Grazie, Presidente. Io e il collega, insomma i vari colleghi che hanno sottoscritto questa mozione, l'abbiamo pensata e depositata ben prima che si aprisse il dibattito pubblico a cui abbiamo assistito all'indomani delle Olimpiadi di Parigi.
Questo perché, lo avevamo intuito, tutte le volte che in questo Paese ci sono manifestazioni sportive come le Olimpiadi, poco prima gli Europei di atletica, ci si rende conto di quale è la composizione della sua società, che c'è un pezzo di società italiana che spesso viene “invisibilizzata”, che spesso viene stereotipata nel racconto della diversità che la compone.
Diversità che incontriamo nelle aule scolastiche, che incontriamo nei campi dello sport, che misuriamo nei numeri e spesso anche nell'interpretazione di questi numeri, quando leggiamo, ad esempio, come è composta la scuola italiana. Allora, credo che sia forse casuale - ma almeno cogliamone l'opportunità -, ma questa mozione arriva in una mattinata dove si parla tanto di scuola, si parla tanto di diritto allo studio e si parla dell'approccio educativo che vogliamo avere nella formazione delle nuove e dei nuovi cittadini italiani, che per noi inizia dai nidi d'infanzia. Oggi è anche, in tanti luoghi d'Italia, il primo giorno di scuola.
È il primo giorno di scuola in Emilia-Romagna, che è la mia regione, ed è il primo giorno di scuola in tante città e per tante famiglie, e dunque inizio con questo numero: nella scuola italiana ci sono 914.860 alunni e alunne che ancora, purtroppo, vengono nominati come studenti stranieri e che compongono il 12 per cento della popolazione scolastica. Di questi oltre 900.000 studenti e studentesse ben il 65 per cento, Presidente, sono nati in Italia. Sono nati - lo diciamo spesso - negli stessi reparti di maternità dei propri compagni di scuola e dei propri compagni di sport, e, se andiamo ad analizzare in molti territori le cifre delle scuole d'infanzia, questa percentuale arriva addirittura all'80 per cento dei bambini cosiddetti stranieri che frequentano le scuole dell'infanzia che sono nati e nate in Italia.
Sappiamo che parte della cittadinanza - lo diciamo sempre in altri contesti parlando di altri provvedimenti e lo abbiamo detto poco fa, parlando del concetto di comunità educante - e del senso di appartenenza alla Repubblica si fondano e si formano proprio all'avvio dell'entrata nella comunità, nel primo piede che si mette in comunità, che è la comunità educante. È qui che cresce e si nutre il senso di appartenenza. Allora, cosa c'entra la riforma della cittadinanza, cosa c'entrano le Olimpiadi, cosa c'entra lo sport, cosa c'entrano quelle fotografie della nazionale di pallavolo che vince e su cui qualcuno, dall'alto di non si sa bene che cosa, ha voluto esprimere commenti su quanto quella fotografia esprimesse o non esprimesse l'italianità in questo 2024?
Invece, credo che tenere insieme scuola e formazione, tenere insieme la visione di società, della convivenza nelle diversità e nell'incontro con le diversità, soprattutto in un Paese come l'Italia, che ha come patrimonio culturale e storico le proprie radici in questo, cioè nell'essere attraversato nei secoli e nei millenni da popoli, da culture e da lingue che ne hanno fatto la grandezza e la bellezza che oggi vediamo, in questa Italia che oggi ancora vive, spesso con difficoltà e spesso con una strumentalizzazione politica che non ci permette di andare avanti nella riflessione di che cosa sia una società interculturale, di che cosa sia una società dove si possa essere diversi, ma, allo stesso tempo, pensare a un destino comune, tutto questo ha a che fare con l'essere cittadini italiani e cittadine italiane, che per noi non si riduce solamente a un contratto formale tra individuo e Stato, ma è anche una relazione fatta di identità, di un concetto di identità che non è monolitico, che è qualcosa che si nutre anche della contemporaneità che l'attraversa.
Quindi, l'Italia oggi è un Paese plurale, lo è. È abitato da tante persone, da tanti cittadini e cittadine con background diversi, che professano religioni diverse, che hanno bisnonni o nonni che non sono nati in Italia, ma che magari hanno deciso, a un certo punto, di dare avvio al proprio progetto migratorio in questo Paese. Io stessa sono cittadina italiana solo dall'età di 23 anni. Sono diventata cittadina italiana a 23 anni e sono arrivata in questo Paese non per mia scelta, perché ero abbastanza piccolina, avevo 2 anni e non avevo ancora ben chiaro quale potesse essere il mio progetto di vita, ma conseguentemente alla scelta della mia famiglia.
Eppure sono diventata cittadina a 23 anni, cioè 21 anni dopo. Forse, se ci fosse stato quello ius scholae, di cui tanto si è dibattuto in questa estate e in questo agosto, sarei diventata cittadina molto prima, forse avrei giurato sulla Costituzione, anche questo è bene farlo risuonare in quest'Aula, perché se ne parla molto poco. I concittadini nativi non sanno che i cittadini e le cittadine naturalizzati giurano sulla Costituzione italiana, giurano fedeltà alla Repubblica e lealtà alle leggi e alla Costituzione italiana. Io l'ho fatto nell'ufficio del mio comune di residenza e così succede alle centinaia di migliaia di nuovi cittadini che questo Paese accoglie tutti gli anni.
Eppure ci sono ancora tanti problemi e questo è il cuore della mozione, il cuore del dibattito, ed è quello che sta succedendo nel Paese da tanti anni nell'attivismo rappresentato e incarnato da associazioni, da movimenti, da tanti comuni e da tanti sindaci e sindache che chiedono che la legge n. 91 del 1992, questa legge che regola l'acquisizione della cittadinanza in Italia, possa avere un momento di riforma, un momento di riforma organica che prenda e migliori gli aspetti che oggi creano problemi, che creano ritardi e che creano spesso - ed è la cosa più grave che stiamo riscontrando in questi anni - discriminazioni, mancanze di opportunità e impossibilità, perché magari ci sono questioni burocratiche legate alla famiglia d'origine e magari quel bambino o quella bambina, che sono nati nello stesso reparto di maternità del proprio compagno, avranno difficoltà ad accedere a un concorso pubblico, a una borsa di studio o a un tirocinio perché riservati solo ai cittadini europei o ai cittadini italiani.
Anche questo primo giorno di scuola, che ricordavo all'inizio, forse qualcuno non lo vivrà, perché questo primo giorno di scuola coincide con l'appuntamento in questura per rinnovare il permesso di soggiorno o magari per aggiustare un documento o un inciampo burocratico nella stessa domanda di cittadinanza o in quella giungla che è diventata la normativa sull'immigrazione. Nella nostra mozione proviamo a far passare il concetto che sono necessari tutti gli ius. Questo Paese deve maturare e tutti quanti dobbiamo maturare nell'approccio alla riforma. La riforma deve essere organica e non possiamo più polarizzare il discorso tra chi vuole lo ius soli, chi vuole lo ius scholae, chi vuole lo ius culturae e chi si ferma solo al tema degli anni della naturalizzazione. Ogni aspetto va ponderato, preso e migliorato perché c'è bisogno di una cassetta degli attrezzi.
Infatti, la modalità con cui si arriva in questo Paese e anche la stratificazione degli arrivi le trovate nella infinita letteratura di storie personali che i ragazzi, le ragazze e ormai gli adulti con background migratorio di questo Paese raccontano, da chi arriva da piccolo, da chi non acquisisce la cittadinanza richiesta dai propri genitori, seppure richiesta quando lui stesso era minore, ma il provvedimento arriva nel momento in cui lui o lei compie i 18 anni e, quindi, perde quella finestra di possibilità e deve ricominciare l'iter daccapo. C'è chi non riesce perché magari non ha contatti o nel proprio Paese di origine non c'è neanche mai stato, per reperire quel documento, quel casellario che gli serve per ottemperare a tutti i requisiti che ci sono.
Quindi, con riferimento ad ogni aspetto, ci vuole - lo diciamo in maniera metaforica, ovviamente - una cassetta degli attrezzi per approcciare il tema della cittadinanza. Non servono più le declinazioni degli ius, servono tutti gli ius, serve allinearsi anche al tema della naturalizzazione con gli altri Paesi europei. La Germania, non più tardi del 2024, ha portato gli anni della naturalizzazione a 5 anni. Noi siamo uno dei pochi Paesi ancora fermo a 10. Non dobbiamo mai dimenticarlo, perché sono anni, anche quelli, di mancate opportunità e di difficoltà: gli anni di lavorazione delle pratiche. In questo Paese arriviamo a 4-5 anni di lavorazione della pratica di cittadinanza. E quindi sorrido quando sento che una delle motivazioni per cui la legge n. 91 del 1992 va bene così è perché siamo, in termini assoluti, uno dei Paesi che concede più cittadinanze: è una coda! Questi nuovi cittadini e queste nuove cittadine sono arrivati quantomeno 18 anni fa, almeno 18, alcuni anche 20 anni fa. Questa è la conformazione, credo che ce ne rendiamo tutti conto, perché i temi che attraversano le nostre comunità, la crisi sociale e di welfare che attraversa le nostre comunità è vissuta da tutti in maniera trasversale: da chi ha background migratorio e da chi non ce l'ha. Ma il dato - proprio perché noi vogliamo rendere il diritto soggettivo, cioè che sia un diritto del minore e non conseguenza della scelta dei propri genitori - dell'incidenza di povertà assoluta nelle famiglie con minori in Italia, oggi, per tutti e tutte, è del 7,8 per cento e raggiunge il 36 per cento nelle famiglie con background migratorio. E questo cosa ci dice? Ci dice che, quando approcceranno, molto probabilmente, la domanda di cittadinanza per questi bambini e queste bambine, per questi ragazzi e queste ragazze, non avranno quel requisito fondamentale nella naturalizzazione, che è il requisito economico. Quindi quei bambini e quelle bambine, se pur nati in Italia e pur avendo frequentato 5, c'è chi dice, dall'altra parte, 10, ma pure 15 o pure 20 anni di scuola, comunque non avranno la cittadinanza, perché il 36 per cento di essi vive in povertà assoluta. E quindi questo è un dato che va tenuto in considerazione. Se noi non svincoliamo, soprattutto quando ragioniamo di minori e di bambini, il tema del reddito, il tema economico, il tema del parametro reddituale, rischiamo davvero di generare una situazione per la quale quel valore assoluto, che tanto ci fa dire che siamo il Paese che eroga più cittadinanza, sta venendo pian piano a mancare: in primo luogo, perché c'è un tema di diritto all'abitare che riguarda tutti e, a maggior ragione, le famiglie con background migratorio, che spesso sono costrette a vivere o a lavorare senza un contratto regolare. Quelli sono tutti parametri che vengono meno per poter diventare cittadini e cittadine, o fare la richiesta per i propri figli, in questo Paese.
E quindi noi, in questa mozione, mettiamo insieme questo ragionamento: ius soli, ius scholae, dimezzamento degli anni per la naturalizzazione, il tema sul contributo. Su questo tema, una forza politica della maggioranza ha tanto fatto propaganda qualche anno fa. Introdussero questo contributo, si chiama contributo per la cittadinanza, che corrisponde a 250 euro a pratica: vuol dire che in una famiglia con 2 figli si arriva anche a spendere 1.000 euro. E noi asseriamo, ovviamente, che la cittadinanza è un diritto e la cittadinanza non si compra. Quindi, proviamo a realizzare quella che vuole essere una riforma culturale anche del concetto di cittadinanza, che non è solo ius sanguinis, giustamente pensato per tenere i legami con gli emigrati italiani. È ora - ed è già tardi! - di affrontare, invece, il legame profondo con una popolazione di cui questo Paese ha veramente bisogno, ossia i bambini e le bambine, sono i cittadini e le cittadine italiane, oggi ancora senza cittadinanza.