Grazie, signor Presidente. È del tutto evidente che il MES sia stato elaborato in una fase diversa da quella di oggi, perché il MES, come è stato ricordato in molti interventi, è stato elaborato tra il 2010 e il 2012, nel pieno della crisi economica che ha colpito soprattutto i Paesi industriali tra il 2008 e il 2015 e che ebbe il suo epicentro nella crisi greca, come ricordiamo. E fu pensato, elaborato e costruito come un meccanismo di assistenza finanziaria a Paesi in difficoltà in quella temperie, il che spiega perché il MES continui ad avere, come sottostanti, ad esempio, i parametri di Maastricht nella dimensione del 3 per cento e del 60 per cento, quando sappiamo tutti, ma questo credo non sia un elemento di dissenso tra noi, che quei parametri furono definiti in quella dimensione in un'altra fase. Si stabilì il parametro del 60 per cento, perché il 60 per cento era la media del debito pubblico dei Paesi dell'Unione europea in quel momento; oggi, sappiamo tutti che la media è molto più alta e, quindi, è evidente che, per esempio, il riferimento a quei parametri è superato. D'altra parte, la definizione del nuovo Patto di stabilità, che è uno degli oggetti principali del dibattito europeo di qui ai prossimi mesi, affronterà anche questo tema.
Conosciamo benissimo i limiti di una politica monetarista che assumeva l'equilibrio di bilancio come unico e prioritario elemento e che è stata messa in discussione proprio alla luce della sua inadeguatezza a fare fronte ai problemi che via via la crisi faceva maturare nella vita economica dei Paesi europei. Tanto è vero che quella politica è stata via via superata e il COVID è stato l'occasione per, formalmente, mettere in campo una politica che non assumesse più il rigore di bilancio come l'obiettivo fondamentale, ma invece fosse finalizzata, la politica economica europea, a una strategia espansiva ed è evidente, quindi, che anche il MES è stato e continua a essere in via di ridefinizione alla luce di questa evoluzione.
La riforma del Trattato istitutivo, che è stata appunto proposta e che è oggi all'esame del nostro Parlamento, va esattamente nella direzione di ridefinire tutti gli strumenti di governance economica e finanziaria, alla luce della situazione nuova che si è determinata, che devono essere tutti ispirati ad una strategia espansiva e di crescita. Tra l'altro, noi non stiamo ratificando, qui, decidendo, qui, di accedere al MES e ai suoi finanziamenti, stiamo decidendo di ratificare il Trattato in modo tale che quel Trattato riformato possa entrare in vigore e i Paesi che decidono di utilizzarlo lo possano fare secondo le nuove modalità.
Io vorrei rivolgermi al collega Scerra, che ha rivendicato il fatto che in pieno COVID il Governo di allora non abbia voluto accedere alla linea di credito particolare che era stata attivata per i problemi sanitari e che era una linea di credito che, ricordo, semplificava le procedure e garantiva un finanziamento a un tasso d'interesse dello 0,1 per cento, che nessun mercato sarebbe in grado di offrire, e che per l'Italia cubava 37 miliardi. Ora, siccome lo stanziamento globale per la sanità in Italia negli ultimi anni si è aggirato tra i 120 e 128 miliardi, 37 miliardi in più significavano un quarto o quasi un terzo in più di risorse per il sistema sanitario, quindi, non so se sia stato così giusto non accedervi e oggi rivendicare di averlo fatto. Comunque, cosa fatta, capo ha, soltanto per chiarezza di cronaca.
In ogni caso, sulla base delle valutazioni che sono contenute nelle mozioni, da parte nostra noi sosteniamo, che sia necessario ratificare il Trattato in ragione tale che con la ratifica nostra e della Germania il Trattato possa entrare in vigore, il che non esclude affatto che continui una evoluzione riformatrice di questo Trattato nella direzione di quello che è poi l'obiettivo fondamentale, cioè dentro la riorganizzazione del sistema di governance, dare vita a un Fondo monetario europeo.
Tuttavia, questa vicenda - ed è la cosa su cui voglio richiamare l'attenzione dei colleghi - è una vicenda che, mi pare, illumini bene un tema che sottostà al dibattito sul rapporto nostro con l'Europa, ormai da tempo. Mi riferisco al tema del rapporto tra la sovranità nazionale e le politiche europee, perché ieri Bagnai, che ho ascoltato con grande attenzione, e l'onorevole Tremaglia si sono dilungati non solo nell'evocare quelli che secondo loro sono i limiti del MES, ma anche, come dire, assumendo i limiti del MES come la metafora di un'Unione europea inadeguata, di un'Unione europea che non è in grado di assolvere ai propri compiti, di un'Unione europea che, pur essendo inadeguata, però, pretende di decidere cose che invece devono decidere altri e via di questo passo.
Ora, io ho ascoltato questi interventi e mi permetto di dire, rispettando l'opinione dei colleghi, che sia nell'intervento dell'onorevole Tremaglia sia nell'intervento dell'onorevole Bagnai si confondono le cause con gli effetti, perché l'Unione europea è un'istituzione sovranazionale i cui soci sono i 27 Paesi dell'Unione europea. L'Unione europea è una società per azioni i cui azionisti sono i 27 Paesi e, usando questa metafora, se i soci azionisti non capitalizzano, il consiglio d'amministrazione e l'amministratore delegato della società, cioè le istituzioni comunitarie, non possono agire o, comunque, sono impotenti. Quindi, continuare a puntare il dito contro le istituzioni comunitarie e le istituzioni europee, indicandole come causa di tutti i mali, quando invece semmai queste istituzioni pagano nella loro attività continuamente le aporie, le contraddizioni, i limiti del concorso, da parte dei Paesi sovrani, alle politiche europee, è confondere cause ed effetti.
Vogliamo degli esempi concreti, prima ancora che il MES? In quest'Aula, tutti i Governi che si sono succeduti in questi anni hanno posto il problema di andare oltre il Regolamento di Dublino in materia migratoria, perché sappiamo come questo strumento sia assolutamente inadeguato. Ma guardate che una proposta per andare oltre il Regolamento di Dublino la Commissione europea l'ha messa sul tavolo e il Parlamento europeo ha, addirittura, adottato una sua risoluzione a larghissima maggioranza. Se, poi, quella proposta è ferma è perché una serie di Stati, dalla Danimarca all'Austria, dalla Polonia all'Ungheria o alla Slovacchia, si rifiuta di dare corso a quella proposta. Sono gli Stati sovrani nazionali che in questo caso bloccano la possibilità di andare oltre il Regolamento di Dublino e di avere una politica migratoria europea più efficace, di cui in primo luogo beneficino i Paesi, come l'Italia, che pagano i prezzi più grossi dell'inadeguatezza di quella politica.
Vogliamo fare un altro esempio? La Presidente del Consiglio, nel suo discorso di insediamento, ha detto: ma vi pare ragionevole che l'Europa, che è nata con la CECA, mettendo insieme carbone e acciaio, a 70 anni da quella scelta non abbia ancora una politica energetica comune? Ebbene, chi è che non vuole la politica energetica comune? Perché la proposta dell'Unione energetica la Commissione l'ha messa sul tavolo; è una serie di Paesi che si rifiuta, privilegiando le proprie politiche energetiche, di mettere in campo una politica energetica comune.
Ancora, si denunciano spesso le contraddizioni, i limiti, le aporie - ed è vero - della politica estera e di sicurezza comune, ma questo accade perché molti Paesi tendono a privilegiare più le scelte di politica estera propria che non concorrere a una politica estera comune e il MES è la stessa cosa, perché poco fa la rappresentante della Lega ci ha ricordato come è fatto il board del MES e il board del MES è fatto dai Ministri dei Paesi membri di quella istituzione o da esperti nominati dai Ministri e dai Governi. Quindi, se il MES funziona o non funziona lo si deve addebitare non al meccanismo in quanto tale, ma alle volontà di coloro che quel meccanismo sono chiamati a far funzionare, che sono ancora una volta gli Stati nazionali.
Allora, io non ho un approccio ideologico, al contrario. Proprio perché sono un europeista convinto per ragioni di merito, non posso non vedere che, se l'Europa oggi è spesso fragile, se l'Europa oggi è spesso debole, se meccanismi come quelli del MES hanno tutte le contraddizioni che qui sono state dette, non si può scaricare questa responsabilità sulle istituzioni europee, quando le istituzioni europee sono le prime ad essere penalizzate dalla incapacità dei Paesi che sono membri delle istituzioni comunitarie di assumere fino in fondo le proprie responsabilità, con responsabilità comune.
Allora - e finisco - la Presidente del Consiglio e questo Governo usano quasi quotidianamente la categoria dell'interesse nazionale, facendo credere che c'è chi quell'interesse nazionale lo ignora o lo nega - che saremmo noi - e chi, invece, come l'attuale maggioranza, lo salvaguarda. L'interesse nazionale lo riconosciamo tutti, tutti i Paesi hanno degli interessi nazionali, non è in discussione l'esistenza degli interessi nazionali: in discussione è come e dove si tutelano meglio. Allora, per non farla lunga, vi faccio un esempio. In questo Parlamento non si è ancora proceduto alla ratifica del Trattato di libero scambio tra l'Unione europea e il Canada e il Giappone e - ho finito - la Lega e Fratelli d'Italia si rifiutano di ratificare questi due Trattati in nome della tutela degli interessi del Paese. Vi segnalo che da quando questi Trattati sono entrati in vigore con il regime transitorio, che permette di entrare in vigore fino alla ratifica completa, le esportazioni italiane in Giappone e in Canada sono aumentate del 25 per cento. Allora, gli interessi delle imprese italiane che esportano su quei mercati si difendono meglio con l'esibizione di muscoli o, invece, concorrendo a una politica europea che, come in questi casi, dimostra di tutelarli meglio? È bene che questo punto sia chiaro una volta per tutte e noi non ci stancheremo di ripeterlo: non è l'Unione europea o le istituzioni comunitarie o istituzioni comuni come il MES la responsabilità delle fragilità di queste istituzioni, ma è il prevalere della gelosia delle nazioni e, quanto più si supererà la gelosia delle nazioni e si costruiranno, invece, delle politiche comuni, tanto più saranno più forti quelle istituzioni e saranno più forti anche gli interessi del nostro Paese.