Discussione generale
Data: 
Lunedì, 22 Maggio, 2023
Nome: 
Federico Gianassi

Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, quando ci accingiamo a parlare e riflettere con la finalità di assumere iniziative istituzionali, in questo caso parlamentari, sul tema del terrorismo e sulle responsabilità di coloro che hanno aderito a movimenti terroristici, io credo che dobbiamo innanzitutto partire, avendo riguardo alla sofferenza e al dolore delle vittime e dei familiari delle vittime. La sfida che coinvolge le istituzioni è contribuire a ricercare la verità e la giustizia, innanzitutto nell'interesse e nella tutela delle vittime e dei loro familiari, con un approccio delle istituzioni fermo e rigoroso nell'accertamento della verità, nell'individuazione delle responsabilità e nell'esecuzione delle pene, mantenendo sempre un collegamento strettissimo con coloro i quali hanno subìto un danno irreparabile e per i quali, dall'afflizione e dal compimento degli atti terroristici, hanno subito l'interruzione delle loro vite e l'inizio di una nuova vita, molto difficile, angosciante e piena di sofferenze. Le istituzioni devono stare accanto, curare, proteggere, essere in una relazione persino sentimentale con chi ha subìto la tragedia, la violenza e l'ottusità del terrorismo. Io credo che sia con quest'approccio e con questo riguardo che le istituzioni devono essere protagoniste di un percorso finalizzato all'accertamento della verità e all'esecuzione delle pene nei confronti di coloro che sono stati giudicati responsabili di crimini gravissimi.

Oltre a questo faro, che deve guidarci nell'assunzione delle decisioni, io credo che sia opportuno, da parte delle forze politiche e istituzionali, inquadrare il fenomeno del terrorismo su un piano generale e globale, perché possiamo trarre alcuni spunti di riflessione anche sui cedimenti e le debolezze delle istituzioni statali, per lungo tempo manifestati nei confronti del fenomeno del terrorismo. Non è un caso che, nella comunità internazionale, la previsione e la codificazione, attraverso il sistema delle convenzioni bilaterali e multilaterali, dei crimini internazionali abbia lasciato per troppo tempo al di fuori del recinto del diritto internazionale penale il crimine del terrorismo. Per molto tempo non si sono avute convenzioni internazionali che definissero il terrorismo, che lo punissero e che obbligassero gli Stati a esercitare una repressione. Vi sono stati diversi interventi convenzionali rispetto ad alcuni specifici atti di terrorismo. Questo è avvenuto per lungo tempo, perché c'è stato un dibattito aperto nella comunità internazionale rispetto all'atteggiamento che gli Stati avrebbero dovuto assumere in relazione al terrorismo.

Fortunatamente, negli ultimi decenni vi è stata una maturazione della comunità internazionale e del pensiero giuridico internazionale e oggi, a differenza del passato, possiamo assumere che anche il terrorismo è un crimine internazionale, sia quando è qualificato come crimine contro l'umanità sia quando è qualificato come crimine di guerra in un contesto di guerra, ma anche come autonomo crimine internazionale. Certamente, è internazionale quando il crimine è commesso in relazione ad azioni che hanno una capacità transnazionale e non è il caso del terrorismo italiano, ma la maturazione della comunità internazionale rispetto al fenomeno del terrorismo è, comunque, un fatto importante, anche in relazione ai rapporti tra gli Stati nella reazione rispetto ai fenomeni nazionali del terrorismo.

In effetti, anche con riferimento alla vicenda francese abbiamo assistito, seppure con lentezza, a un mutamento dell'orientamento delle istituzioni politiche francesi rispetto al trattamento da assumere nei confronti di terroristi che si sono macchiati di crimini gravissimi e che sono poi riparati in Francia. Non è un caso - è stato detto nella relazione, rispetto a questi lavori - che finalmente il Governo francese e il Presidente Macron hanno assunto un orientamento diverso e oggi ci troviamo nel caso opposto e paradossale in cui non vi è più un'obiezione politica e istituzionale della Repubblica francese, ma è l'autorità giudiziaria francese ad avere bloccato il processo di estradizione. Vi è stata, però, un'evoluzione. Questo, nella comunità internazionale, è un fatto positivo, che consente anche all'Italia, al Governo e ai suoi rappresentanti, nelle sedi internazionali competenti, di agire affinché sia sempre più forte il sentimento di reazione rispetto a un crimine odioso, che non può avere mai giustificazione alcuna. Se in passato - e forse questo fu uno dei motivi che rese difficili i lavori della comunità internazionale - furono associate, successivamente alla fine del secondo conflitto mondiale, azioni terroristiche in relazione alle azioni di movimenti di liberazione nazionale, ormai è da molti decenni che questo tema è stato superato. Vi è stato un terrorismo di tipo politico, come quello a cui abbiamo assistito nel nostro Paese, con un terrorismo che si è ispirato a ideologie di sinistra e un altro a ideologie di destra, ma entrambi hanno avuto una matrice comune: la violenza barbara e ingiustificabile contro persone delle istituzioni e cittadini civili. Successivamente, abbiamo assistito anche a forme diverse, quali il terrorismo di matrice religiosa, anch'esso violentissimo e barbaro, contro il quale contrapporre una comunità internazionale degli uomini e delle donne forte e democratica.

Rispetto a queste aperture della comunità internazionale degli ultimi decenni, io credo che possiamo dire - e qui vengo al terzo punto della riflessione che possiamo svolgere - che, invece, l'Italia, avendo pagato un prezzo altissimo, ben prima di altri Paesi, ha lavorato, all'interno del perimetro nazionale, per contrastare le forme violente del terrorismo, con una legislazione certamente speciale finalizzata a contrastare quei fenomeni odiosi e in tutte le sedi - nel dibattito nazionale, con i partiti dell'arco costituzionale - ha cercato di evidenziare che tutte le azioni di terrorismo che vengono effettuate con finalità politica non sono azioni politiche, ma azioni di violenza che strumentalizzano le idee politiche. Non c'è alcuna fede politica che possa essere accomunata al terrorismo.

Il terrorismo è barbarie, è negazione delle fedi politiche che hanno diritto di confrontarsi, anche in modo duro e aspro, ma nel rispetto dei valori fondamentali di una comunità, che sta, appunto, nel rispetto della persona, delle idee altrui, della salute e della salvaguardia delle altre persone.

Rispetto a questo contesto bene ha fatto il Governo precedente, il Governo Draghi con la Ministra Cartabia, a non dare per scontato ciò che non può essere scontato, cioè che autori di crimini gravissimi, condannati in via definitiva dalla giustizia italiana, siano riparati da anni all'estero e non abbiano scontato la loro pena, senza mostrare, come è stato detto nell'intervento che mi ha preceduto, segni di pentimento. Addirittura, talvolta hanno sottoposto le vittime a giudizi offensivi, denigratori e privi di qualunque forma di umanità e rispetto per il dolore arrecato. Dunque, bene hanno fatto le istituzioni francesi ad aprire la strada a una diversa risposta delle autorità francesi rispetto al rifiuto dell'estradizione in passato manifestato.

Tuttavia, se vi è stata un'apertura politica e istituzionale, le autorità giudiziarie francesi hanno assunto il posizionamento del diniego all'estradizione in modo definitivo con la sentenza della suprema corte francese dei mesi scorsi. Le argomentazioni che sono state addotte, cioè la violazione di due articoli della Convenzione europea per i diritti dell'uomo, l'articolo 6 sull'equo processo e l'articolo 8 sulla tutela del diritto a una vita familiare, non possono essere accettate, innanzitutto perché la contestazione sull'istituto della contumacia che muovono le autorità giudiziarie francesi, che renderebbe, a loro dire, non equo il processo che si svolge in Italia, è un'affermazione tecnicamente non accettabile. Infatti, il sistema processuale italiano è composto da guarentigie, da sistemi di tutela e di protezione e si svolge in condizione di parità tra le parti; in secondo luogo, perché, come è già stato detto, il diritto all'unità familiare è un diritto fondamentale del quale sono state private le vittime del terrorismo, quei giovani che hanno perso i padri e le madri, quei padri che hanno perso i figli, i mariti che hanno perso le mogli e le mogli che hanno perso i mariti, tutti quegli uomini e quelle donne che, in Italia e altrove, hanno perso improvvisamente, in modo violento, un proprio affetto in modo irrimediabile e, come dicevo prima, senza loro volontà costretti a vivere una nuova e difficile vita.

Quindi, è opportuno mantenere coerenza con gli intendimenti assunti nel recente passato e continuare a lavorare perché giustizia possa essere fatta, sempre mantenendo quel collegamento necessario con i familiari delle vittime, faro dell'azione che deve ispirare le istituzioni.

Sul punto io ritengo che sia necessario allargare il nostro sguardo. Nell'intervento che sto svolgendo ho cercato di inquadrare il tema nazionale che noi viviamo dentro un contesto internazionale molto complesso, che sembra aver preso una strada finalmente convincente dopo decenni di ritardo. Credo che anche il nostro approccio nella gestione dei casi che ci riguardano debba essere il più largo e generale possibile. Se noi vogliamo - e dobbiamo farlo - lavorare insieme per consentire che la giustizia faccia il suo corso, che i responsabili di reati gravi paghino il prezzo delle loro responsabilità e che si realizzino meccanismi riparatori a tutela delle vittime è necessario, innanzitutto, prendere un impegno generale, privo di condizionamenti territoriali, che riguarda il contrasto al terrorismo.

Quindi, l'auspicio che mi sento di rivolgere è che l'impegno che chiediamo al Governo sia un impegno generale, che riguardi i terroristi riparati in Francia e gli altri riparati altrove che ancora non sono stati restituiti all'Italia per l'esecuzione delle responsabilità che sono state certificate in sede giudiziaria. Penso a chi è riparato in Nicaragua, a chi è riparato in Giappone e a chi è fuggito in Argentina: terroristi rossi e terroristi neri che hanno offeso gli ideali politici usando la violenza, provocando morte e disperazione.

Il secondo impegno che credo dobbiamo chiedere al Governo è che non solo lavori con grande determinazione in tutti gli scenari internazionali e nelle relazioni bilaterali con gli Stati nei quali i terroristi si sono rifugiati, ma anche che, per chi è all'interno del nostro Paese, il Governo assuma sempre una posizione chiarissima, integerrima, intransigente in relazione al contrasto del fenomeno del terrorismo. In questo senso, lo dico senza sollevare polemiche ma per offrire uno spunto di riflessione o un contributo, noi abbiamo stigmatizzato la costituzione tardiva del Governo italiano nel procedimento penale di Brescia. È qui accanto a me il collega Gian Antonio Girelli, bresciano, ma non è un tema solo della città di Brescia, è un tema nazionale. La strage di piazza della Loggia a Brescia è stato uno degli attentati terroristici più gravi che abbiamo vissuto negli anni del terrorismo e, dunque, l'estromissione del Governo italiano dal procedimento, in qualità di parte civile, per la tardiva costituzione è una ferita grave. L'appello che noi rivolgiamo, quindi, è che sulle tematiche relative al contrasto del terrorismo, anche per fatti molto risalenti nel tempo, vi sia sempre la massima attenzione, per tutte le vicende che hanno insanguinato il Paese, nei confronti di tutti coloro che sono stati dichiarati responsabili o che sono sotto processo per gravissime responsabilità.

Lo dobbiamo a noi stessi, all'amore, credo, che ognuno di noi, con idee diverse, attribuisce alla politica, all'importanza che riconosciamo alle istituzioni e, ancora una volta, all'impegno che dobbiamo mettere nel rispetto e nella vicinanza verso le vittime. Mi ha molto colpito in questi giorni un dibattito che si è aperto in Spagna, altro Paese che ha subìto il terrorismo, in particolare nei Paesi Baschi. Nei prossimi giorni, nelle elezioni amministrative nei Paesi Baschi la coalizione Euskal Herria Bildu candiderà alcune persone che in passato sono state vicine all'ETA. Hanno scontato le loro responsabilità e i giudici spagnoli hanno dichiarato che è del tutto legittima la loro candidatura ma si è aperto un dibattito politico.

Rispetto a una posizione molto forte che aveva espresso, la candidata del Partito Popolare alla presidenza della Comunità di Madrid che, stigmatizzando questo fatto, aveva dichiarato “l'ETA è viva, è nel potere attraverso le candidature di queste persone”, ha ricevuto una risposta molto dura e forte dalle vittime del terrorismo. “Si smetta di dire atrocità, ci risparmi il dolore di sentire che ETA continua a vivere, glielo chiedo per favore”, ha dichiarato un figlio delle vittime, “se davvero vuole rispettare le vittime del terrorismo che lottano per la memoria e per la giustizia”. Mi hanno sorpreso, perché sono le parole delle vittime rispetto a un posizionamento politico e di critica durissima verso una coalizione che aveva aperto nelle proprie liste a candidati che avevano avuto rapporti con un movimento terroristico. Questo dimostra quanta è, ovviamente e naturalmente, la sensibilità delle vittime, rispetto alla quale la politica non può permettersi passi falsi, incoerenze, titubanze, sottovalutazioni e nemmeno facili opportunismi. È la nobiltà della politica che pretende prima di tutto serietà e vicinanza alle vittime, costi quel che costi. È quindi un appello che rivolgo a tutti, convinto che possa essere raccolto, perché non è polemico ma vuole offrire uno spazio di riflessione comune.

Dunque, se l'approccio è generale, per tutti i fatti insisteremo e per tutti i responsabili di crimini gravi ci adopereremo affinché questi ultimi possano rispondere delle azioni che hanno commesso e, se lo dobbiamo fare e lo facciamo nel rispetto delle vittime, affianchiamo nella nostra riflessione anche il tema della riparazione del danno. Effettivamente, alcuni interventi di familiari delle vittime, anche da questo punto di vista, come in Spagna, aprono spazi di riflessione. Come a dire, è importante il processo penale, è importante l'esecuzione della pena, perseguiamoli entrambi, ma sono importanti anche ulteriori fatti.

Nel nostro Paese, anche sul tema della giustizia riparativa, abbiamo aperto una riflessione. Per molti decenni, nel nostro codice di procedura penale la parola “vittima” non è quasi esistita, era quasi espunta dal codice. Con l'ultima riforma, hanno contribuito partiti che oggi stanno in maggioranza, come altri che oggi sono in minoranza, è stato introdotto il principio, il modello della giustizia riparativa. Il nuovo Governo dovrà, in qualche modo, garantirne l'esecuzione e l'applicazione, ma è un tema importante, culturalmente importante, perché c'è un'esigenza repressiva delle istituzioni statuali, ma c'è l'esigenza di rendere le vittime protagoniste dei percorsi di accertamento delle responsabilità finalizzati alla riparazione, se è possibile, nelle forme in cui è possibile, attraverso il coinvolgimento delle vittime dei gravi crimini che sono stati commessi.

Le frasi odiose, prive di qualunque umanità, rivolte nei confronti dei fatti di sangue e pronunciate da coloro che hanno commesso quei fatti, sono terribili, perché rappresentano nuove ferite mortali per i familiari delle vittime. D'altronde, sempre per fatti gravissimi, il modello della giustizia riparativa è stato aperto nel mondo - penso al caso sudafricano - da Nelson Mandela, che pure aveva molte ragioni per pretendere una giustizia punitiva: decenni chiuso in una piccola cella da un regime razzista. Una volta liberato e dopo aver vinto democraticamente le elezioni, propose al Paese un percorso di accertamento della verità e di riconciliazione, nell'interesse esclusivo delle vittime.

È dunque un ulteriore spunto di riflessione, insieme alle giuste azioni che intraprenderemo e che intraprenderà il Governo per ottenere la consegna delle persone, laddove vi fossero le condizioni. Ho visto che c'è stata una riscrittura del testo, è oggettivamente più cauta, ma non voglio entrare in tecnicalità. Resta il principio politico, l'impegno che il Governo assumerà per mantenersi coerente con quanto è stato fatto per la consegna delle persone e il sostegno alle vittime nelle sedi giudiziarie, se sarà la Corte europea dei diritti dell'uomo, e, comunque, l'allargamento del nostro impegno su questo tema, lo ripeto, con coerenza, intransigenza, vicinanza e amore verso i tanti italiani e le tante italiane che hanno pagato un prezzo altissimo e meritano di avere le istituzioni e la politica vicine, senza distinzione di colore, con un unico colore, quello della giustizia e della verità.