Presidente, colleghe, colleghi, signor sottosegretario, il Meccanismo europeo di stabilità, istituito, come ricordato, nel 2011 e poi ratificato nel 2012, ha avuto un percorso alquanto accidentato sotto il profilo dell'opinione politica e pubblica, probabilmente a causa del fatto di essere una organizzazione intergovernativa regolata dal diritto pubblico internazionale e istituita mediante un trattato intergovernativo, quindi al di fuori del quadro giuridico europeo; e probabilmente anche a causa del fatto che la governance è nelle mani dei Governi nazionali, i quali hanno delegato la Commissione europea solo ad un ruolo di supervisione e di mediazione rispetto ad alcuni aspetti dell'esecuzione delle decisioni e degli interventi. Il MES, infatti, è guidato dal Consiglio dei governatori, composto dai ministri delle finanze degli Stati membri dell'Eurozona, e assume le decisioni all'unanimità ovvero con altre maggioranze qualificate.
Ricordiamo però che, quando fu introdotto per sostituire precedenti dispositivi di protezione che non avevano sortito alcun effetto, ottenne il risultato per cui era stato istituito, cioè arginare la speculazione nei confronti dei titoli di Stato dei Paesi più deboli dell'Eurozona, riportando il differenziale dello spread a livelli fisiologici; in questo modo - dobbiamo ricordarlo - favorendo anche il salvataggio del sistema bancario. In una fase di contrazione dell'economia, molte banche avevano investito ingenti risorse in titoli di Stato. Se non ci fosse stata l'azione del MES, e quindi una riconduzione a un equilibrio fisiologico dello spread, probabilmente avremmo assistito ad una problematica difficilmente risolvibile di capitalizzazione del sistema bancario. È stato ricordato che nel 2017 è iniziata un'attività di riforma e che questa attività di riforma è al palo, non è stata completata.
Questa attività di riforma, a parte immaginare la trasformazione del MES in un vero e proprio fondo monetario europeo, introduce una linea di credito a sostegno del Fondo di risoluzione istituito dal regolamento n. 806 del 2014. Ricordo a me stesso che questo fondo è basato sulla mutualizzazione del rischio finanziario ed è alimentato da tutte le banche del sistema dell'area euro, con un percorso che, come è stato ricordato prima, è iniziato e presumibilmente andrà a regime nel 2024. Il Fondo unico, ricordo ancora, interviene solo dopo il Fondo nazionale di risoluzione dello Stato in cui ha sede la banca e sempre che, a sua volta, le risorse degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati non siano sufficienti a salvare la banca. Tre sono le considerazioni, a mio parere, che dovrebbero spingere il Governo a ratificare rapidamente le modifiche del Trattato.
Innanzitutto, la riforma iniziata nel 2017 sembra finalmente inserire pienamente il MES nel diritto europeo, che è un passaggio direi fondamentale vista la genesi del MES stesso. Per esempio, a titolo esemplificativo, gli MoU (Memorandum of Understanding), che saranno sottoscritti per alcune ipotesi di prestito, dovranno essere sottoposti e preceduti da una valutazione di impatto sociale. Quindi gli stessi MoU dovranno sottostare alla normativa sulla better regulation europea, che prevede una valutazione economica ex ante della sostenibilità del prestito stesso. In secondo luogo, e questo è un elemento ancora più importante, se è vero che il diritto di voto rimane vincolato alle quote sottoscritte, è vero anche che alcune categorie di voto per alcune operazioni, in particolare quelle sulla sottoscrizione dei ricordati MoU all'85 per cento, obbligano i due principali sottoscrittori del MES, cioè Francia e Germania, che da soli hanno quasi il 50 per cento dello stesso MES, a raggiungere un accordo certamente con l'Italia, che è il terzo sottoscrittore, e molto probabilmente con altri Stati più piccoli dell'area Euro.
Conseguentemente, il MES non sarà mai ad esclusivo appannaggio dei creditori diretti che, attraverso un meccanismo di voto diverso, avrebbero potuto trasformare l'interesse europeo a salvaguardare un Paese in difficoltà nell'interesse del creditore più esposto. Il terzo elemento da considerare riguarda il fatto che, ampliando la riforma i compiti del MES e sostanzialmente trasformandolo nel backstop del Fondo unico di risoluzione bancaria, contribuisce al raggiungimento del secondo pilastro dell'unione bancaria, peraltro in scia con quanto il nostro Paese chiede da tempo. Si tratta, quindi, di una vera e propria mutualizzazione dei rischi che sotto il profilo della solidarietà europea mi sembra un ottimo segnale ed è un ulteriore viatico verso il progetto dell'unione bancaria, fino, ci auguriamo, ad aprire una discussione per la creazione di un vero e proprio meccanismo di mutualizzazione delle perdite.
Quindi, la costituzione del fiscal backstop al Fondo unico di risoluzione delle banche nell'ambito del sistema della gestione delle crisi e la creazione di uno schema di garanzie comune per i depositanti degli istituti di credito soggetti al meccanismo unico di vigilanza sono obiettivi di politica europea fondamentali, il cui raggiungimento, tuttavia, richiede prima la piena attuazione del processo di riforma del MES. È quindi opportuno completare l'attuale negoziato di modifica del MES e il Governo, alla luce delle considerazioni precedenti, dovrebbe procedere senza ulteriori indugi alla ratifica della riforma del Trattato istitutivo del MES, presentando il relativo disegno di legge in tempi brevi.
Infine, Presidente, in un momento storico in cui a livello nazionale ha ripreso quota la discussione sull'autonomia differenziata e sul federalismo fiscale, sarebbe opportuno utilizzare la discussione in atto sul MES, superando l'attuale assetto intergovernativo dello stesso, per dotare l'Unione europea di una vera e propria fiscalità europea, per alimentare un bilancio federale in grado di sostenere concretamente e in maniera continuativa politiche di investimento e di crescita, in particolare nei settori della transizione energetica e del Green New Deal. Va quindi rafforzato il processo di discussione avviatosi nell'ultimo decennio, in particolare relativo alla mancanza di una struttura fiscale europea in grado di emettere titoli di debito pubblico. La cosiddetta enforcement capacity dell'Unione europea, cioè la capacità dell'Unione europea di recuperare le risorse dai propri Stati membri, renderebbe questi titoli, i titoli emessi, molto appetibili sul mercato internazionale.
D'altra parte, guardiamo quello che è successo al rating delle obbligazioni emesse dal MES, che hanno una tripla A, benché non abbiano nessuna garanzia né reciproca, né di cassa. Quindi esiste un enorme spazio di intermediazione del debito in capo all'Unione. Questa situazione suggerisce l'esistenza di un potenziale inespresso da parte dell'Unione. Porre, quindi, in un unico contenitore, quota parte delle entrate fiscali nazionali e quota parte dei debiti dei Paesi membri protetti dalla potenza di fuoco dell'Unione europea, può aumentare il potenziale di finanziamento dell'intera Unione europea. Questo consentirebbe, da un lato, di ridurre il costo del finanziamento a cui oggi è sottoposta l'Unione europea e sosterrebbe, al contempo, la BCE nelle operazioni sui mercati dei debiti, ponendo le basi per una programmazione e uno sviluppo di settori strategici che richiedono forme di finanziamento continuativo