Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 1 Agosto, 2016
Nome: 
Simonetta Rubinato

A.C. 3976

Grazie, Presidente. Per capire il rilievo del provvedimento al nostro esame oggi, vorrei ricordare le vicende della finanza locale rapidamente negli ultimi 6-7 anni, a partire dalla manovra di bilancio varata nel 2009 dal Governo Berlusconi e passando per i provvedimenti di finanza pubblica adottati dal Governo Monti in materia diriassetto degli enti locali. È stato attuato, sulla scorta della grave crisi finanziaria e poi della crisi della finanza pubblica, un accentramento dei poteri decisionali nelle mani dello Stato sia negli aspetti normativi e costituzionali sia nella gestione delle risorse pubbliche, invocando il principio dell'equilibrio di bilancio e la competenza statale – in materia c’è stata anche una modifica costituzionale su questo -in materia di armonizzazione dei bilanci delle pubbliche amministrazioni e anche, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, del coordinamento della finanza pubblica. 
Questo accentramento non è apparso in quegli anni supportato da un disegno complessivo di riordino. In effetti, si era sotto l’input di una grave crisi economica e finanziaria. Alla fine del 2012 il quadro veniva riassunto – e cito qui il professor Fabrizio Pezzani, ordinario di programmazione e controllo nelle pubbliche amministrazioni alla Bocconi – in questo modo: «Ho visto susseguirsi la serie infinita di riforme contabili degli enti locali che hanno caratterizzato questo periodo storico fino all'ultima recente» – eravamo nel 2012. alla fine. «Ne emerge una continua asimmetria tra l'inarrestabile prolificità normativa e la progressiva inefficacia e inefficienza dei sistemi di controllo, fino ad arrivare al disastro del sistema attuale: più si facevano e si fanno norme più il sistema di controllo peggiora, sia nell'incapacità di rilevare per tempo le criticità e le distorsioni nei meccanismi di spesa sia nell'incapacità di indirizzare l'attività delle pubbliche amministrazioni verso un impiego efficiente e responsabile della spesa». Questo, secondo il professor Pezzani, prima di tutto perché non si verifica, dopo l'introduzione delle norme, il loro reale funzionamento; poi un secondo motivo, che era quello che tratteggiava anche prima il collega Giorgetti, è quello relativo alla distanza tra amministrazioni centrali e periferiche, che si è ingigantita in quegli anni perché le prime vedono evidentemente la realtà dal desktop del PC, le seconde vivono i problemi reali sul campo e la visione che ne consegue è completamente diversa. Mentre le prime formulano i dettati normativi in un contesto di astrattezza giuridica, le seconde devono sforzarsi di applicarli ossessionate dal problema del rispetto delle normative e perdono di vista l'unitarietà della gestione, oltre che – questo è il punto fondamentale – la possibilità di rispondere ai bisogni delle comunità. Un terzo motivo evidente a tutti è che l'assetto istituzionale del Paese è stato in questi anni perennemente in mezzo a un guado tra modello centrale e federale, e i controlli sono stati pensati con una logica di uniformità in un Paese profondamente diverso nei territori. Il modello di controllo, quindi, non è coerente con il Paese reale, e quindi non funziona. Infine il Patto di stabilità, perché come era pensato ragiona sui tetti di spesa, sugli input, e non si correla ai risultati, agli output; aumenta la rigidità quando bisognerebbe cercare l'elasticità, mentre il controllo deve andare su aree di risultato. Infine, ultima ragione che individuava il professore Pezzani, bisogna ridurre la spesa corrente, che è il vero problema. Per farlo serve un orizzonte a medio e lungo termine per una programmazione efficace e delle regole stabili per il Patto di stabilità. Ricordo che in quell'anno il termine per i bilanci dei comuni fu portato addirittura al mese di ottobre. In quel contesto veniva varata, anche in ossequio alle norme stabilite in sede europea, la legge n. 243, per dare attuazione al novellato articolo 81 della Costituzione, esplicitando le norme fondamentali volte ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci, nonché la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni. Si badi bene: la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio di cui la legge n. 243 ed il corollario, recepisce, come ci ha ricordato la Corte dei conti in audizione, i principi fondamentali della disciplina fiscale europea nell'intento di orientare l'intera gestione della finanza pubblica alla difesa dei sacrosanti principi di equità intergenerazionale e di stabilità finanziaria minacciati dall'accumulazione di un elevato volume di debito nel nostro Paese. Il fine, quindi, è buono, ma occorre che quei giusti principi siano attuati in modo ragionevole. Superata la fase dell'emergenza finanziaria, sostanzialmente nel volgere di un triennio, procediamo ora giustamente a una parziale rivisitazione della legge n. 243, proprio in materia di bilanci di regioni ed enti locali. Quasi tutte le forze in Parlamento hanno riconosciuto come questo sia positivo, oltre ai soggetti interessati, cioè le rappresentanze di regioni e comuni. Le esigenze della riforma, prima della sua integrale applicazione a decorrere dal bilancio 2017, sono due, sostanzialmente: rendere coerente la disciplina dei vincoli di finanza pubblica con il nuovo quadro di regole contabili di cui al decreto legislativo n. 118 del 2011 modificato con analogo decreto legislativo n. 126 del 2014, in tema di armonizzazione dei bilanci delle regioni e degli enti locali, una disciplina che ha dato maggiore trasparenza, comparabilità e ha avvicinato la lettura dei dati contabili delle amministrazioni locali a quella che è la lettura dell'Istat; e il superamento del Patto di stabilità interno in favore di un nuovo vincolo di finanza pubblica basato sul principio della competenza finanziaria potenziata. L'altro aspetto determinante che ci induce a questa riforma è sostenere, consentire, con uno sforzo anche del Governo, proprio con il superamento del meccanismo del Patto di stabilità, già partito con la legge di stabilità 2016 e avendo il Patto richiesto agli enti territoriali avanzi consistenti in questi anni, con conseguenti e inevitabili scelte restrittive sulla spesa finale, in particolare quella per investimenti, una ripresa progressiva degli investimenti anche del comparto degli enti locali, perché possa portare il suo contributo alla crescita del Paese. Certo, c’è ancora molta strada da fare per dare stabilità, certezza e ragionevolezza al quadro normativo in questo settore, ma non vi è dubbio che, a cominciare dal decreto-legge n. 78 del 2015 per continuare con la stabilità 2016, c’è stata un'inversione di tendenza, un cambiamento di segno, con lo stop ai tagli, il passaggio dal Patto di stabilità al pareggio di bilancio, i finanziamenti previsti per gli investimenti degli enti locali, in particolare nell'edilizia scolastica e ora anche nelle periferie eccetera eccetera. Il provvedimento in esame, superata quindi la fase di crisi acuta della finanza pubblica, modifica la disciplina della legge rinforzata in alcuni punti e ne sottolinea i più rilevanti e la loro portata.
La modifica di più consistente interesse per gli enti territoriali è senza dubbio quella relativa al comma 1 dell'articolo 9: in linea con quanto previsto dalla legge di stabilità 2016, la nuova disposizione sostituisce i quattro vincoli di competenza e di cassa attualmente previsti con un unico saldo di competenza non negativo tra entrate finali e spese finali (una semplificazione assai rilevante); inoltre, con una modifica proposta proprio al Senato e approvata da tutti i gruppi in Commissione è stato introdotto, in modo strutturale a partire dal 2020, il Fondo pluriennale vincolato tra gli aggregati utili al rispetto del saldo di competenza. Questo è un passo avanti molto importante, anche rispetto alle aspettative dell'associazione dei comuni e degli altri enti territoriali, ma vorrei dire soprattutto alle attese delle nostre comunità. La stabilizzazione di questa declinazione del saldo di competenza, nel quale viene incluso anche il Fondo pluriennale vincolato, è un obiettivo essenziale per consentire la programmazione degli investimenti, proprio ribaltando la logica di quanto avveniva con il Patto di stabilità. Sarà molto importante che, nella prossima legge di bilancio, il Fondo pluriennale vincolato venga inserito in una misura consistente – se possibile in modo completo nell'arco dei tre anni, nel saldo tra entrate e uscite – così da dare a questa norma la forza che essa deve sviluppare per favorire la ripresa del Paese e degli investimenti. Abbiamo apprezzato quanto ha su questo chiarito il Viceministro Morando nella discussione al Senato, sottolineando come il principio di partenza sia stato rovesciato e, quindi, da una regola di sistema che stabiliva che l'entrata o meno tra le voci utili ai fini delle spese e delle entrate fosse decisa annualmente dalle leggi di bilancio, in realtà, a regime dal 2020, il Fondo pluriennale vincolato è componente del saldo. Con riferimento alla norma transitoria per il 2017-2019, il Viceministro Morando ha sottolineato come, fatte le dovute verifiche, può darsi che sia addirittura possibile un inserimento pressoché totale anche prima del 2020; questo credo sia una verifica estremamente importante che il Governo si è impegnato a fare. Va sottolineata, all'articolo 9, anche l'eliminazione del vincolo rigido di destinazione di eventuali avanzi all'estinzione del debito dell'ente e, al comma 4, sempre dell'articolo 9, l'introduzione delle norme che affidano alla legge dello Stato di stabilire premi e sanzioni – anche premi e non solo sanzioni – secondo criteri di proporzionalità e, finalmente, di differenziazione degli enti, secondo che abbiano o meno rispettato i propri obiettivi. Tuttavia, nonostante questi aspetti estremamente positivi, mi permetto di sottolineare, con riferimento al comma 3 dell'articolo 9, quanto riporta anche il Servizio studi nella sua relazione, cioè il fatto che la nuova formulazione del comma 3 non riporta la disposizione che ora è contenuta nell'ultimo periodo di tale comma, che prevede che ciascun ente territoriale possa in ogni caso ricorrere all'indebitamento nel limite delle spese per rimborsi di prestiti risultanti dal proprio bilancio di previsione. Si tratta di una disposizione che rappresentava una misura di flessibilità aggiuntiva in favore degli enti locali, che, venendo meno, attribuisce all'intesa conclusa in ambito regionale una funzione essenziale, nel senso che l'ente non può ricorrere all'indebitamento in assenza dell'intesa prevista all'articolo 10. Questa modifica può risultare problematica soprattutto per quegli enti che, avendo anche ben programmato negli anni, avendo pagato i propri debiti da investimenti e non avendo avanzi quindi da utilizzare, hanno la necessità, per fare investimenti, di contrarre mutui. Da questo punto di vista, questa norma di flessibilità dava dello spazio, lo rilevo, perché poi ci sono le leggi dello Stato ci sono le manovre di bilancio che facciamo ogni anno e quindi si andrà ad intervenire anche nel senso di favorire questo. Molto rilevante per la gestione del debito locale è anche la revisione apportata all'articolo 10, che favorirà l'utilizzo del debito e le operazioni di investimento finanziate con gli avanzi di amministrazione degli esercizi precedenti attraverso apposite intese da concludere in ambito regionale. Qualora tali operazioni non siano soddisfatte dalle intese regionali, le stesse sono effettuate, grazie a una modifica apportata al Senato, sulla base di appositi patti di solidarietà nazionale. È stato così introdotto di fatto un livello nazionale di rimodulazione dei saldi di finanza pubblica assegnati agli enti territoriali. Molto importante è anche la modifica sempre all'articolo 10, in coerenza con la nuova formulazione dell'articolo 119, comma 6, della Costituzione, in cui viene confermato il ruolo della regione nel coordinamento e nel controllo del ricorso all'indebitamento degli enti territoriali, nello stesso tempo, prevedendo questo strumento di redistribuzione dei vincoli di finanza pubblica su scala nazionale. Questo fa i conti con quella che è la realtà di questo Paese, un territorio nazionale in cui le condizioni operative di partenza di diversi enti risultano molto differenziate, sia sul piano economico-finanziario, sia quanto a dotazioni infrastrutturali, nonché per le capacità di coordinamento tra istituzioni fin qui messe in luce. Infine, al comma 5 si dà attuazione a quel principio di collaborazione istituzionale che spesso ha invocato la Corte costituzionale anche nel censurare di recente proprio alcuni passi della legge n. 243, prevedendo l'intesa della Conferenza unificata sul decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che disciplina criteri e modalità di attuazione delle operazioni di indebitamento e di utilizzo degli avanzi per gli investimenti negli enti locali. 
Riassumendo, un'analoga attenzione al principio di leale collaborazione non è stata, a mio avviso, prestata nelle modifiche all'articolo 11 relative al concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali, e così pure sotto questo aspetto, anche le modifiche dell'articolo 12 sono, a mio avviso, un po’ peggiorative rispetto all'impianto originario sul concorso degli enti territoriali alla sostenibilità del debito pubblico attraverso versamenti al Fondo per l'accertamento dei titoli di Stato secondo modalità oggi definite con legge dello Stato, quindi con una notevole semplificazione, ma anche qui meno rispettosa del principio di leale collaborazione tra livelli di governo che la Corte, con la sentenza n. 88 del 2014 aveva utilizzato proprio per censurare una norma, il comma 3, dell'articolo 12.
Visto che non siamo così numerosi oggi a intervenire in Aula...Ha ragione. In conclusione, l'impegno necessario per la costruzione del sistema prospettato dalla riformulazione della legge n. 243, del rilancio del ruolo degli enti locali negli investimenti pubblici da più parti enfatizzato, comporta, secondo noi, una rinnovata e continuativa funzione di governo multilivello che superi la rigidità tecnicistiche più volte emerse anche nel recente passato a favore di un sistema in grado di coniugare flessibilità attuative e tenuta dei conti pubblici, dando attuazione nella prassi, oltre che nell'ordinamento, a quel principio di leale collaborazione a cui ci ha richiamati la Corte Costituzionale e la stessa Corte dei conti. Questo, e finisco davvero, significa procedere all'attuazione delle riforme monitorandone gli effetti e, se necessario, come è stato fatto in questo frangente, andando ad apportare delle correzioni che tengano conto dei mutamenti di scenario economico europeo e nazionale. Questa materia, che sembra arida, è il cuore di una democrazia, perché è il quadro normativo da cui dipende il concreto riconoscimento, a partire dalle comunità locali, dei diritti civili e sociali delle nostre comunità.