Data: 
Mercoledì, 27 Marzo, 2019
Nome: 
Michele Bordo

A.C. 1455-A

Signora Presidente, colleghi, purtroppo anche questo provvedimento è un'occasione persa per il Parlamento: avremmo potuto e voluto - noi lo auspicavamo - lavorare su un testo condiviso da tutti, e magari, anche per questa ragione, più incisivo, la maggioranza ha scelto invece di procedere ancora una volta in solitudine e senza nessuna apertura sostanziale nei confronti delle tante proposte avanzate dalle opposizioni e anche dal Partito Democratico. Questo non è un fatto positivo. Il Governo, poi, come è stato già detto, è entrato a gamba tesa nel dibattito su questo tema drammatico della violenza di genere, di fatto commissariando la maggioranza e la stessa relatrice. Ma c'è una questione più politica, secondo noi, che merita di essere sottolineata in relazione al metodo usato per la discussione di questa legge: la violenza di genere non doveva essere materia da trattare come bandiera e su cui provare a lucrare un po' di consenso elettorale. Lo potete fare su altro, e lo state facendo già diffusamente, ma su questo tema avreste dovuto evitarlo, sarebbe stato più giusto, innanzitutto nei confronti delle donne e delle vittime di violenza. Ci sono temi - e questo è uno di quelli - sui quali sarebbe più utile non avere una visione di parte, ma collegiale e condivisa, per questa ragione avevamo proposto in Commissione un comitato ristretto per giungere ad un testo concordato, e l'avete invece rifiutato. In passato su questi temi noi abbiamo agito in maniera diversa da come avete fatto voi in questa circostanza: siamo stati aperti alla collaborazione, al contributo delle opposizioni, e abbiamo fatto bene, perché con il contributo di tutti abbiamo fatto leggi migliori e più efficaci. Nella scorsa legislatura, tra i primi atti, ci fu la ratifica della Convenzione di Istanbul, poi la legge sul femminicidio, l'irrevocabilità della querela per le situazioni particolarmente gravi di stalking, solo per citare alcune delle norme approvate. Su questi temi noi abbiamo sempre lavorato avendo in mente tre obiettivi: prevenire i reati, punire i colpevoli e proteggere le vittime. Siamo intervenuti sul codice penale e di procedura penale per inasprire le pene di alcuni reati, abbiamo emanato un piano di azione straordinario contro la violenza di genere e previsto importanti stanziamenti per supportare le vittime. Questo lavoro dimostra che nell'azione di contrasto alla violenza sulle donne non c'è e non ci sarà mai nessuna preclusione o opposizione preconcetta da parte nostra.

Ma questa pur necessaria considerazione, tuttavia, non cancella alcuni nostri dubbi sulle criticità che questa proposta il Governo presenta. Emerse, tra l'altro, molto chiaramente, nella discussione in Commissione e negli interventi svolti in audizione, da parte di magistrati e operatori impegnati a tutela delle donne e delle vittime di violenza. Pensiamo, ad esempio, che sia sbagliato prevedere l'obbligo per il pubblico ministero di assumere, entro tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato, informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti. Questo obbligo, come hanno sostenuto nel corso delle audizioni alcuni magistrati specializzati in questo tipo di indagini, rischia di essere inutile, difficilmente applicabile e in qualche caso, addirittura, potenzialmente dannoso. La vittima, con questa norma, sarà costretta a parlare non solo all'atto della denuncia, ma, poi, dopo tre giorni, davanti al PM, ripercorrendo a distanza di così breve tempo tutte le sofferenze subite.

Francamente non si comprendono le ragioni di questa scelta. Se si vogliono assicurare una corsia preferenziale e maggiore rapidità alle indagini su questo tipo di reato, questa non mi sembra la strada più giusta; anzi, il rischio è che con questa scelta si possano persino ritardare od ostacolare alcuni interventi che potrebbero invece rendersi necessari immediatamente per contrastare questi reati e tutelare, innanzitutto, la vita.

Un obbligo così generalizzato e in tempi così stretti, poi, rischierebbe di paralizzare gli uffici delle procure; specialmente nelle procure più grandi quest'obbligo rischia di impedire ai magistrati di seguire altre indagini per altri reati pur importanti e sappiamo che questo non è possibile. Prendiamo, ad esempio, per dare un'idea di che cosa avverrebbe, i dati relativi ai reati per i quali è previsto, con questa legge, l'obbligo per il PM di assumere informazioni entro tre giorni e che ci sono stati forniti, per esempio, dalla dottoressa Monteleone, con riferimento alla procura di Roma. Ebbene, se questo obbligo fosse già stato vigente, considerato che è già previsto per alcuni altri reati, sarebbero stati oltre 3 mila i procedimenti coinvolti. Se solo consideriamo questi dati, si comprendono benissimo l'irragionevolezza e la criticità di questa disposizione. Senza contare che con le strutture investigative esistenti, le procure non sarebbero mai in grado di rispettare un simile obbligo. Se è così, perché insistete?

Ci dobbiamo intendere, allora, su cosa effettivamente vogliamo fare con questa legge. Vogliamo dare una risposta efficace nell'azione di contrasto alla violenza di genere oppure vogliamo scrivere una norma manifesto inapplicabile, buona solo per fare propaganda? Noi vorremmo fare una norma efficace che desse risultati, voi, invece, anche su questo, vi state limitando alla propaganda e ciò non va bene per niente.

Avevamo proposto diversi emendamenti per convincere la maggioranza a rivedere questo obbligo per il PM, tutti bocciati; così come è stata respinta la nostra proposta di inserire l'ipotesi di arresto in flagranza differita, cioè entro 48 ore dalla consumazione del delitto. Certo, avete innalzato alcune pene, avete introdotto la possibilità di utilizzare il braccialetto elettronico per controllare che l'autore di stalking non si avvicini alla vittima, avete poi previsto che la vittima, come noi stessi avevamo proposto, venga giustamente informata quando chi le ha fatto violenza viene scarcerato; tutto questo va bene, ma penso che avremmo potuto fare molto di più se fossimo arrivati con un testo condiviso e più meditato. L'aumento delle pene è certamente importante, ma per quanto riguarda questo tipo di reati può non essere sufficiente. Per noi, ad esempio, e concludo, manca tutta la parte relativa alla rieducazione di chi ha commesso questi reati e sappiamo che la mancanza della rieducazione, molto spesso, porta alla recidiva. Ho concluso, Presidente, mi consenta veramente ancora qualche secondo. Io penso anche che sarebbe importante dare qualche segnale diverso sulla parità di genere; invece, stiamo assistendo alla proposta Pillon, il ruolo della donna nella famiglia che per alcuni dovrebbe essere solo di moglie e di mamma, il convegno di Verona, la proposta di modifica della legge sull'aborto, tutti segnali che segnano un pericoloso ritorno al passato per la donna, nel nostro Paese. Noi contrasteremo con grande forza questi tentativi di riportare indietro il nostro Paese sul piano dell'emancipazione femminile, della libertà delle donne. Il rispetto delle donne - ho concluso - e della loro libertà è il primo antidoto contro ogni forma di violenza di genere. Non rispettare le donne e la loro libertà è già un segno di violenza.