Dichiarazione di voto
Data: 
Martedì, 6 Maggio, 2025
Nome: 
Simona Bonafè

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Grazie, Presidente. Noi, con questa mozione, abbiamo voluto raccogliere il grido di allarme, o potrei dire il grido di dolore, di tante piccole e medie imprese della filiera della moda, che comprende il tessile, l'abbigliamento e il calzaturiero, ed è un comparto molto rilevante del made in Italy, un comparto che è particolarmente vocato all'export e che ormai da qualche mese sta affrontando una crisi che dobbiamo definire con il proprio nome, cioè una crisi strutturale.

Sono diversi i fattori che stanno incidendo su questa crisi. Sicuramente la situazione internazionale, che è una situazione caratterizzata da conflitti, in particolar modo quello russo-ucraino, e aggravata dalle minacce di dazi di Trump, che già oggi sono al 10 per cento e che sicuramente generano una situazione di incertezza, una situazione di difficoltà, in un settore che ha bisogno di programmazione e di tempi lunghi per i propri cicli produttivi. Tra i fattori c'è sicuramente anche il calo del potere d'acquisto delle famiglie, in particolar modo nel nostro Paese, che vede gli stipendi più bassi d'Europa e un'inflazione sui beni di consumo ancora molto alta.

Tra i fattori c'è il costo dell'energia per le imprese, che è aumentata molto, sulla quale il decreto Bollette ha fatto poco, per non dire niente, tant'è che le stesse imprese si sono lamentate, e che però è un costo di produzione che, rispetto agli altri competitor europei, incide, in maniera chiaramente negativa, sulla nostra produttività. E non c'è dubbio che fra i fattori c'è anche il cambio dei modelli di consumo: il consumatore oggi richiede sempre più prodotti sostenibili.

Ma anche l'impatto del cambiamento climatico, che qualcuno ancora in quest'Aula continua a negare, con l'alterazione delle stagioni, ha influito sulla crisi di questo settore. Per non parlare della presenza - è già stato detto, ma ci voglio tornare anch'io - del mercato del fast fashion, che inonda con nuove collezioni, per di più usa e getta, quasi collezioni giornaliere, che sono di pessima qualità, senza nessun valore aggiunto, ma con costi di smaltimento sempre più alti.

Va anche detto che nella crisi una parte l'hanno anche giocata le politiche sbagliate dei grandi brand del lusso, che hanno incrementato la produzione post-Covid, quando c'è stato un boom nei consumi, e hanno aumentato notevolmente i prezzi dei loro prodotti. Però bisogna dire che la crisi del settore moda non riguarda solo i grandi brand, ma riguarda in particolar modo - ed è qui che c'è il grido di dolore - le centinaia di migliaia di piccole e medie imprese artigianali, diffuse nel nostro Paese, in molti casi veri e propri distretti produttivi.

Penso alla pelletteria in Toscana, al calzaturiero nelle Marche, l'Umbria e l'Emilia-Romagna, al distretto di San Mauro Pascoli. E sono queste piccole e medie aziende, che producono per conto terzi, che hanno visto un calo sensibile degli ordinativi che sta mettendo fortemente a rischio la continuità produttiva e un know-how prezioso, anzi preziosissimo, che ha permesso a questo sistema, altamente competitivo, di reggere con un mercato internazionale sempre più aggressivo.

Se non si vuole perdere definitivamente un settore importante del made in Italy, lo dico con molta franchezza e lo dico anche ai colleghi di maggioranza, a cui ho sentito descrivere situazioni per cui sembra che vada un po' tutto bene: penso che non si possa invece continuare a stare a guardare, perché questa, come ho detto, non è una crisi congiunturale, non è che basta aspettare che passi la nottata. Questa è una crisi strutturale, e le crisi strutturali hanno bisogno di interventi urgenti, hanno bisogno di interventi adesso.

Ora lo dico, il Governo è arrivato tardi su questa crisi e, purtroppo, ci è arrivato anche male, perché le misure che ha messo in campo non sono state misure sufficienti, perché non servono misure una tantum, servono misure di sistema e misure di visione. L'unico provvedimento che è arrivato a dicembre 2024 è stata la cassa integrazione in deroga anche per le imprese sotto i 15 dipendenti per 3 settimane; cassa integrazione scaduta a dicembre, rinnovata fino a fine gennaio per la lotta dura del Partito Democratico e di tutte le opposizioni, che ha portato ad aumentare di qualche settimana la cassa integrazione.

Per tutelare gli attuali livelli occupazionali sono necessarie misure non solo fino a gennaio, che peraltro sono ampiamente scadute, ma almeno per tutto il 2025, chiaramente senza l'obbligo per le aziende piccole e già in crisi di liquidità di anticipare le risorse che solo poi, in un secondo tempo, vengono rimborsate dall'INPS, rendendo di fatto questa misura utile per i grandi gruppi industriali, ma non per le piccole realtà produttive. E, da questo punto di vista, spiace avere sentito membri del Governo che hanno detto che non serviva aumentare la cassa integrazione in deroga perché non era stata utilizzata.

Non è vero, la cassa integrazione è stata utilizzata, è che purtroppo le modalità di erogazione sono tali da penalizzare le piccole e medie imprese. Ma la cassa integrazione serve, serve cambiare le regole per accedere e serve soprattutto estenderla a tutte le aziende della filiera, a tutti i codici Ateco della filiera, così come è stato chiesto anche dalla Conferenza Stato-regioni e dalle opposizioni. Ho detto che il Governo è arrivato tardi, ma quello che noi lamentiamo e quello che non vediamo, ahimè, nella risoluzione presentata dal Governo è soprattutto una politica industriale per questo settore.

Perché, per rilanciare un settore così strategico, servono misure concrete, servono incentivi per gli investimenti delle aziende in ricerca, in sviluppo, in innovazione, che sono driver che sono sempre più importanti per un settore ad alta competizione. Servono investimenti per agganciare la transizione ecologica e digitale. Pensiamo, per esempio, a quello che si potrebbe fare per i nuovi materiali più sostenibili, per abbattere l'impatto dei cicli produttivi, in particolar modo l'impatto dell'energia, che sappiamo il nostro Paese paga più dei competitor europei.

Serve investire anche maggiormente sull'economia circolare, e quindi sul riutilizzo, il riciclo, il recupero dei materiali, andando anche incontro alle nuove sensibilità. Quando si dice che serve una politica industriale, significa anche mettere in campo iniziative per superare l'attuale limite dimensionale delle piccole e medie imprese del settore e favorire la creazione dei consorzi, la creazione di accordi di rete, di fusioni societarie.

Le risorse che qualcuno di maggioranza qui ha detto che sono state messe dal Governo, è vero, sono state messe, ma sono risorse insufficienti e sono risorse, come ben sanno i colleghi di maggioranza, che non sono solo destinate al settore moda, ma anche ad altri settori. Per cui al settore moda arriveranno alla fine soltanto le briciole, in un contesto di grande difficoltà. Noi pensiamo che serva anche sostenere l'internazionalizzazione delle piccole e medie imprese e ricercare nuovi mercati. Questo lo dico anche alla luce di quello che succederà con i dazi imposti da Trump.

Invece di stare ad aspettare che cosa decide Trump, cominciamo a favorire l'internazionalizzazione e la ricerca di nuovi mercati. Ma significa anche intervenire per combattere la concorrenza sleale di quella produzione fast fashion a cui facevo riferimento prima. E veniamo a un'altra vicenda che ha dell'assurdo. Lo ha detto prima molto bene il collega Benzoni: nel 2014 è stato introdotto il credito d'imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo. Nel luglio 2022 l'Agenzia delle entrate ha mutato l'approccio sul credito d'imposta relativo a quel periodo del 2015-2019, escludendo le imprese del settore moda tra i beneficiari, e quindi chiedendo proprio a queste imprese la restituzione delle somme.

Lo chiedono adesso, in una fase in cui queste imprese, soprattutto quelle che hanno fatto investimenti in innovazione e ricerca, sono in evidente difficoltà. Chiaramente questa è anche una richiesta, visto il punto nella mozione da parte del Governo, per agire anche su questo con grande velocità. Devo dire che gli emendamenti che avevamo presentato nel Decreto PA, che andavano proprio incontro a una reinterpretazione di questo mutato approccio dell'Agenzia delle entrate, sono stati purtroppo bocciati.

Ora, tutte quelle che ho elencato sono richieste che abbiamo messo nero su bianco in questa nostra mozione, ma sono le richieste che i sindacati, che le associazioni di categoria stanno chiedendo ormai da mesi al Governo. Ormai è da mesi che al tavolo moda si fanno avanti queste richieste e, purtroppo, sono state ottenute solo vaghe promesse, ma veramente poco di più.

Questo è il motivo per il quale non accetteremo le riformulazioni proposte agli impegni delle nostre mozioni, perché non possiamo - lo dico sinceramente - accettare riformulazioni che impegnano il Governo “a valutare l'opportunità di”. Ma quale opportunità c'è da valutare oggi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)? C'è stato il tempo per valutar queste opportunità, quel tempo è finito. Adesso servono azioni concrete.

Ora la mozione della maggioranza - va detto per onestà intellettuale - riprende pure alcune di queste richieste, segno che evidentemente ci abbiamo visto giusto. Ma anche qui, la maggioranza avrebbe già dovuto mettere in atto queste richieste e da tempo e non avrebbe dovuto, se avesse avuto davvero la volontà di agire, bocciare gli emendamenti che abbiamo presentato in più provvedimenti e che andavano esattamente nella direzione delle richieste che avanziamo. Ma soprattutto - lo dico al Vice Ministro, lo dico ai colleghi di maggioranza - non si capisce perché, se nella mozione di maggioranza sono state accolte le richieste, nella mozione delle opposizioni e, in particolar modo, nella mozione del Partito Democratico, queste stesse richieste sono state riformulate e, addirittura, è stato chiesto di espungere le premesse che sono, invece, a nostro parere, parte integrante della mozione. Devo dire che da un Governo che ha modificato il nome del Ministero dello Sviluppo economico in Ministero del Made in Italy ci saremmo aspettati un'azione diversa. Ci aspettiamo comunque un cambio di passo che, purtroppo, ancora non abbiamo visto e non stiamo vedendo.