge; a nulla è valsa l'opinione di giuristi e avvocati, che hanno aspramente criticato la scelta di arrivare alla totale abolizione del reato di abuso d'ufficio.

È una decisione grave e profondamente sbagliata, perché l'abuso d'ufficio, come è stato detto e ricordato nelle Commissioni, è una norma essenziale per la punibilità dei reati contro la pubblica amministrazione, senza la quale si rischiano grandi buchi di tutela dei cittadini nei confronti degli abusi della pubblica amministrazione. Questa norma non si rivolge solo ai sindaci, ma l'avete raccontata al Paese come la legge che libererà i sindaci dalla paura della firma. In realtà, è una norma che colpisce gli abusi di potere di tutti gli appartenenti alla pubblica amministrazione. Non possiamo far finta di non sapere che la maggior parte delle sentenze definitive di condanna per abuso d'ufficio non riguardano i sindaci, ma altri esponenti della pubblica amministrazione, in particolare quelli che ricoprono incarichi con discrezionalità tecnica, dipendenti o consulenti esterni di aziende pubbliche o di enti territoriali, direttori di carcere, presidi, professori, ricercatori universitari, medici, direttori di strutture sanitarie o altri esercenti professioni sanitarie.

Ma veniamo alle questioni che riguardano i primi cittadini del Paese. Intanto, rigettiamo, con forza, al mittente l'idea che ci sia un partito che li vuole difendere e altri partiti che li vogliono vedere sotto attacco della magistratura e dell'opinione pubblica. Noi conosciamo bene, molto bene, i problemi dei sindaci, perché, molto semplicemente, riconosciamo e condividiamo le preoccupazioni che hanno sempre espresso in merito al rischio di essere indagati per reati che poi si rivelavano infondati. Conosciamo bene queste preoccupazioni e le condividiamo, perché sappiamo bene che l'amministratore pubblico è soggetto al controllo della pubblica opinione e la reputazione per un amministratore pubblico è il bene più prezioso. È quella reputazione che, se incrinata, mette in discussione il capitale politico che avevano accumulato con il buon governo dei loro territori, anche a fronte di una sentenza di assoluzione. Eppure, signor Presidente, anche a fronte di questa consapevolezza, riteniamo profondamente sbagliato procedere con l'abolizione totale di questa fattispecie di reato.

La cancellazione non risolve la questione, sia dal lato della tutela degli amministratori, sia rispetto al contrasto alla corruzione. Per i sindaci i problemi sono legati al sistema generale della responsabilità e il nodo principale, semmai, riguarda il testo unico degli enti locali per evitare che i sindaci rispondano di tutto quello che accade. Su questo chiedo ai rappresentanti del Governo, per suo tramite: dov'è finita la riforma del testo unico degli enti locali?

Non ci si può ergere a campioni e difensori del dovere di assicurare condizioni di lavoro tranquille e poi, a più di un anno e mezzo dall'insediamento del Governo, tenere ancora chiusa in un cassetto la riforma del TUEL e, soprattutto, quella sua parte che, distinguendo meglio tra responsabilità amministrativa e responsabilità politica, potrebbe davvero - quella sì! - portare a un risultato che liberi gli amministratori locali dal terrore della firma e dall'effetto paralizzante di essere considerati responsabili oggettivi di qualsiasi cosa di negativo accada nei loro territori.

Analogamente, bisogna rivedere alcune norme della cosiddetta legge Severino ed escludere la responsabilità erariale dei primi cittadini, se non per dolo. Sono tutti aspetti che, come Partito Democratico, avevamo sottoposto alla maggioranza con una serie di emendamenti, che sono stati respinti senza nemmeno darci la possibilità di un confronto reale. Il Partito Democratico ha avuto sempre molta attenzione su questo tema, proprio a partire da quelle preoccupazioni degli amministratori di cui ci siamo fatti carico.

Infatti, e giova in questa sede ricordarlo, già nel 2020 - come è stato già ribadito - a più riprese è stata ridotta la portata della fattispecie, con una giurisprudenza assolutamente maggioritaria e costante che ne dà riscontro in questi anni. Si poteva migliorare ancora? I nostri emendamenti provavano a farlo, ma sono stati respinti senza neanche essere presi in esame.

Non è accettabile continuare ad ascoltare un dibattito in cui si evidenzia che la norma dell'abuso d'ufficio produce una serie di guasti che non si è mai riusciti a sanare. Infatti, da quando abbiamo cambiato, nel 2020, quella norma, il numero di indagini e poi di archiviazioni e di condanne si è sensibilmente abbassato, dimostrando con estrema chiarezza che il tentativo, che è stato fatto, di circoscrivere l'applicabilità e la portata di quella norma, ha funzionato.

La norma, come si presenta oggi, funziona. E quindi, oggi, l'idea di intervenire nuovamente con questa scelta così estrema di abrogare il reato di abuso d'ufficio, senza neanche fare una verifica e chiedersi se la modifica del 2020 abbia avuto un impatto sull'ordinamento, è un modo di legiferare irresponsabile e, come già ribadito sopra, semplicemente ideologico.

Noi, con serietà e con responsabilità, abbiamo sempre cercato di ascoltare gli amministratori, partendo dai problemi reali e senza inseguire gli slogan. Come ha giustamente ricordato Anna Rossomando nella discussione al Senato, giacciono dalla scorsa legislatura, ripresentate in questa, due proposte di legge sulle altre ben più preoccupanti responsabilità per gli amministratori, cioè i reati omissivi impropri, il danno erariale e, ancora, la modifica di quella parte della legge Severino che ho citato in premessa.

La cancellazione tout court del reato rischia, invece, di ingenerare un vuoto in un Paese che è appena quarantunesimo nel mondo nella classifica della corruzione, con il rischio di presentarsi, anche a livello internazionale, con grande imbarazzo per il contrasto con la Convenzione di Merida, in violazione delle direttive europee. Anche sulla pubblicazione delle intercettazioni la sensazione è quella di assistere a un dibattito vecchio e strumentale, che in gran parte è stato superato con la cosiddetta riforma Orlando del 2017.

Con quella riforma, insieme a quelle successive del Governo “Conte 2”, si è riusciti a costruire un meccanismo che ha evitato quantomeno gli abusi più gravi, e questo grazie alla creazione di un archivio riservato, nel quale vengono custodite tutte le intercettazioni. Voglio soffermarmi su questi punti perché rappresentano il cuore delle contestazioni a questo disegno di legge.

Illustri avvocati e giuristi hanno sottolineato che abrogare l'abuso d'ufficio rappresenta un errore gravissimo, anche guardando alla questione con un approccio garantista, perché a quel punto i magistrati indagheranno per reati più gravi. Ma se, invece, guardiamo al complesso delle norme sulla pubblica amministrazione, emerge con chiarezza che l'abolizione totale del reato rappresenta un grave vulnus per il nostro ordinamento.

Sarà utile tornare alle parole del procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, che ha ben spiegato che l'abuso d'ufficio non è un reato spia, è un grave delitto e basta, che ha una frequente connessione con l'agire delle associazioni mafiose. Basta pensare alla descrizione delle condotte associative fatte dall'articolo 416-bis del codice penale, per rendersi conto dell'interesse delle mafie a ottenere concessioni e autorizzazioni o, comunque, a condizionare la pubblica amministrazione. O ancora, come ci ricorda il presidente dell'Autorità anticorruzione, Giuseppe Busia, che ha sottolineato il vulnus normativo che rischia di generarsi con questa modifica normativa, in casi di violazione di legge e favoritismi in cui non vi è scambio di denaro, si creerebbero dei vuoti, ha spiegato Busia. È una certezza che il reato d'abuso d'ufficio rappresenti un tassello fondamentale dentro il sistema di norme contro i reati nella pubblica amministrazione e la sua abolizione rischia effetti gravissimi.

Signor Presidente, è necessario ribadire come il DDL Nordio apra irresponsabilmente un conflitto tra il nostro Paese e le istituzioni comunitarie e internazionali. È necessario ribadirlo e inquadrare con precisione la questione. “Ciascuno Stato parte esamina l'adozione delle misure legislative e delle altre misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale, quando l'atto è stato commesso intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell'esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi, al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un'altra persona o entità”: questo è l'articolo 19 della Convenzione di Merida, caposaldo per la lotta alla corruzione, una Convenzione adottata nel 2003 e ratificata dal nostro Paese nel 2009.

Inutile girarci intorno, il disegno di legge che oggi ci proponete è in aperto contrasto con questa Convenzione, con i suoi princìpi e con le sue disposizioni. È stato eccepito che, in realtà, tale Convenzione suggerisce - non impone! - agli Stati di prevedere il conflitto di interessi. Spiace constatare che l'azione del Governo italiano, invece di concentrarsi sul rafforzamento delle norme di contrasto alla corruzione, sia stata tutta dedicata a convincere, anche in sede europea, sulla necessità di rendere facoltativa e non obbligatoria l'introduzione di norme sull'abuso d'ufficio. È l'esito del Consiglio giustizia-affari interni del 14 giugno scorso, di cui ha dato notizia lo stesso Ministro Nordio in queste ore.

Ma qui voglio aggiungere - ribadendo quanto sottolineato con precisione dal collega Bazoli durante il dibattito in Senato - che, comunque, con l'abrogazione dell'abuso d'ufficio, noi siamo già in contrasto con la normativa europea, quantomeno sotto il profilo del fatto che viene eliminato anche il peculato per distrazione internazionale, che, invece, è obbligatorio secondo le convenzioni internazionali. E questo ci mette in diretto contrasto con le convenzioni europee, per cui rischiamo da subito di essere in contrasto e in violazione proprio con le normative europee.

Oggi discutiamo un insieme di norme ispirate da un certo populismo, che rappresenta, a mio avviso, la cifra di questo Governo, come già visto durante la discussione di altre proposte di legge.

Non c'è altro modo per definire le modifiche che introduce sull'uso delle intercettazioni.

Concordiamo sulla regolamentazione molto rigorosa dei colloqui tra imputati e difensori, perché ovviamente il diritto alla difesa è sacro, ma, d'altra parte, contestiamo il rischio che si sottragga senza limiti ai cittadini il diritto all'informazione rispetto ai comportamenti di chi ricopre incarichi pubblici; così, come contestiamo la campagna sui costi della macchina giudiziaria che ricorda altre campagne populiste che nel colpire la politica hanno colpito il funzionamento della democrazia.

Con l'idea del budget, l'Esecutivo non solo interferisce con l'azione giudiziaria, ma dice anche che i principi assoluti e basilari di uno Stato moderno possono essere subordinati a condizioni di ordine economico. Si tratta di un messaggio che colpisce alle fondamenta il patto sociale e neutralizza la funzione riparatrice della giustizia.

Signor Presidente, prima di concludere, passerò a un'altra questione che viene introdotta con le modifiche presenti nel testo del provvedimento, ovvero al ridimensionamento del reato di traffico di influenze illecite. Il reato di traffico di influenze è stato introdotto nel nostro ordinamento per combattere la corruzione; è il reato che colpisce i cosiddetti faccendieri, i mediatori tra il privato e il pubblico ufficiale, che molto spesso sono alla base degli episodi di corruzione. Colpendo i mediatori, si anticipa la lotta alla corruzione, perché si colpisce il soggetto che porta il privato a diretto contatto con il pubblico ufficiale per costruire il patto corruttivo. È una norma di fondamentale importanza per la lotta alla corruzione e per questo motivo richiederebbe una grande attenzione nel proporre modifiche.

Il testo che oggi ci proponete contiene, invece, gravi errori che non possiamo tacere. Il primo riguarda il fatto che avete tolto dalle fattispecie del traffico di influenze la possibilità che il mediatore venga ricompensato con utilità di qualunque genere. Avete previsto solo l'utilità economica, disallineando così la fattispecie di traffico di influenze dalla fattispecie di corruzione, in cui, invece, qualunque utilità è oggetto del patto corruttivo. Ma c'è un errore più grave: l'aver tolto dalla fattispecie la possibilità che il mediatore, il faccendiere, commetta un reato quando si tratta di abuso d'ufficio, proprio perché questo non è più reato.

Ecco che emerge con chiarezza il vulnus prodotto dal vostro disegno di legge che rischia di compromettere il sistema di norme contro la corruzione nella pubblica amministrazione.

Arrivo a concludere, non senza sottolineare che il complesso delle altre norme che vengono introdotte con questo disegno di legge, e penso in particolare alle modifiche sui collegi giudicanti, rappresenta l'immagine chiara di quell'ideologismo che caratterizza il vostro approccio sui temi della giustizia. Avete previsto che le misure cautelari, in particolare la misura della custodia cautelare possa essere emessa soltanto da un collegio. Bene, è una decisione condivisibile che però stride con l'assenza delle risorse necessarie a dare attuazione a una misura di questa portata. Aumentare i collegi giudicanti in un panorama come quello del nostro Paese, in cui mancano i giudici, rappresenta un proclama vuoto, tanto che prevedete un arco di due anni per dare attuazione a queste norme, ma siamo pronti a scommettere che tra due anni saremo sempre fermi allo stesso punto di partenza.

Il Ministro Carlo Nordio, prima di diventare Ministro, aveva detto che l'errore della destra è di pensare di garantire la sicurezza attraverso l'inasprimento delle pene, la creazione di nuovi reati e, magari, con un sistema carcerario come quello che abbiamo, che - parole del Ministro, ci tengo a sottolinearlo - è criminogeno. Avevamo pensato che fosse un'idea complessiva di giustizia; evidentemente, invece, quelle parole valevano solo per l'abuso d'ufficio.

Così come è evidente, dopo aver visto l'azione di questi 18 mesi, che il Ministro Nordio non la pensi come il giurista Nordio: arrivato al Governo, ha dato il via libera a un panpenalismo mai visto nel nostro Paese, con l'introduzione a raffica di nuove norme, l'inasprimento delle pene e il totale disinteresse verso la condizione drammatica delle carceri italiane. È per questo populismo, che ispira anche questo provvedimento in discussione, che ribadiamo la nostra ferma contrarietà a questo disegno di legge.