Grazie, Presidente. Signor Presidente, colleghe e colleghi e sottosegretario, questa è una mozione importante soprattutto perché ci stimola a riflettere insieme sull'importanza del Sistema sanitario nazionale, la cui tenuta è - come già hanno detto i colleghi intervenuti - messa a dura prova per molteplici fattori. Al di là forse del limite di parlare di temi così importanti - che necessiterebbero di un coinvolgimento ampio di tutte le parti coinvolte - con una mozione, ci interessa ovviamente stare nel merito di questa discussione e lo facciamo riprendendo due principi fondamentali che già sono stati richiamati. Parto ricordando l'articolo 32 della nostra Costituzione, che definisce espressamente la salute un diritto fondamentale dell'individuo, che deve essere garantito a tutti, indipendentemente dall'essere cittadini italiani o meno, perché - come ricordava il collega Quartini - parla di “individui”, e dal possedere un reddito o dall'essere indigenti. Sulla base di questo principio, il nostro Sistema sanitario nazionale, istituito da Tina Anselmi - lo ricordiamo - il 23 dicembre del 1978, nasce con l'obiettivo di garantire la salute a tutti i cittadini, senza alcuna distinzione sociale, economica e territoriale, configurandosi come uno strumento di giustizia e di coesione sociale secondo i principi di universalità e di uguaglianza, proprio perché ogni cittadino ha il diritto di essere curato e ogni malato deve essere considerato un utente di un servizio pubblico in modo legittimo, cui ha pieno e incondizionato diritto. Questa è una premessa che riteniamo fondamentale, ben consapevoli che, nonostante ciò, per un insieme di motivi economici e organizzativi e per scelte anche politiche, a cui si è aggiunta negli ultimi due anni la pandemia da COVID-19, la tenuta del nostro Sistema sanitario nazionale è stata messa a dura prova e si sono determinate delle condizioni di frammentazione e di difformità territoriali in cui, a regioni in grado di assicurare prestazioni e servizi all'avanguardia e di eccellenza, se ne affiancano altre in cui è più difficoltoso garantire anche solo i livelli essenziali di assistenza, con la conseguenza che non tutti riescono ad accedere alle cure di cui hanno bisogno nei territori in cui vivono. Abbiamo ricordato - e lo ricorda anche la mozione – che, nel decennio 2010-2019, secondo l'ultimo rapporto Gimbe, sono stati sottratti, tra tagli e definanziamenti, 37 miliardi al Sistema sanitario nazionale, mentre il fabbisogno sanitario nazionale è aumentato di soli 8,2 miliardi. A sua volta, negli anni 2020-2022 - sono dati importanti da ricordare -, il fabbisogno sanitario nazionale è cresciuto di 11,2 miliardi rispetto agli 8,2 del decennio precedente ma, nonostante ciò, le risorse sono state interamente assorbite dalla pandemia e non sono state certamente sufficienti a rafforzare in maniera strutturale il Servizio sanitario nazionale, che oggi paga alcuni problemi strutturali importanti. A questo si aggiunge la legge di bilancio. Con la NADEF, nella versione rivista e integrata del 4 novembre del 2022, la spesa sanitaria scenderà costantemente nel triennio 2022-2025, arrivando al 6 per cento del PIL nel 2025, al di sotto dei livelli antecedenti la pandemia, non intravedendo e non permettendoci di vedere alcun programma di rilancio degli investimenti. Infatti, con la legge di bilancio del 2023, sono stati aggiunti, rispetto a quanto già previsto dalla legislazione, solamente 2 miliardi, portando a 128 lo stanziamento per la sanità, di cui 1,4 miliardi destinati a coprire maggiori costi per fonti energetiche. Secondo quanto riporta la relazione della Corte dei conti, nonostante nel biennio 2020-2022 la spesa sanitaria sia aumentata, l'Italia continua a spendere meno degli altri partner europei. A questa riduzione in termini reali del finanziamento e della spesa sanitaria corrente rispetto al 2022, si accompagnano però le risorse necessarie e le riforme previste dalla Missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Come è noto, infatti, rispetto alla dotazione iniziale di 191,5 miliardi di euro da investire tra il 2022 e il 2026, il PNRR destina importanti risorse (ben 15,6 miliardi) alla sanità, l'8,2 per cento del totale, oltre alle risorse comprese nelle altre Missioni che hanno importanza e sono relative alla tutela della salute. È quindi importante - sono certa che il Sottosegretario sarà d'accordo con me - dare piena attuazione alla Missione 6, che ha alcuni obiettivi importanti: la definizione di nuovi modelli per la tutela della salute attraverso lo sviluppo di diverse innovazioni organizzative, lo sviluppo di reti di prossimità, di strutture intermedie e della telemedicina per l'assistenza territoriale sanitaria; la promozione dell'innovazione, della ricerca e della digitalizzazione del Servizio sanitario nazionale. In particolare, gli interventi della prima componente mirano a rafforzare le prestazioni erogate sul territorio, tramite il potenziamento e la creazione di strutture e presidi territoriali, come le case della comunità e gli ospedali di comunità, il rafforzamento dell'assistenza domiciliare, lo sviluppo della telemedicina e una più efficace integrazione di tutti i servizi sociosanitari.
In particolare, la Missione 6 prevede 1.350 case della comunità, 600 COT e 400 ospedali di comunità, per un totale di circa 18.350 infermieri, 10.250 unità di personale di supporto, 2.000 operatori sociosanitari e 1.350 assistenti sociali. L'implementazione di questo modello ad oggi, però, è molto differenziata nel territorio nazionale. In totale, si dichiarano attive: 493 case della salute, di cui il 56 per cento al Nord, il 18 per cento al Sud e il restante al Centro; 163 ospedali di comunità, di cui il 74 per cento al Nord e solamente il 5 per cento al Sud.
Questo modello di assistenza territoriale è stato anche fortemente criticato nella sua organizzazione - mi riferisco alle case della salute - dall'attuale Governo e anche dal Sottosegretario Gemmato, che è qui presente e che ringrazio per il confronto, che ha dichiarato: “No alle case di comunità. Non garantiscono la prossimità delle cure. Bisogna invece puntare di più sui medici di famiglia e sui farmacisti. Queste strutture rischiano di non realizzare una vera medicina di prossimità, visto che prevedono un bacino di utenza di 50.000 persone e questo fatto esclude i piccoli paesini, le aree interne e le aree disagiate, che dovrebbero essere accorpate per raggiungere 40.000 abitanti, mentre il medico di famiglia e il farmacista attrezzati garantiscono l'assistenza di base davvero prossima”.
Questa posizione si contrappone a una visione che vede, invece, proprio i medici di medicina generale come attori chiave delle nuove case e degli ospedali di comunità. Lo stesso collega Ciocchetti, il cui intervento ho apprezzato, parla della necessità di avere un filtro di una rete territoriale di base che aiuti a migliorare l'organizzazione dell'intero sistema, perché la riorganizzazione della medicina territoriale si scontra, purtroppo, con una carenza ormai cronica di medici di famiglia e di pediatri di libera di scelta, di cui abbiamo bisogno nel nostro Paese perché la loro funzione è fondamentale per riorganizzare l'intero sistema e per farlo funzionare al meglio.
A mettere in evidenza l'emergenza sulla carenza dei medici di medicina generale sono tantissime associazioni e fondazioni. L'Agenas ha aggiornato i dati al 2021 e ha evidenziato che, a fronte di 40.250 medici di famiglia complessivi, la media di italiani assistiti per ognuno di loro è di 1.237, con il valore più alto al Nord, pari a 1.326, rispetto al centro, pari a 1.159, al Sud, pari a 1.102. La Federazione italiana dei medici di base stima che entro il 2028 andranno in pensione 33.000 medici di base, a cui si deve sommare la stima di 47.000 medici ospedalieri.
Questo è sicuramente un problema urgente e ad affliggere il mondo della medicina generale non è solamente il numero delle carenze di professionisti, non più in grado ormai di coprire il nostro territorio, ma anche la necessità di una riforma di questa figura professionale, che dev'essere un nuovo pilastro della riforma territoriale che sta per decollare e che dobbiamo essere in grado di far decollare grazie ai fondi del PNRR. Emerge, infatti, che nel biennio 2020-2021 l'emergenza sanitaria ha comportato la difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie anche non COVID.
La riduzione in volume delle prestazioni sanitarie è stata generalizzata in tutte le regioni italiane e il Parlamento, nel periodo pandemico, ha fatto fronte con una legislazione emergenziale, intervenendo su una significativa immissione di personale in tutte le possibili forme contrattuali. Ricordo che nella legge di bilancio abbiamo anche prorogato, grazie a un emendamento del Partito Democratico, i termini per la stabilizzazione del personale, che hanno raggiunto, entro il 31 dicembre 2024, i 6 mesi, in un periodo tra il 1° gennaio 2020 e il 30 giugno 2022. È un problema che ha comportato un allungamento delle liste di attesa e un rallentamento degli esami, della prevenzione e anche degli interventi.
Oltre a questo problema, rimane il fatto che, nonostante i livelli essenziali di assistenza siano stati modificati nel 2017, ad oggi non sono ancora operativi i decreti necessari, perché non è stato emanato il decreto Tariffe, necessario a dare applicazione alle prestazioni ivi previste. Un provvedimento, dunque, atteso e non più rinviabile, su cui siamo certi che questo Governo lavorerà.
Dal report Osservatorio GIMBE sui livelli essenziali di assistenza emerge che rispetto al mantenimento dell'erogazione dei LEA, a fronte di un Servizio sanitario nazionale fondato sui principi di equità, uguaglianza e universalismo, il nostro Paese presenta inaccettabili e non più giustificabili disuguaglianze regionali, che mi pare anche tutti i colleghi che sono intervenuti hanno ricordato. È necessario, come affermato dal Presidente Mattarella, operare affinché quel presidio insostituibile di unità del Paese, rappresentato dal Servizio sanitario nazionale, si rafforzi, ponendo sempre al centro la persona e i suoi bisogni concreti nel territorio in cui vive. Appare, pertanto, necessario valutare con estrema attenzione la proposta di autonomia differenziata anche in materia sanitaria, al fine di non cancellare il nostro Sistema sanitario nazionale ora improntato a quei principi di universalità, equità e solidarietà per cui tutti i cittadini, indipendentemente da origine, residenza e capacità economica, devono essere curati allo stesso modo, con oneri a carico dello Stato mediante prelievo fiscale su base proporzionale.
Forse non era certamente questa l'urgenza di cui occuparsi oggi. Forse era più urgente occuparsi di sanità pubblica, piuttosto che proporre una riforma che farà tanto discutere e che ha già scatenato molte reazioni contrarie da parte di tanti governatori, visto che il testo è stato un'evidente forzatura, forse a scopo elettorale. Infatti, è stata approvata dal Consiglio dei Ministri una proposta - una bozza - senza alcun confronto con la Conferenza Stato-regioni.
È un atto politico che ci preoccupa anche nei modi, perché non si capisce come possano essere definiti i LEP, che sono così importanti per superare le disuguaglianze, e, superata la fase storica, come tutelare le regioni più deboli. Soprattutto, non c'è un euro per realizzare questa riforma. È necessario, dunque, prevenire una parcellizzazione ulteriore e non sostenibile nelle regioni, perché questo comporta una differenza nelle materie e nelle competenze, oltre a una pericolosa politica dei farmaci, una sanità anormale, una specializzazione della dirigenza, igiene e sicurezza degli ambienti scolastici e tanto altro, con una parcellizzazione e una frammentazione che non sono sostenibili.
Oltre alle risorse così importanti, che abbiamo tutti quanti ricordato, l'altro tema importante è proprio quello del personale, cioè la drammatica carenza del personale sanitario all'interno del nostro Sistema sanitario nazionale. Le strutture sanitarie oggi registrano maggiori difficoltà a reperire sul mercato del lavoro personale medico, con particolare riferimento alla specialità di anestesia, rianimazione, medicina d'urgenza, malattie infettive, pneumologia, ostetricia, ginecologia e pediatria, ma la criticità investe trasversalmente tutta la professione medica. Anche il personale del comparto rileva oggi un'offerta di operatori significativamente insufficiente rispetto ai nuovi fabbisogni, in particolare infermieri, tecnici, radiologi e tecnici di laboratorio, oltre a personale infermieristico. Questo tema richiede una riflessione importante, perché la carenza del personale all'interno del Servizio sanitario nazionale ha bisogno di interventi strutturali, anche andando a superare l'imbuto formativo che ha contribuito pesantemente alla carenza dei medici, con una riflessione urgente sui numeri chiusi nelle università e nelle specializzazioni, che stanno penalizzando anche i nostri giovani.
Il Partito Democratico pensa, senza ogni dubbio, che il diritto alla salute sia un diritto di cittadinanza. È una questione di democrazia, di equità, di giustizia sociale, e garantire parità di accesso alle cure e ai servizi è un dovere. Sia chiaro: oggi non stiamo discutendo di mettere un euro in più o in meno in una legge di bilancio, come se bastasse un miliardo in più per risolvere i problemi strutturali. Si deve fare, però, una scelta di campo da cui far dipendere tutte le altre scelte: difendere il Servizio sanitario nazionale mettendo le risorse necessarie e togliendo il tetto di spesa al personale, perché senza il personale possiamo costruire bellissime case della comunità e bellissimi ospedali ma non sapremo come erogare i servizi.
In ballo non c'è, infatti, solamente la necessità di accorciare una lista di attesa da 3 mesi a 3 settimane per una prestazione oppure per uno screening. Si tratta di difendere - e concludo - un sistema pubblico che consenta a tutti, indipendentemente dalla propria condizione economica, di definire una prestazione e uno screening.
Non ci dobbiamo, quindi, stancare di chiedere al Governo un impegno costante - e so che il Sottosegretario è d'accordo con me, ma anche il collega Ciocchetti - per garantire centralità e unitarietà a un Sistema sanitario nazionale messo a dura prova da questa riforma di autonomia differenziata.