Discussione generale
Data: 
Lunedì, 13 Maggio, 2019
Nome: 
Alessia Morani

A.C. 506

Relatrice.

Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, rappresentante del Governo, l'Assemblea abbia oggi l'esame della proposta di legge, a mia firma, che reca “Modifiche all'articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell'unione civile”.

Ricordo in via preliminare che questa proposta di legge recupera i contenuti dell'analoga iniziativa assunta nel corso della scorsa legislatura dall'allora presidente della Commissione giustizia, onorevole Donatella Ferranti. Si trattava della proposta di legge C. 4605, che approvammo in sede referente il 21 dicembre 2017, però mai esaminata dall'Aula.

La proposta di legge in esame, come la citata proposta di legge dell'onorevole Ferranti, interviene dopo un significativo pronunciamento della Corte di cassazione, che nel 2017 ha modificato, dopo molti anni, la propria precedente e consolidata giurisprudenza, tanto da richiedere un intervento interpretativo delle Sezioni unite, giunto con la sentenza 11 luglio 2018, n. 18.287.

Pertanto, prima di procedere alla illustrazione del provvedimento, ritengo opportuno ricostruire brevemente il quadro normativo e giurisprudenziale in materia di assegno di divorzio.

Ricordo che il diritto al mantenimento di uno degli ex coniugi a spese dell'altro può essere sancito dal giudice con la sentenza di divorzio: l'articolo 5, comma 6, della legge 898 del 1970, legge sul divorzio, così come modificata poi dalla legge 6 marzo 1987, n. 74, stabilisce che il tribunale dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare in via periodica a favore dell'altro un assegno, quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Tale decisione deve tener conto di una serie di elementi: le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi, la durata del matrimonio, alla cui luce vanno valutati i precedenti elementi. L'accertamento del diritto all'assegno si articola in due fasi: la prima, che è volta ad accertare in astratto il diritto a percepire l'assegno, la seconda, che è finalizzata alla sua determinazione in concreto.

Fino al 2017 la giurisprudenza, integrando la scarna normativa, ha concordemente affermato su tutte le Sezioni unite civili – sentenze nn. 11490 e 11492 del 1990 – che il presupposto per concedere l'assegno di mantenimento, l'an debeatur, fosse costituito dall'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza che fosse necessario provare uno stato di bisogno dell'avente diritto. Quindi il coniuge richiedente poteva anche essere economicamente autosufficiente, ma se, a seguito del divorzio, vi era un apprezzabile deterioramento delle condizioni economiche godute durante il matrimonio, in linea di massima queste dovevano essere ripristinate dal giudice determinando la misura concreta dell'assegno, il cosiddetto quantum debeatur, in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri sopra elencati con riguardo al momento della pronuncia del divorzio.

Questo costante orientamento in materia di assegno divorzile è stato rivoluzionato dalla sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017, conosciuta come sentenza Grilli, della Cassazione, che ha ritenuto superato, nell'ambito dei mutamenti economico-sociali intervenuti, il riferimento al diritto a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Si legge nella sentenza Grilli che occorre superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva, perché ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti ed effettiva comunione di vita, e, in quanto tale, indissolubile. Si deve quindi ritenere - afferma la Cassazione - che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell'ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale. La Corte ha ritenuto che con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale, ma anche su quello economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale. Dunque, secondo la Suprema Corte, per valutare il diritto o meno all'assegno di divorzio va individuato un parametro diverso, cioè il raggiungimento dell'indipendenza economica del coniuge richiedente: se si accerta la sua indipendenza economica, viene meno il diritto all'assegno.

Nel corso del 2017 e durante i primi mesi del 2018, la Prima sezione della Cassazione ha più volte ribadito il proprio orientamento, ma finendo per proporre una rilettura più flessibile del criterio dell'autosufficienza economica: la Corte di cassazione ha, infatti, affermato la necessità di adeguare il parametro dell'autosufficienza alle caratteristiche soggettive del coniuge richiedente l'assegno, alla sua specifica individualità, al contesto sociale in cui è inserito (su tutte, Cassazione 26 gennaio 2018, n. 2042). Questa lettura più mite del criterio dell'autosufficienza economica era stata anticipata da alcuni giudici di merito – corte d'appello di Milano 16 novembre 2017 –, mentre altra parte della giurisprudenza di merito si era adeguata al nuovo orientamento: ad esempio il tribunale di Milano, con l'ordinanza 22 maggio e la sentenza del 5 giugno 2017; il tribunale di Palermo, con la sentenza 26 giugno 2017; il tribunale di Roma, sentenza 1° agosto 2017. E, d'altra parte ancora, aveva invece espressamente disatteso l'insegnamento della sentenza di legittimità, la n. 11504 del 2017, il tribunale di Udine, il 1° giugno 2017, e la corte d'appello di Napoli, il 22 febbraio 2018. Anche in dottrina, se la maggior parte dei commentatori aveva visto con favore il superamento del tenore di vita familiare come criterio indiscriminato per la valutazione dell'adeguatezza dei redditi del coniuge richiedente l'assegno, da più parti si era anche evidenziato come il nuovo orientamento rischiasse di comprimere oltre ogni ragionevolezza i diritti del coniuge, che durante il matrimonio ha sacrificato le proprie aspirazioni lavorative e professionali per dedicarsi in via esclusiva o prevalente alle esigenze della famiglia. Tanto la giurisprudenza quanto la dottrina hanno, dunque, invocato un intervento delle Sezioni Unite, che, come anticipato, è giunto con la sentenza 11 luglio 2018, n. 18287. La Cassazione a Sezioni Unite, nel dirimere il contrasto interpretativo vertente sui presupposti di attribuzione dell'assegno di divorzio, ha disatteso il criterio dell'indipendenza economica proposto dalla I sezione, pur condividendo comunque l'abbandono del criterio tradizionale del tenore di vita matrimoniale. Le Sezioni Unite hanno, infatti, affermato che all'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell'articolo 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970: ciò richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sull'attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e della formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto. La Corte ha precisato anche che la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno di divorzio, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dell'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.

Conclusa questa doverosa premessa sul contesto giurisprudenziale in cui si inserisce la proposta di legge che discutiamo, faccio presente che essa è stata esaminata dalla Commissione giustizia anche a seguito di un breve, ma esaustivo ciclo di audizioni, che ha coinvolto magistrati impegnati nel settore, docenti universitari di diritto privato, nonché rappresentanti dell'Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia, del Consiglio nazionale forense, dell'Organismo congressuale forense e dell'Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori. Ricordo, a questo proposito, che nella scorsa legislatura la proposta Ferranti fu approvata dalla Commissione giustizia il 21 dicembre 2017, dopo un'indagine conoscitiva anche in quel caso nell'ambito della quale sono stati auditi diversi illustri docenti universitari di diritto privato: cito in particolare per il loro preziosissimo contributo scientifico il professor Cesare Massimo Bianca, libero docente di diritto civile, e Mirzia Bianca, professoressa di istituzioni di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma “La Sapienza”, i presidenti della I sezione civile dei tribunali di Roma e del tribunale di Firenze, i rappresentanti dell'Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia, del Consiglio nazionale forense e dell'Organismo congressuale forense, nonché dell'Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori. Obiettivo dell'intervento normativo è quello di garantire un equo bilanciamento degli interessi in gioco in occasione dello scioglimento del matrimonio e dell'unione civile, evitando che tale circostanza sia causa di un indebito arricchimento, da una parte, o di un degrado esistenziale del coniuge economicamente debole.

Appare, a mio avviso, così ancora, in questo nuovo e proficuo esame, necessario considerare che proprio nella direzione che indica il nostro ordinamento sono orientati gli ordinamenti europei, dove è tenuta presente l'esigenza che al coniuge divorziato debole venga dato un aiuto economico destinato, per quanto possibile, a compensare la disparità o lo squilibrio economico creato dallo scioglimento del matrimonio o dell'unione civile. L'accertamento del diritto all'assegno si dovrebbe, a mio avviso, così come era nella formulazione originaria della proposta di legge in esame, articolarsi in due fasi: la prima volta ad accertare in astratto il diritto a percepire l'assegno; la seconda finalizzata alla sua determinazione in concreto.

All'esito dell'istruttoria svolta dalla Commissione, il testo originario del provvedimento, che riproponeva per larga parte quello proposto nella passata legislatura, è stato parzialmente modificato, al fine di tener conto di alcuni dei rilievi e delle osservazioni emersi anche nel corso delle audizioni.

Il testo risultante dagli emendamenti approvato dalla Commissione di merito si compone di due articoli, attraverso i quali si modifica l'articolo 5 della legge sul divorzio, con effetto anche sui procedimenti per lo scioglimento del matrimonio già in corso. In particolare, i commi 1 e 2 dell'articolo 1 della proposta di legge intervengono sull'articolo 5 della citata legge sul divorzio, ripartendo su due commi i contenuti dell'attuale sesto comma, aggiungendo due ulteriori commi, nonché provvedendo ad abrogarne l'attuale decimo comma per ragioni di coordinamento normativo.

Durante l'esame in Commissione, come dicevo, è stato cambiato il comma 1 dell'articolo; ciò non impedisce, però, di esplicitare, attraverso questa mia breve relazione, anche la volontà del legislatore, per aiutare e dare strumenti alla funzione ermeneutica a cui è chiamato il giudice. A parere della sottoscritta, ma anche di autorevoli auditi, la previsione del primo comma rispettava e rispecchiava anche le Sezioni Unite della Cassazione e dava atto della natura composita dell'assegno di divorzio che, occorre ricordare, ha una natura assistenziale, compensativa e risarcitoria, fornendo sostanza e le necessarie premesse anche rispetto all'introduzione del comma 2, dove sono elencati i criteri per la determinazione dell'assegno medesimo. In base al nuovo sesto comma, con la sentenza di divorzio il tribunale può disporre l'attribuzione di un assegno a favore di un coniuge, tenuto conto di una serie di circostanze, elencate dal successivo nuovo settimo comma. Rispetto alla normativa vigente, che collega il diritto di uno dei due coniugi a percepire l'assegno quando è sprovvisto di mezzi adeguati o nell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, il testo in esame elimina questo presupposto. Altre novità riguardano gli elementi da valutare, per la determinazione del quantum dell'assegno periodico, da parte del tribunale, che diventano oggetto di un nuovo settimo comma, in base al quale l'attuale ampio concetto di condizioni dei coniugi - che per la giurisprudenza comprende le condizioni sociali e di salute, l'età, le consuetudini, il sistema di vita dipendente dal matrimonio, il contesto sociale ed ambientale in cui si vive, in quanto idonei ad influenzare le capacità economiche e di guadagno dei coniugi - è sostituito da quello, più specifico, di condizioni personali ed economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito della fine del matrimonio. Il richiamo attuale alle ragioni che hanno motivato la cessazione del matrimonio è soppresso; la valutazione della situazione economica non è più circoscritta al solo reddito, ma è estesa anche al patrimonio dei coniugi; viene confermata la valutazione del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, come già previsto dall'attuale sesto comma dell'articolo 5 della legge n. 898 del 1970.

Rispetto al testo vigente, la durata del matrimonio è indicata, nella proposta di legge, come elemento valutativo autonomo; sono poi aggiunti ulteriori elementi di valutazione quali: l'impegno di cura personale di figli comuni minori, disabili o non economicamente indipendenti, la ridotta capacità di reddito dovuta a ragioni oggettive e la mancanza di una adeguata formazione professionale quale conseguenza dell'adempimento di doveri coniugali, l'età o lo stato di salute del soggetto richiedente. Si tratta, sostanzialmente, di un rafforzamento mediante il riconoscimento con legge di specifici elementi di valutazione già comunque operanti in sede giurisprudenziale.

Con il nuovo ottavo comma, la proposta di legge introduce un'altra innovazione all'attuale disciplina, prevedendo che, ove la ridotta capacità di produrre reddito da parte del coniuge del richiedente sia momentanea, dovuta, quindi, a ragioni contingenti o superabili, il tribunale possa attribuire l'assegno anche solo per un determinato periodo. Con l'inserimento di un nono comma la proposta di legge afferma che l'assegno non è dovuto in caso di nuovo matrimonio, nuova unione civile o stabile convivenza - così come previsto dall'articolo 1, comma 36, della legge 20 maggio 2016, n. 76, la cosiddetta legge Cirinnà - anche non registrata. Come dicevo, la proposta di legge afferma che l'assegno non è dovuto in caso di nuovo matrimonio, nuova unione civile o stabile convivenza del richiedente e precisa che il diritto all'assegno non rivive a seguito della cessazione del nuovo vincolo e del nuovo rapporto di convivenza. Di conseguenza, il comma 3, introdotto durante l'esame in sede referente, sopprime il decimo comma del vigente articolo 5 della legge sul divorzio, che esclude l'obbligo di corresponsione dell'assegno in caso di nuove nozze, in quanto tale previsione è assorbita nel nuovo nono comma del predetto articolo che ho appena illustrato.

Il comma quarto dell'articolo 1 della proposta di legge in esame conferma l'applicazione delle nuove disposizioni sull'assegno di divorzio anche allo scioglimento delle unioni civili, unioni civili di cui abbiamo appena festeggiato i tre anni di introduzione, e le modifiche a tale ultima disposizione hanno, infatti, natura di coordinamento con la illustrata novella dell'articolo 5 della legge sul divorzio.

 

L'articolo 2 della proposta di legge, infine, contiene la norma transitoria in base alla quale i nuovi presupposti e i criteri per il riconoscimento dell'assegno di divorzio si applicano anche ai procedimenti per lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio in corso.