Grazie, Presidente. Sottosegretario, onorevoli colleghe e colleghi, l'illustrazione della mozione da parte del suo primo firmatario, il deputato Romaniello che ha avuto il garbo di chiedermi di sottoscrivere la sua proposta, cosa che ho fatto, come si usa dire, con convinzione, non lascia esitazioni né dubbi sull'urgenza, l'importanza e la vastità del fenomeno del suicidio in Italia, sulla sua diffusione, in particolare tra i giovani, anche in conseguenza degli anni torvi che abbiamo appena alle spalle e che continuano a guardarci dritto negli occhi, come un maleficio, un risentimento. Stiamo male, deputate e deputati? Sì. Stiamo peggio? Sì, purtroppo, stiamo peggio, senza neanche il pretesto della nostalgia, senza il suo conforto, senza terra dove andare e spaesati, siamo quotidianamente infilzati da numeri, dati e statistiche drammatiche sulla prova psicologica, dunque fisica, di questi due anni. Non mette conto, in questa sede, di impilare le disgrazie, le colpe, le sciagure e le responsabilità; alcune cose capitano, altre ce le cerchiamo, la somma fa questo tempo qui, quello che viviamo.
Abbiamo pensato, ci siamo illusi che la contabilità del COVID fosse solo quella, spietata, dei pronto soccorso, delle terapie intensive, dei caschi per respirare; presi dal capire come salvare più vite possibile non abbiamo visto arrivare un'ombra lunga e non meno insidiosa del virus, quella dell'anima, quella psicologica, una marea salita inesorabile, con una forza non minore della pandemia, capace di portare giù migliaia e migliaia di persone, giovani soprattutto, inghiottite dall'ansia, dalla depressione, da tendenze suicidarie, come è stato detto, da comportamenti autolesionistici, apatia, fobie e paure che restano attaccate al nostro fondo e che non sembrano andare via. Una terra desolata psicologica che sperimentiamo nelle nostre vite, quando torniamo a casa, quando stiamo in famiglia, quando parliamo con gli amici, quando ci muoviamo sui mezzi o giriamo per la città e che, tuttavia, sembriamo dimenticare, anzi, rimuovere, questa è la parola esatta, “rimuovere”, quando veniamo qui in quest'Aula a fare il nostro lavoro di parlamentari, dove ci occupiamo di tante cose concretissime e urgenti, ci mancherebbe, ma poco assai di come stiamo, di dove stiamo, di dove siamo finiti, a volte colati a picco, a proposito del famigerato scollamento tra “palazzo” e vita, quella minuta, quella quotidiana, vissuta da ognuno di noi.
Se c'è un merito della mozione che discutiamo oggi è esattamente questo, ovviamente con i mezzi e le risorse a disposizione, con prescrizioni che vorremmo ancora più stringenti e salvifiche, certo, e tuttavia con il merito, si diceva, di portare qui dentro, in quest'Aula, quello che ognuno di noi sperimenta nella sua vita personale, presso i suoi affetti più cari, tra le persone che ama, nella sua famiglia, questo alone nascosto. Si dirà: ma come pretendi di affrontare un tema come quello del suicidio? Una dismisura impossibile da scolmare, darsi la morte, con una App o con un numero verde, come osi, come osate? Però, Presidente, è esattamente questo che siamo chiamati a fare in quest'Aula e nel nostro lavoro in Parlamento, io la penso così: trovare strumenti, fragili, certo, esili, insufficienti, perfettibili, spesso inadeguati, che non siano una risposta, ma una prima approssimazione della domanda che li esige, che li pretende.
Sogniamo tutti misure tempestive ed efficaci, in grado di rispondere qui e ora a un problema e ci troviamo il più delle volte di fronte a un'afasia, all'incapacità non solo di dare risposte, ma anche solo di prendere voce, di proferire verbo, di articolare una sillaba. Io penso che questo esercizio disperante, poco comprensibile e ancor meno compreso sia, però, colleghi, quello che chiamiamo democrazia: fare il possibile di fronte all'impossibile. E, badate, non lo dico a giustificazione, a scusante o, peggio, ad attenuante di un giudizio politico o, addirittura, etico sull'attività che svolgiamo; lo dico avendo lavorato in questi anni alla ricerca, all'individuazione di risposte possibili, di provvedimenti utili, di misure che arrivassero dritte alle persone, nelle loro mani, nella loro disponibilità immediata.
Fatemi dire questa cosa personale, mi rivolgo al collega Romaniello: abbiamo molto lavorato, come Partito Democratico, assieme a colleghi di tutti i gruppi, alla realizzazione del cosiddetto bonus psicologo, una misura di sostegno psicologico per un numero, purtroppo limitato, di persone. È stata una battaglia, come si dice con un certo compiacimento in politica, iniziata al Senato, grazie all'iniziativa della collega Caterina Biti, poi, stoppata, infine ripartita alla Camera, portata a casa contra spem e oggi in procinto di diventare realtà, dopo una definizione, direi, piuttosto rapida, dei decreti attuativi. Ci siamo quasi, finalmente. L'altro giorno, però, caro Cristian, stavo davanti al computer e mi sono imbattuto in un articolo di un giornale online che perorava la causa non più rinviabile della salute mentale per la politica, sottolineando, tuttavia, dopo, il fallimento del bonus psicologo, che non è ancora partito; cioè il bonus nel quale ho messo molte forze, Presidente, non è ancora partito, non c'è ancora la piattaforma per richiederlo e già era dato per fallito, andato, morto, finito.
Allora: provare e riprovare, lo so che non è sexy, capisco che non si venda bene in campagna elettorale, ammetto che non lo confesserei in una trasmissione TV, ma la democrazia è esattamente questo, tutto qui? Questo è il riformismo, che - corsi e ricorsi - viene sempre rimproverato di non cambiare il mondo, di non rivoluzionare le vite delle persone, di lasciarle camuse, appese, deluse, ma questo è ciò che fa una buona democrazia, una democrazia solida: provare e riprovare, naufragium feci, bene navigavi, come questa proposta di legge di fronte alla frattura di senso del suicidio, al suo salto logico, alla battuta mancata o, meglio, alla sua grammatica alternativa, al suo linguaggio segreto, alla sua letterale oscenità. Come osi, Cristian, come osate? Così, facendolo, con la stessa fragilità che si vorrebbe irrobustire, con la stessa incompiutezza di fronte al farla finita, con le stesse inquietudini e perplessità di chi si è stancato delle risposte, ma chiede, forse, e attende nuove domande.