A.C. 893-A
Signor Presidente, in questi mesi e in queste settimane esponenti della maggioranza e del Governo hanno evidenziato che vi sarebbe opportunità politica di mettere mano alla legislazione, ancora una volta, in materia di interruzione del processo per una questione precipuamente tecnica. L'interruzione del processo, come oggi è disciplinata, per lo meno in appello e in Cassazione, a seguito della recente riforma Cartabia assume i connotati dell'intervento procedurale, che interviene sul procedimento penale. La questione di interruzione del processo - l'ha detto anche il relatore Pellicini - ha una natura di diritto sostanziale. Dunque, occorre abrogare la riforma Cartabia del 2021 che ha introdotto l'improcedibilità per ritornare alla prescrizione sostanziale.
Noi crediamo che in realtà la questione non sia tecnicistica, ma politica e lo dimostrano gli ultimi vent'anni di dibattito delle forze politiche del Parlamento e del Governo, laddove per molte volte si è messo mano all'istituto della interruzione del processo animando scontri politici del tutto evidenti che hanno prodotto - lo ricordava ancora una volta il relatore Pellicini - una successione nel tempo di leggi diverse: dalla legge ex Cirielli del 2005, poi sostituita nel 2017 dalla riforma Orlando, a sua volta sostituita nel 2019 dalla riforma Bonafede, essa stessa sostituita nel 2021 dalla riforma Cartabia. Vi sono state dunque molte evoluzioni normative sul punto e a spingere il legislatore e le forze politiche a intervenire sono state questioni di tipo politico e non tecnicistico. Quindi, io credo che il primo elemento che noi dobbiamo evidenziare a quest'Aula è che oggi noi discutiamo - e lo faremo nei prossimi giorni e nelle prossime settimane se non verrà chiuso il lavoro in questa settimana - di una questione che è politica. Infatti, i beni in gioco rispetto alle scelte del legislatore in materia di interruzione del processo penale sono diversi, talvolta anche contrastanti, ma estremamente rilevanti perché toccano beni e diritti fondamentali, costituzionalmente rilevanti, i quali non possono essere sacrificati perché qualora fossero sacrificati sarebbe la stessa qualità della democrazia messa in discussione. Da un lato, l'esigenza di celebrare e concludere il processo penale; dall'altro, l'esigenza che il processo penale si svolga in tempi ragionevoli e proceda spedito. Queste due esigenze toccano beni e princìpi diversi, ma certamente tutti importanti. Il primo, quella di celebrare e definire il processo penale risponde all'esigenza di accertamento della verità processuale, di accertamento delle responsabilità penali dopo la commissione di un fatto che rappresenta e costituisce reato. Risponde alla esigenza di esercizio del potere punitivo dello Stato dinnanzi alla commissione di un reato e, successivamente, alla funzione retributiva della pena, quando un fatto è accertato e un cittadino viene condannato per la commissione del reato e viene irrogata una sanzione penale. E ancora alle esigenze di tutela delle vittime che a fronte della commissione di un reato che hanno subito hanno il diritto che l'ordinamento pubblico eserciti la potestà di accertamento e poi punitiva . Insomma, esigenze che riguardano la vittima del reato, esigenze che riguardano la comunità dinnanzi alla commissione di un reato, esigenze che riguardano il ruolo e la natura della istituzione pubblica.
Dall'altro lato, vi sono ugualmente esigenze di estrema rilevanza che impongono di considerare come irrinunciabile il principio della speditezza del processo penale. Innanzitutto, il principio costituzionale della presunzione di innocenza per cui ogni cittadino è presunto innocente fino a sentenza definitiva di condanna e, pertanto ha il diritto, se sotto processo, che quel processo si svolga in tempi ragionevoli. Il principio della ragionevole durata del processo assume il rango di diritto fondamentale dell'uomo, previsto all'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e interpretato in modo anche estensivo dalla giurisprudenza dei giudici di Strasburgo della Corte europea dei diritti dell'uomo, la quale ha anche precisato quali sono le condizioni temporali che debbono essere rispettate affinché tale principio non sia violato.
Ancora una volta vi sono le esigenze di tutela delle vittime, che hanno il diritto di vedere celebrato e concluso il processo, ma hanno altresì il diritto di vedere celebrato e concluso in tempi ragionevoli quel processo. Non possono aspettare decenni prima che sia fatta giustizia in un'aula giudiziaria.
E anche il principio del buon andamento costituzionale della pubblica amministrazione, che pretende dai cittadini il rispetto rigoroso dei tempi nei quali devono essere esercitati gli obblighi dei cittadini, ma essa stessa deve essere all'altezza della sfida e deve rispettare i tempi di ragionevolezza all'interno dei quali deve essere esercitato il potere pubblico. Se questi principi, così diversi, assumono il rango di principi fondamentali dell'ordinamento, è del tutto evidente che qualunque iniziativa legislativa che sia pronta a sacrificarne uno in nome dell'altro produrrebbe un risultato che è inaccettabile ancora una volta per la buona qualità non solo del processo penale, non solo del sistema della giustizia, ma dell'ordinamento democratico nazionale.
Quindi, innanzitutto, vorrei evidenziare che il nostro partito, il nostro gruppo parlamentare rifugge da soluzioni semplicistiche che spesso sono state prospettate in questi ultimi decenni, sia quelle che, in nome della speditezza del processo, principio sacrosanto come ho detto, non si pongono il tema dell'esigenza di celebrare e concludere il processo, e certamente alcune forze politiche in questi anni, in questi decenni, si sono contraddistinte per l'esigenza di raggiungere quell'obiettivo, e sia, all'opposto, quelle iniziative che affermano il principio del fine processo mai, perché sacrificherebbero altri beni fondamentali dell'ordinamento.
Quegli interventi, i primi, che, in nome dell'esigenza di impedire il fine processo mai, si sono poco e male occupati dell'esigenza della conclusione del processo penale, e, all'opposto, gli altri, che, per affermare il principio che tutti i processi si concludessero, non si sono posti il tema del fine processo mai, sono stati superati dagli ultimi interventi normativi del Parlamento, che ragionevolmente, con la riforma Cartabia, si sono posti le esigenze del processo giusto e spedito, che giunga a conclusione per l'accertamento delle responsabilità.
Dunque noi oggi siamo in presenza di un'ultima riforma, quella del 2021, che ha provato, seppure nelle condizioni di una maggioranza eterogenea, a coniugare questi diversi interessi ed esigenze costituzionalmente rilevanti, cioè quella di affermare dei termini precisi, puntuali, oltre i quali il processo non può proseguire, e quella di garantire, nella speditezza, la conclusione dei procedimenti, affiancando a quegli interventi legislativi le risorse del PNRR decisive per effettuare investimenti massicci nel comparto giustizia.
Dunque qual è l'esigenza oggi che spinge ancora una volta il legislatore a mettere mano all'istituto dell'interruzione del processo, per la quarta volta in 6 anni, questo sì un unicum in sede europea e internazionale? Noi crediamo che vi sia un'esigenza di tipo politico e non tecnico di questa maggioranza e di questo Governo di issare una bandiera ideologica. Poiché della prescrizione si è fatto nel corso dei decenni una bandiera ideologica, ancora oggi, in coerenza con quella storia, occorre perseverare nell'azione politica che fa della prescrizione una bandiera ideologica.
Noi crediamo che ci siano dei fatti che si incaricano di dimostrare che questa nostra preoccupazione è fondata. Innanzitutto, l'utilizzo ideologico del tema che è stato fatto in questi mesi e in queste settimane, e dall'altro il rifiuto di un metodo di tipo scientifico per la verifica degli effetti prodotti dall'ultima riforma. In relazione al primo punto, l'utilizzo ideologico della giustizia, noi evidenziamo che la maggioranza si è presentata con quattro proposte di iniziativa legislativa tutte diverse tra loro.
Ha poi vociferato la possibilità del ritorno alla riforma Orlando, ma, dopo essersi bloccata in Commissione per l'approvazione del testo base e avere rinviato, ha deciso di approvare un testo base che è - lo disse il relatore Pellicini - la ex Cirielli, la riproposizione della ex Cirielli. Successivamente i capigruppo di maggioranza hanno presentato un emendamento che ha riscritto il testo base, in qualche modo ripercorrendo la strada prospettata dalla commissione Lattanzi, e successivamente, con i relatori, un nuovo emendamento che ha riscritto ancora una volta la norma, che richiama e corregge la prima versione della commissione Lattanzi.
Insomma, tante e diverse proposte, che dimostrano che vi è stata un'attivazione politica senza un quadro condiviso, la cui esigenza dunque era quella di mettere mano alla prescrizione anche quando non vi era un contesto di condivisione. Queste differenze sono emerse anche nelle argomentazioni politiche che le forze politiche di maggioranza hanno addotto per giustificare l'esigenza di un nuovo intervento normativo. Vi è stato chi ha detto che occorreva mettere mano alla prescrizione per impedire che continuasse a vigere il principio del fine processo mai.
All'opposto, altri esponenti della maggioranza e del Governo hanno detto che questo stesso identico intervento serve a evitare il rischio che con gli ultimi interventi della Cartabia molti procedimenti penali vadano interrotti. Allora, le due tesi sono radicalmente contraddittorie, ed entrambe vere non possono essere. Bisognerebbe che la maggioranza e il Governo chiarissero qual è allora l'orientamento sincero che ispira questa azione. In più le contraddizioni e l'utilizzo ideologico di questo intervento dimostrano altri artifici narrativi che sono stati utilizzati dagli esponenti della maggioranza.
Il più significativo è stato quello di dire, da parte di alcuni, che questa riforma cancellerebbe la riforma Bonafede, che affermava il principio del fine processo mai. In realtà, la riforma Bonafede formalmente esiste, ma sostanzialmente non esiste più, perché è superata dalla riforma Cartabia, perché prevedeva lo strumento formalmente definito sospensione, ma che sostanzialmente era la cessazione della prescrizione con la fine del primo grado, che oggi è superato dall'entrata in vigore per il giudizio di appello e di Cassazione della riforma Cartabia. Quindi, sostanzialmente, quella riforma non esiste più.
E chi dice che si mette mano all'istituto della prescrizione per cancellare la riforma Bonafede dice una cosa che non è vera; lo dice perché cerca di utilizzare un'argomentazione politica che ritiene evidentemente utile nel proprio campo, ma che è infondata. Ciò che si sta facendo oggi è abrogare la riforma Cartabia, quella sì che fissa dei termini precisi e puntuali per impedire il principio del fine processo mai. Che fosse il frutto di una maggioranza eterogenea non c'è dubbio; che però quella riforma abbia dimostrato di funzionare, sebbene entrata in vigore recentemente, è altrettanto fuori di dubbio, perché - e qui contestiamo un approccio antiscientifico alla maggioranza, non sarebbe una novità, abbiamo assistito nel tempo tante volte al fatto che la destra italiana utilizzi argomentazioni e tesi antiscientifiche - se noi stiamo ai fatti, il Ministero della Giustizia pubblica i dati relativi al monitoraggio degli obiettivi di raggiungimento della riduzione dei tempi del processo, e per il primo semestre del 2023 il Ministero della Giustizia afferma che vi è stata una riduzione del disposition time del 27 per cento nei giudizi d'appello e del 39 per cento nei giudizi in Cassazione.
Dei risultati talmente lusinghieri da superare gli obiettivi che il Governo si è impegnato a raggiungere con il PNRR, quindi rispetto agli obiettivi che si è impegnato a raggiungere in sede europea. Allora perché mettere mano a una riforma, la terza in 4 anni, in vigore da 2 anni, che sembra, rispetto ai dati che offre il Ministero, raggiungere gli obiettivi prefissati? E, in relazione a questo, quali garanzie la maggioranza e il Governo danno rispetto al fatto che non saranno perdute le risorse del PNRR per il comparto giustizia, circa 3 miliardi di euro?
A tutti è noto che il Governo certamente non brilla quanto a capacità di raggiungimento dei risultati sul PNRR. Sono stati cancellati 16 miliardi di finanziamento, 13 dei quali assegnati ai comuni italiani per la rigenerazione urbana, e c'è un'enorme difficoltà da parte del Governo nel rispettare gli obiettivi, anche temporali, prefissati in sede europea.
È utile aggiungere alle difficoltà del Governo rispetto al raggiungimento degli obiettivi del PNRR un'ulteriore complicazione quale quella di rivedere la riforma della prescrizione che incide sulla durata dei procedimenti, durata dei procedimenti che è uno dei punti sui quali il Governo si è impegnato a raggiungere obiettivi in sede europea.
L'ulteriore elemento di preoccupazione che sollecitiamo è che, ancora una volta, si pensa di poter mettere mano al comparto giustizia effettuando una modifica molto importante sul tema del processo penale in assenza di investimenti che, invece, nel comparto della giustizia - certamente non l'unico - devono, però, essere massicci. Noi stiamo assistendo da mesi al pericoloso svuotamento dell'ufficio del processo. Abbiamo più volte sollecitato il Governo a intervenire, ma abbiamo ricevuto risposte incerte e ad aperture sono seguiti fatti pari a zero o a poco più. Esprimiamo una grande preoccupazione sul fatto che non vi siano gli investimenti necessari per il comparto amministrativo e sui giudici, che sono, invece, necessari per garantire che il processo possa svolgersi, svolgersi bene e velocemente.
Il collega Costa ha evidenziato che c'è un'estensione ampia del diritto penale nel nostro ordinamento e che fintanto che permane l'estensione del diritto penale difficilmente - se ho compreso bene - si sarà in grado di realizzare obiettivi di velocizzazione del processo. C'è un problema, però, rispetto a questa preoccupazione che evidenzia l'onorevole Costa: il Governo sta rispondendo ampliando la sfera del diritto penale, come ha fatto in questo anno (dal decreto Rave ai decreti sull'immigrazione). C'è, rispetto a quanto aveva dichiarato il Ministro Nordio, cioè l'esigenza di ridurre la sfera del diritto penale, un'azione, invece, che è opposta agli obiettivi che aveva annunciato il Ministro Nordio. Non siamo, dunque, nella direzione che auspica il collega Costa di riduzione della sfera penalistica ma semmai di ampliamento della sfera penalistica e, dunque, a maggior ragione servono e serviranno investimenti massicci, altrimenti, in assenza di investimenti, gli uffici continueranno a svuotarsi e i risultati in termini di speditezza del processo verranno dispersi, persino quelli che si sono ottenuti a seguito della riforma Cartabia.
Inoltre, un ulteriore elemento di preoccupazione è che con questo intervento - ripeto: l'ennesimo in pochi anni - si aumenta il grado di confusione sul diritto che vive negli uffici giudiziari, nelle aule dei tribunali e nelle corti d'appello. Con l'istituto dell'improcedibilità è stato fissato un obiettivo specifico, le corti d'appello si sono organizzate per raggiungerlo e i dati danno ragione al lavoro che è stato svolto dalle corti d'appello. Cambiare ancora una volta e riportare l'interruzione del processo nell'alveo del diritto sostanziale significa consentire l'applicazione del principio della successione delle leggi nel tempo secondo il principio più favorevole all'imputato. Ora, essendosi alternate molte leggi di natura sostanziale negli anni, questo determinerà un'ulteriore confusione circa le norme da applicare. Al contrario di chi ha detto che sostanzialmente si applicherà la Lattanzi, faccio presente che formalmente viene proposta l'approvazione della Lattanzi ma certamente per tutti i procedimenti iniziati prima di un dato anno si applicherà la ex Cirielli, perché più favorevole all'imputato. Quindi, con questo intervento, che formalmente mette in campo la Lattanzi, sostanzialmente per numerosi procedimenti attualmente esistenti si metterà in campo la ex Cirielli e tutto questo determinerà un'ulteriore confusione nelle aule dei tribunali e nelle corti d'appello, di cui certamente non c'è bisogno.
Inoltre, abbiamo evidenziato anche alcuni limiti sulla norma attraverso un'attività emendativa. Non siamo stati gli unici, devo dire, perché sono state oneste e trasparenti le parole del collega della Lega Bellomo in Commissione, che ha evidenziato tutta una serie di circostanziate perplessità rispetto alla proposta dei relatori e, in particolare, rispetto ai meccanismi eccezionali previsti anche dall'emendamento del relatore rispetto alle regole generali.
In più, aggiungiamo che quel catalogo di eccezioni, che pure i relatori hanno sottoscritto, è incoerente rispetto ad altre fattispecie penalistiche per le quali non viene prevista l'estensione eccezionale del regime della prescrizione, quando forse per coerenza meriterebbero di essere incluse. Su questo punto noi abbiamo presentato una serie di emendamenti, ma, insomma, rileviamo che anche nell'attività in Commissione sono stati presentati emendamenti da parte delle opposizioni, seppur certamente molto diversi: gli emendamenti del MoVimento 5 Stelle erano determinati a riproporre con coerenza i principi che avevano affermato con le riforme Bonafede, mentre i nostri princìpi sono diversi, in quanto avevamo proposto una serie di emendamenti per recuperare la riforma Orlando, pur contestando l'erroneità di un ulteriore intervento sulla prescrizione e per salvaguardare la riforma Cartabia. In più, ci siamo impegnati a presentare una serie di emendamenti anche su singole fattispecie di reato per le quali forse sarebbe opportuno riconoscere il regime eccezionale della prescrizione, così come, per l'appunto, i relatori si sforzano di fare in relazione ad alcuni reati.
Infine - ma l'ho detto prima -, una serie di narrazioni politicamente non sostenibili meritano di essere respinte. Più volte si è cercato di dire da parte della maggioranza che vi era un ritorno alla Orlando, però l'emendamento del Partito Democratico per ritornare alla Orlando in Commissione è stato respinto. Certamente la proposta Lattanzi è migliorativa rispetto al testo base dell'ex Cirielli e certamente una parte della filosofia che la ispira trova degli elementi di comunanza nella riforma Orlando, ma sono due proposte diverse.
In conclusione, Presidente, noi abbiamo assistito in questi mesi a una maggioranza divisa rispetto a principi e obiettivi, che attraverso il lavoro svolto, al quale ha partecipato anche l'onorevole Costa, è arrivata a presentare un nuovo testo che ora arriva in Aula. Rispetto a questo percorso contestiamo: l'approccio ideologico, estremamente pericoloso quando attiene ai temi della giustizia penale; uno scarso disinteresse verso i cittadini e le imprese, rispetto ai quali ogni sforzo della politica per la costruzione di un buon modello del sistema della giustizia penale dovrebbe essere ispirato; la mancanza di un'analisi puntuale dei risultati ottenuti con l'ultima riforma, malgrado i dati in possesso del Ministero; infine, gli enormi rischi che pendono sul PNRR e il rischio di confusione negli uffici.
Noi con l'attività emendativa avanzeremo proposte anche in quest'Aula, alcune proposte coerenti con quelle già avanzate in Commissione e altre ulteriori, perché pensiamo che a noi spetti il compito di riportare il Parlamento a impegnarsi per una legislazione che in materia di giustizia penale non sia ideologica ma pragmatica e si faccia carico di non sacrificare beni fondamentali della nostra comunità democratica ma si sforzi, con un lavoro di saggezza e di equilibrio, di tutelarli tutti, perché in assenza di uno o dell'altro la qualità del nostro sistema penale non sarà all'altezza di ciò che una democrazia compiuta pretende.