Dichiarazione di voto sulla pregiudiziale
Data: 
Mercoledì, 12 Marzo, 2025
Nome: 
Marco Lacarra

A.C. 2084

Grazie, signor Presidente. Signor Vice Ministro, onorevoli colleghi, ancora una volta, ci troviamo in quest'Aula a discutere di giustizia. È un tema che dobbiamo affrontare, perché nessuno, credo, può dirsi pienamente soddisfatto del livello di efficacia del nostro sistema giudiziario.

A fronte di problemi noti - dai tempi ancora troppo lunghi dei processi alle condizioni delle strutture detentive, fino alle scoperture di organico nelle file dei magistrati e non solo - è indubbio che la politica si debba occupare dello stato di salute della giustizia e debba tentare di offrire soluzioni, soluzioni attese tanto dalla macchina stessa della giustizia quanto dai cittadini che, ogni giorno, toccano con mano le conseguenze di talune disfunzioni.

La nostra pregiudiziale, dunque, non vuole entrare nel merito della necessità di affrontare questi problemi, perché - come detto - si tratta di una esigenza largamente condivisa. Piuttosto - come abbiamo provato a fare tante altre volte in questi due anni e mezzo -, siamo a chiedervi se davvero le proposte che il Governo mette in campo, di volta in volta, rispondano o meno a quella logica migliorativa dei processi e dei meccanismi che regolano il nostro sistema giudiziario oppure se siano altre e di diversa natura le ragioni che spingono il Governo e la maggioranza a un'attività di riforma tanto intensa.

Questo provvedimento introduce un limite massimo di 45 giorni per la durata complessiva delle intercettazioni con proroga possibile solo in presenza di elementi specifici e concreti che ne dimostrino l'assoluta indispensabilità. Ad oggi, non esiste un limite predefinito per le intercettazioni, ma la loro durata è implicitamente correlata ai tempi massimi delle indagini preliminari, che possono arrivare fino a 18 o 24 mesi, come indicato dall'articolo 407 del codice di procedura penale.

Ora, signor Presidente, anche noi siamo ben consapevoli che esiste un vulnus nell'utilizzo dello strumento delle intercettazioni: abusi che spesso feriscono gravemente il diritto alla privacy delle persone, soprattutto quando le intercettazioni vengono inopinatamente rese pubbliche.

Ugualmente riteniamo che talvolta le intercettazioni vengano utilizzate impropriamente anche dagli inquirenti, quando le impongono anche nei casi in cui non sono presenti elementi indiziari tali da giustificarne l'uso. Ma la soluzione non è nella proposta oggi in esame, cioè di una norma che viola il principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale, che viene fortemente compressa e limitata. Ancora una volta, andiamo a limitare l'azione del pubblico ministero.

La soluzione invece dovrebbe essere nella ricerca di una ristrutturazione organica del sistema, attraverso una riforma complessiva, soprattutto, della fase delle indagini preliminari, che si fondi sulla situazione dell'indagato. Allora, dovremmo partire da lì. Quali forme di tutela è necessario garantire a chi viene iscritto nel registro degli indagati? Quale nuovo equilibrio possiamo immaginare per difendere i diritti di una persona, senza indebolire gli strumenti a disposizione degli inquirenti, come si fa con questo provvedimento? Come si può - dovrebbe essere il fulcro della nostra iniziativa - riequilibrare la parte pubblica dell'accusa e la parte privata della difesa? Scopriremo ben presto che le intercettazioni sono solo uno dei tanti elementi da riconsiderare. Ci renderemo conto che a dover essere rimesso in discussione è l'utilizzo generale delle misure cautelari, ad esempio, misure che, troppo spesso, vengono adoperate in assenza dei dovuti presupposti, ossia quei requisiti che rendono accettabile la violazione di un caposaldo della nostra Costituzione: la libertà personale di un individuo.

L'uso di misure cautelari, insomma, dovrebbe sempre avere, come contrappeso, la necessità di rispondere a un allarme sociale, a un pericolo concreto, a indizi rilevanti che portino a pensare che il reato possa essere reiterato o le prove possano essere inquinate. Oggi, invece, tali misure spesso vengono utilizzate anche per costituire la prova, per ottenere dichiarazioni di accusa o confessioni.

Questa proposta di legge, come tante altre iniziative che avete approvato in questa legislatura, non fa nulla di tutto quello che auspichiamo e che ho provato a rappresentare nel mio intervento: non affronta il problema né lo risolve, al contrario, lo aggrava, perché porre un termine così stringente non garantisce agli inquirenti di disporre di uno strumento utile per le indagini, ma nemmeno tutela gli indagati. Gli unici che potrebbero beneficiare di questa modifica - e lo faranno sicuramente - sono proprio i criminali, a cui basterà semplicemente avere un po' di pazienza, attendere 45 giorni per ritornare a delinquere, sapendosi indisturbati e legalmente autorizzati a farlo, se così possiamo dire. Ed è così che una riforma con determinati obiettivi, almeno sulla carta, sarà utilizzata a pieno vantaggio dei criminali peggiori.

È chiaro allora che questo provvedimento, come tutti i precedenti, si pone un obiettivo diverso: quello di legare le mani alla magistratura. E a questa conclusione si giunge, scendendo appena un po' nel dettaglio di questa proposta. D'altronde, la maggior parte dei soggetti che abbiamo ascoltato in audizione, tra esponenti dell'accademia e membri della magistratura, ha sottolineato lo stesso rischio: questo nuovo limite ridurrà pesantemente la capacità di indagine e sarà, di fatto, un divieto ad indagare.

I perché di questo allarme sono molteplici. In primo luogo, questo nuovo limite opererà per una serie di reati gravissimi che, di conseguenza, non potranno più essere perseguiti dallo Stato con la dovuta pervicacia. E non parliamo di questioni minori, ma di omicidi, ad esempio, oppure di tutti i reati connessi al cosiddetto codice rosso. Ed è qui che sorge un primo interrogativo: come può dirsi coerente l'azione di un esecutivo che il giorno prima istituisce il reato di femminicidio e il giorno dopo impone al Parlamento di approvare una norma che metterà in pericolo centinaia di migliaia di donne vittime di violenza?

La conclusione che si può trarre è scontata, signor Presidente, oltre che amara: quello del femminicidio è nient'altro che uno spot elettorale che nulla di nuovo aggiunge allo strumentario di contrasto dei reati di genere, mentre, proprio lì dove occorrerebbe si spuntano le armi a disposizione di magistrati e Forze dell'ordine per combattere i violenti e impedire nuove violenze. Anche in questi casi, l'unico risultato prodotto da questo provvedimento sarà più crimini, più vittime e meno tutele. E questa è una deriva che noi crediamo veramente - davvero, signor Presidente -, preoccupante.

In secondo luogo, c'è la questione della proroga che si rivela possibile solamente in teoria. Perché anche nel raro caso in cui si riuscisse ad ottenere una prima estensione del termine, contare su una seconda è davvero una missione impossibile, visto che questa, ai sensi della disposizione che volete introdurre, dovrebbe essere strettamente legata alla scoperta di nuovi elementi specifici.

In sostanza, stiamo dicendo a chi commette illeciti di sbrigarsi a dare ai giudici dei forti motivi per perseguirli.

In terzo luogo, e torniamo al punto da cui sono partito, c'è la questione del coordinamento con gli altri strumenti di indagine e con le misure cautelari. Basta fare un esempio: le intercettazioni potranno durare solo 45 giorni, ma le perquisizioni potranno essere disposte in ogni momento delle indagini. Che cosa si crea di fatto, come ha giustamente sostenuto qualcuno nelle ultime settimane? Una irragionevole, per non dire insensata, gerarchia tra i mezzi di ricerca della prova.

In ultimo, vi è la questione della tutela della privacy e dei diritti individuali perché se è questo il cardine di tutta la discussione, allora, avremmo potuto trovare modalità per risolverlo davvero senza amputare i mezzi a disposizione delle procure. Potevamo intervenire sulle possibilità di rafforzare il controllo sulla rilevanza delle comunicazioni captate, oppure sulle modalità di conservazione delle intercettazioni irrilevanti. Avremmo potuto fare molte altre cose per rafforzare e migliorare il sistema e, invece, avete deliberatamente scelto di indebolirlo. Alla fine, i resoconti dei nostri lavori in Commissione, sia qui che al Senato, parlano piuttosto chiaramente: mai e poi mai il Governo e la maggioranza hanno manifestato la minima volontà di aprire un dialogo, di ragionare sulle possibili soluzioni e, allora, forse non sbaglia chi crede che tutte queste manovre non servono a migliorare la giustizia ma guardano a un altro fine: punire i magistrati, colpire la magistratura.

Il caso ha voluto poi che la discussione di questa proposta di legge arrivasse al traguardo proprio nelle settimane in cui un altro scandalo, quello legato alla società Paragon, ci invita a riflettere sulla pericolosità delle intercettazioni abusive e illegali, strumenti molto diversi da quelli a cui oggi voi intendete mettere mano, che davvero dimostrano di incidere irrimediabilmente sui valori fondanti di una democrazia. Su quel caso giudiziario, su cui peraltro è stato aperto un fascicolo dalla procura di Roma, ci aspettiamo che si faccia piena luce e ci auguriamo con tutto il cuore di non trovarci davanti a un coinvolgimento diretto di esponenti del Governo perché sarebbe oltremodo grave assoldare un soggetto straniero per spiare giornalisti e organizzazioni non gradite.

Nel frattempo, però, chiediamo all'Aula di fermarsi qui, di non procedere con l'approvazione di questa riforma minima e dannosa perché la pezza rischia di essere enormemente peggiore del buco. Per queste ragioni noi voteremo a favore della pregiudiziale proposta.