Discussione generale
Data: 
Lunedì, 3 Maggio, 2021
Nome: 
Beatrice Lorenzin

Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, credo che oggi sia una giornata assolutamente positiva per i lavori del nostro Parlamento, fosse nient'altro che su questa importante mozione tutte le forze politiche si trovano d'accordo e hanno dato un contributo per cercare di renderla anche molto dettagliata, sia nella parte descrittiva sia negli impegni presi. Questo testimonia come questo tema sia un tema sentito da tutti, ma credo che testimoni ancora di più la volontà di fare di oggi non una giornata di testimonianza del nostro interesse, ma di cercare di cambiare qualcosa in quella che è la problematica e, possiamo dire, tormentata storia italiana sul tema dell'abbattimento delle barriere architettoniche, sia quelle propriamente fisiche, sia quelle digitali o, diciamo, di accesso e fruibilità di altri tipi di spazi, sia per le persone disabili fisiche, sia per chi ha problemi di altra natura. Lo dico perché noi dobbiamo pensare che la prima legge in questa materia, che riguardava più gli aspetti urbanistici, è la n. 118 del 1971 - cioè, sono passati cinquant'anni, alcune delle persone presenti in quest'Aula non erano ancora nate - e già lì c'era tutto, c'era l'obbligatorietà, comunque. Pensiamo una norma fatta negli anni Settanta e, quindi, non con la maturità e la capacità di prevedere e anche la sensibilità che abbiamo oggi, ma già lì si prevedeva l'abbattimento delle barriere architettoniche negli edifici pubblici, negli spazi e via dicendo.

Dal 1971 sono successe molte cose, si sono susseguite una serie di norme, decreti del Presidente della Repubblica. Siamo passati dalla n. 104 del 1992, che disciplina tutto il tema dei diritti dei disabili e, via via facendo, possiamo dire che in ogni legislatura che è passata da queste Aule c'è stata almeno una, se non più norme - quindi, norme dello Stato - che hanno cercato di implementare le norme riguardanti l'abbattimento delle barriere architettoniche; la normativa europea, che è stata citata dai colleghi. Quindi non mi rimetto su questo tema, vorrei capire, però, che cosa è accaduto, cioè, in cinquant'anni della storia repubblicana, noi oggi siamo qui a dire e a ribadire la necessità di rendere operativa e viva la decisione del legislatore, che è stata accompagnata, negli anni, da stanziamenti notevoli di fondi, sia italiani, sia europei, per fare che cosa? Per far sì che il nostro Paese fosse un Paese della primissima linea di avanguardia e, quindi, capace di essere un Paese accogliente per le persone disabili e permettere loro di avere una vita più piena possibile.

Addirittura abbiamo cambiato, nel frattempo, l'approccio: parliamo di Universal design, cioè di progettazione universale, di accessibilità delle nostre città e dei nostri spazi, non solo per le persone disabili, ma in un concetto più ampio, che comprende anche, per esempio, le vulnerabilità più ampiamente considerate e la vita pratica di ognuno di noi. Cioè, una persona anziana che cammina sul marciapiede di molte grandi città italiane, quando c'è il marciapiede, si trova in una situazione di vulnerabilità, basti vedere quante sono, purtroppo, le rotture del femore dovute a queste buche, ai marciapiedi sconnessi; nella nostra vita quotidiana, una madre, una nonna, un babbo, con un passeggino con un bambino, che fa la gincana nelle nostre città, ma anche se stai male o se sei una donna incinta e sei su una macchina e devi attraversare la tua città con le buche. È proprio la vivibilità delle nostre comunità che è ancora, forse, anche regredita negli ultimi anni.

Sono successe delle cose, perché se noi, dopo cinquant'anni, siamo qui, vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Allora, non ha funzionato sicuramente l'applicazione dei livelli essenziali delle prestazioni, la misurazione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle nostre regioni, con una disparità di applicazione di queste norme - stiamo parlando di applicazione di leggi dello Stato, non stiamo parlando di cose che devono essere ancora realizzate -, così come l'impiego pieno dei fondi o la modalità dell'impiego pieno dei fondi o la misurabilità dei fondi che sono stati stanziati e che verranno stanziati nei prossimi anni su questo tema. E, quindi, è evidente che c'è qualcosa che non funziona.

Proviamo ad avere dei dati, per esempio, sul censimento, ad oggi, delle opere pubbliche italiane: scuole, ospedali, stadi, luoghi dello sport, musei. Se andiamo a vedere i dati sui musei, siamo al 53 per cento per le barriere architettoniche classiche, scendiamo, mi sembra, intorno al 13 per le per le barriere di tipo sensoriale, cioè una persona sorda o cieca che vuole usufruire di uno spazio culturale nel nostro Paese, che dovrebbe essere la patria del turismo mondiale, oltre che per i nostri cittadini, anche per quelli che vengono da fuori. È evidente che c'è stata e c'è tuttora una sottovalutazione di questo tema, come spesso accade su alcune questioni nel nostro Paese, non riuscire a inquadrare una questione che attiene strettamente ai diritti civili e ai diritti umani sanciti e riconosciuti dalla nostra Costituzione, ma non riuscire neanche ad inquadrarli in un piano più ampio e, cioè, comprendere come il rispetto e l'applicazione di questi obiettivi di tutti rendano le nostre comunità migliori per chi le vive, ma rendano tali anche le nostre economie, perché si sviluppano economie. La stima che è stata fatta in questa mozione condivisa da tutti soltanto della perdita del turismo, di questa branca di turismo, nel nostro Paese è di 400 miliardi. Stiamo parlando, comunque, di cifre enormi.

E quant'è la perdita della vita di ogni persona disabile o della sua famiglia, che ha una vita molto, molto più faticosa e difficile rispetto già all'handicap che deve sopportare? Non è possibile fare una quantificazione economica di questa perdita. Qualsiasi cifra noi mettiamo, non risponderà mai al danno nella vita. Ma quant'è anche la perdita, ad esempio, di mancate realizzazioni di infrastrutturazioni edilizie per un volano economico che vi è intorno? L'economia è fatta di tante cose e, quando si parla, tra l'altro, di questioni sociosanitarie, in realtà, bisognerebbe sempre uscire dal ragionamento a silos e riuscire, invece, a vederle trasversali alle politiche.

Ecco perché questa mozione cerca di fare un punto, partendo da un censimento delle strutture esistenti e, quindi, di lavorare sui dati, che, tra l'altro, è la questione principale che noi dobbiamo affrontare in questi anni, non solo nel Piano nazionale di resilienza, ma anche nel diciamo nel confronto che abbiamo con la realtà globale. Senza dati non riusciamo a elaborare politiche attive, senza dati non riusciamo neanche a giustificare la spesa.

Quindi, il tema del dato e del censimento è un tema sicuramente essenziale in questa mozione, così come è importante riuscire a trovare anche modelli diversi di controllo e di monitoraggio nei confronti della Conferenza Stato-regioni, nei confronti dell'applicazione territoriale delle norme che noi decidiamo a livello nazionale. È un tema ancora più vasto quello dei LEP; vale in quasi ogni ambito della nostra attività pubblica, però qui lo tocchiamo con mano. Sicuramente una grande questione è che le spese siano vincolate agli obiettivi dati, perché le risorse che non vengono spese vengono impiegate in altro o vanno in economia. Ecco perché bisogna avere i dati, il censimento, il monitoraggio di quello che si fa. Sono previste sanzioni in tutte le norme che sono citate in questa mozione. Peccato che poi la sanzione di per sé non ci ha aiutato a cambiare le politiche attive e la realtà della quotidianità dei nostri cittadini in cinquant'anni. È evidente che noi un altro meccanismo di vincolo per le amministrazioni locali e per i comuni nella realizzazione dei progetti che sono finanziati dobbiamo trovarlo. L'Osservatorio e il nuovo Dicastero sicuramente ci possono aiutare in questo, sia nella fluidificazione dei rapporti con la Conferenza sia nell'azione mirata e circoscritta che si può fare all'interno delle amministrazioni comunali. Quello che dobbiamo fare, oggi, con questa mozione, è portare dei risultati concreti. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza sono previsti dei fondi e qui diventa per noi fondamentale farlo perché ricordiamoci che se non li spendiamo li perdiamo. Poiché il tema della disabilità è un tema del Piano, noi dobbiamo riuscire a trasformarlo in modo operativo e a misurare le opere che mettiamo in campo, per vederle qui. Accanto alla questione di una programmazione urbanistica nuova, dei lavori pubblici, dell'architettura della nostra città e del design del nostro del nostro vivere quotidiano, in cui c'è l'interconnessione digitale e l'accesso alle telecomunicazioni, che, come è stato giustamente detto, sono barriere anche quelle, noi abbiamo la questione di quello che avviene nella nostra vita quotidiana. Nel bonus 110 per cento, nell'ultima edizione che noi abbiamo approvato in questo Parlamento, c'è anche il tema dell'adeguamento delle barriere all'interno degli edifici privati. Sappiamo quanta disparità ci sia stata in questi anni su questo tema, quale sia la differenza tra vivere in un condominio che può sopperire a determinate esigenze e il fatto che un singolo debba anticipare le quote e poi aspettare, con tre livelli diversi di decisione, di poter riavere queste risorse. Questo ha creato una biforcazione. Da questo punto di vista, il bonus 110 per cento è uno strumento molto utile perché permette di portare in fattura lo sconto anche per l'adeguamento delle barriere architettoniche all'interno dei condomini. Qui si fa una specifica richiesta, secondo me molto intelligente, e cioè di riuscire a sganciarlo dalle altre misure traino. Questo potrebbe essere veramente uno strumento che farebbe vivere il 110 per cento per tutti, a prescindere dalle possibilità, farebbe vivere sicuramente negli edifici privati l'abbattimento delle barriere architettoniche. Come è stato già ricordato, la vita di un disabile è, sì, poter andare all'esterno ma è anche nell'accessibilità delle nostre case. Ricordo a tutti un fatto eclatante che ha accompagnato, purtroppo, l'edilizia residenziale pubblica: in molte città italiane, per tanti anni, e credo che in alcuni casi non si sia ancora risolto, un fenomeno molto tristemente noto è stato quello che, in luoghi dove gli ascensori erano rotti e nessuno le riparava, le persone anziane che avevano problemi di mobilità e che vivevano ai piani superiori di fatto non uscivano mai di casa. Questo diventava ed è diventato una triste verità per moltissime realtà, per moltissime persone disabili, in edifici di edilizia residenziale e pubblica.

Sono molte le misure, quindi accenno soltanto velocemente ad alcune. Un altro aspetto importante è quello dell'accessibility manager. Il manager dell'accessibilità e il manager della disabilità: molti comuni fanno fare all'uno quello che dovrebbe fare l'altro. Ci si occupa giustamente dell'integrazione del disabile, per esempio, nel mondo del lavoro. Noi speriamo che vengano approvate tutte le norme e rese attuali, anche quelle del Jobs Act e le norme di integrazione lavorativa dei portatori di disabilità che sappiamo essere, anche queste, molto rallentate nel nostro Paese e a macchia di leopardo. Ma il manager dell'accessibilità fa un'altra cosa, fa una progettazione non a silos dell'accessibilità urbana della città e quindi deve lavorare in modo orizzontale nelle varie materie che riguardano proprio la parte urbanistica, architettonica e di progettazione.

Ho citato solo questa, Presidente, tra le tante questioni. Certamente, alla luce delle cose che stiamo dicendo in questa mozione, abbiamo anche la necessità di rifare un testo unico sulla materia e, quindi, di rivedere un po' anche la varia stratificazione di norme che c'è stata in questi anni, per rendere questa disciplina sempre più operativa, disancorarla da incagli burocratici e facilitare così la vita dei nostri cittadini ma anche quella degli operatori, che devono applicare queste norme spesso in contraddizione tra di loro o con ampi spazi di vulnerabilità, chiamiamola così, nelle varie amministrazioni.