Onorevoli colleghi, la mozione che ci accingiamo a valutare è di estrema importanza, soprattutto perché coinvolge il Parlamento - e, quindi, il Paese - in un dibattito di estrema attualità; un dibattito che, a dire il vero, ci sembra, a volte, essere passato in seconda linea, rispetto all'emergenza sanitaria dovuta al COVID ma, se ci riflettiamo bene, COVID ed emergenza climatica sono, in realtà, due facce della stessa medaglia. Sappiamo, ormai scientificamente, come le deforestazioni e il cambiamento della temperatura globale abbiano causato e causino il proliferare di continui virus, avvicinino gli animali e la fauna selvatica all'habitat dell'uomo, rendendo quindi molto più facili lo spillover e, dunque, le emergenze dovute a epidemie vecchie e nuove. Per quanto riguarda le epidemie degli ultimi decenni, possiamo immaginare questioni legate, ad esempio, a Ebola, a Zika, oggi il COVID, ma pensiamo a ciò che accade laddove vi sono situazioni di antropizzazione vicino alle foreste, come quella amazzonica, luoghi che sono crogiolo di potenziali virus: ad esempio, Manaus o le realtà africane o asiatiche. Questa è la realtà in cui ambiente, clima, sostenibilità e salute sono, di fatto, diventate quasi la stessa cosa; quindi, dobbiamo abituarci a ragionare in termini trasversali su questi temi. Invece, assistiamo spesso alla negazione dell'evidenza scientifica.
Se non ci fermiamo o trasformiamo i nostri sistemi produttivi - sono trenta o quaranta anni che la ricerca e la scienza ce lo dicono - andremo verso un crash o un collasso del sistema, dovuto proprio all'innalzamento della temperatura globale e, in particolare, anche agli effetti dell'innalzamento della temperatura del mare.
Si sono susseguiti interventi - pensiamo all'Accordo di Parigi, che è stato appena citato - eppure quel grado e mezzo non è stato rispettato, lo abbiamo superato e il trend ci dice che andiamo verso una situazione di aggravamento. Nello stesso momento, c'è chi nega; pensiamo alle indagini di ieri: il 5,6 per cento della popolazione pensa che la Terra sia piatta, nonostante l'evidenza scientifica, basterebbero solo le immagini, oppure c'è chi pensa, una percentuale vicina a due cifre, che non ci sia mai stato lo sbarco sulla Luna. Parliamo di due fatti di cui abbiamo fotografie e filmati, tutto il mondo ha evidenziato questi due aspetti. Accanto a ciò, c'è chi nega che noi andiamo verso un cambiamento climatico, nonostante i tifoni, gli uragani, le alluvioni, l'innalzamento dell'acqua, lo scioglimento dei ghiacciai, fenomeni di siccità rispetto ai quali ogni anno dobbiamo stanziare miliardi per risarcire dei danni da clima la filiera agricola, rischiando la desertificazione di parte dei nostri territori, e poi migrazioni previste di milioni di persone; da chi scappa da luoghi dove non piove più da circa 5-6 anni – immaginiamo cosa ciò significhi - a chi fugge dalle proprie terre inondate.
Nell'ultimo appuntamento internazionale a Glasgow sono stati dati nuovi parametri e si è richiesto alle Nazioni, tutte, di farsi carico di una dose di responsabilità in più. L'orizzonte del 2050 ci sembra lontano, ma siamo nel 2021 e gli obiettivi del 2030 sono distanti solo 9 anni: è niente, è lo schioccare delle dita. L'anno 2050, rispetto all'ambiziosissimo obiettivo che ci poniamo, in realtà, è un termine molto corto; dobbiamo pertanto cercare di non fare gli errori che abbiamo fatto sull'Accordo di Parigi, ossia aspettare che qualcun altro si occupi della questione, perché i temi sono troppi, tanti e difficili. La prima resistenza, che c'è sempre stata, alla trasformazione energetica e all'adattamento ai cambiamenti climatici, è sicuramente data da un'ineludibile verità, ossia il fatto che questo tipo di politica deve essere accompagnato da una trasformazione dei nostri sistemi industriali. C'è, quindi, nel mondo, un grandissimo rischio di perdite di milioni di posti di lavoro e che intere filiere perdano le loro potenzialità o che ci siano guerre energetiche. A questo punto, crediamo tutti, e ne siamo convinti, che il momento rappresenti un appuntamento con la storia, che la nostra generazione e chi oggi è leader nel mondo non può tradire, non può rinviare a domani: il domani è già ora, in questo momento e ora bisogna prendere queste decisioni. Da questo punto di vista, l'Europa ha un ruolo importantissimo; è vero che siamo più piccoli degli altri, ma già stiamo facendo di più e meglio degli altri continenti. L'Europa è sempre stata - e questa è anche la sua missione – avanguardia, e dietro di noi ci trasciniamo modelli di sviluppo, di ricerca e di innovazione. Per questo noi abbiamo già fatto e stiamo facendo qualcosa in più rispetto agli altri continenti; innanzitutto, la Commissione europea, il 14 luglio di quest'anno, ha avviato una serie di proposte, che sono nel pacchetto cosiddetto Fit for 55, che andranno a riordinare sensibilmente tutto il sistema dell'energia, interessando i diversi comparti produttivi di consumo del mercato della CO2 e del gas, le energie rinnovabili e l'infrastrutturazione per i carburanti alternativi, fino alla riduzione delle emissioni di metano nel settore energetico. A tutto ciò, si sono accompagnate tutta una serie di misure, sia della Commissione europea che dei singoli Paesi, che abbiamo visto poi rafforzare, nel nostro Paese, e che si incrociano con il PNRR e con il Piano nazionale per la transizione ecologica.
Un Piano che finalmente costituisce anche un Comitato interministeriale per le questioni che dicevamo prima, dove si ha la necessità di non affrontare questo tema a silos, ma di verificare il tema della transizione in tutti i settori: da quello energetico, del trasporto, dell'educazione e della ricerca scientifica, della formazione del personale, delle problematiche industriali e delle trasformazioni delle politiche del lavoro; accanto a questo, ovviamente, infine, l'impatto ambientale e di salute, oltre che l'introduzione delle rinnovabili.
È, ovviamente, per l'Italia, per i nostri meccanismi amministrativi e burocratici, un obiettivo molto ambizioso, ma proprio per il nostro Paese - che fa del Belpaese la sua bandiera, il suo brand, così come del nostro paesaggio e della nostra capacità di offrire un patrimonio culturale - è una sfida che non possiamo permetterci di perdere. Una sfida che avviene anche all'interno di un Paese, che, ricordiamocelo, è, insieme alla Germania, il primo Paese manifatturiero europeo. Quindi, noi siamo e dobbiamo rimanere un Paese a vocazione industriale.
Abbiamo anche al nostro interno interi settori, di quelli che sono considerati hard, difficili da gestire e da trasformare, come quello siderurgico. Abbiamo tutto il tema della trasformazione degli impianti a carbone e dell'utilizzo del metano, cioè noi abbiamo un Paese che, proprio perché ha vocazione industriale, deve fare della sostenibilità energetica e ambientale uno dei suoi asset principali di sviluppo, anche perché il caro bollette ce l'abbiamo tutti quanti ben presente, riguarda le famiglie ma riguarda soprattutto imprese e industrie ad alto livello di innovazione tecnologica.
Per questo noi abbiamo immaginato di accompagnare le misure già previste dal PNRR - soprattutto per tutta la parte che riguarda la rivoluzione verde, ma anche per la parte più hard di trasformazione del sistema industriale - con politiche che si ispirano a un pensiero, a un principio: nessuno sia lasciato indietro. Il principio che nessuno sia lasciato indietro riguarda ovviamente i lavoratori, cioè coloro che oggi operano in alcune filiere che devono essere trasformate, ma riguarda anche le imprese stesse, affinché siano accompagnate in un processo di trasformazione, proprio per evitare quelle resistenze che ci portano ad essere in ritardo di almeno vent'anni sulle politiche di trasformazione energetica del mondo.
Pensiamo anche agli obiettivi che ci siamo dati sull'elettrico. Noi ci siamo dati degli obiettivi molto ambiziosi, a brevissima scadenza, ossia di raggiungere almeno il 50 per cento. Quindi, è una roadmap, quella italiana, che dobbiamo monitorare. Questo dovrebbe essere il principio del Piano nazionale di ripresa e resilienza: il Piano è una roadmap per lo sviluppo, la crescita e la trasformazione del Paese. Quindi, quello che può fare il Parlamento è effettuare il check, cioè un monitoraggio e una misurazione permanente dei pezzi che noi riusciamo a raggiungere in questo settore. Dunque, noi chiediamo che ci si impegni a vigilare, affinché gli interventi volti alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra nei prossimi decenni non comportino una penalizzazione ulteriore dell'economia nazionale, soprattutto nei cosiddetti settori hard to abate, ma ne consentano la ripartenza e il rilancio della competitività nel contesto europeo e mondiale; prevedere che la promozione dell'idrogeno nel mix energetico contempli l'utilizzo di idrogeno cosiddetto verde da fonti rinnovabili e nei settori hard to abate, dove il vettore elettrico risulta di non facile applicazione; a tal fine, valutare l'opportunità, per gli investimenti in questo ambito, di adottare misure di semplificazione amministrativa per la costruzione e l'esercizio degli elettrolizzatori; prevedere, poi, idonei meccanismi di interlocuzione con i territori, i sindacati e le imprese dei settori produttivi maggiormente interessati alla trasformazione energetica, al fine di individuare le più opportune strategie e iniziative volte ad accompagnarli nel percorso di decarbonizzazione.
Per il nostro Paese questa, in realtà, è una grande opportunità. Per quello che dicevo prima, noi siamo sempre un Paese ad altissimo tasso di innovazione. Abbiamo una tecnologia diffusa che ci fa essere tra i primi produttori al mondo di ricerca, ma anche di traslazione tecnologica, quindi di capacità di costruzione; pensiamo alle grandi macchine che costruiamo per l'automotive, ma anche per l'agricoltura, le grandi macchine legate al sistema digitale, di cui moltissime a livello mondiale sono prodotte, immaginate, nel nostro Paese. Quindi, riuscire ad accompagnare questa fase e portarci dietro il sistema dell'industria come un partner - non è un nemico, il cambiamento climatico, è una nuova opportunità di trasformazione - ma anche posizionarci alti in quella fascia del mondo in cui non si rinuncia a essere producer, ma si diventa producer di innovazione tecnologica e, quindi, capaci di agganciare la trasformazione.
Questa è una grande sfida per la nostra economia e riguarda tutti i settori, dalla scienza della vita all'energia. Noi lo vogliamo fare per lasciare ai nostri cittadini e ai nostri figli un'Italia più bella e più pulita di quella che è adesso e, soprattutto, un'occasione di futuro.