Grazie, Presidente. La tassazione delle persone fisiche in Italia ha subito negli ultimi anni numerosi interventi da parte dei Governi che si sono succeduti e la riduzione delle tasse sul lavoro è stata una costante negli ultimi dieci anni, senza considerare il primo intervento del Governo Prodi nel 2007. Al fine di sostenere il potere d'acquisto e moderare la rincorsa tra prezzi e salari, l'impegno principale manifestato da tutti i Governi si è concentrato nella riduzione del cosiddetto cuneo fiscale, ovvero, la differenza tra il salario lordo pagato dal datore di lavoro ed il netto percepito dai lavoratori. Secondo l'OCSE, nel 2023, il cuneo fiscale italiano è stato pari al 45,1 per cento contro la media dei Paesi OCSE del 34,8 per cento. Sia il Governo Monti sia successivamente il Governo Letta avevano ridotto il cuneo e le tasse sul lavoro. Il primo con un fondo dedicato, il secondo con un aumento delle detrazioni Irpef e la riduzione di alcuni premi assicurativi.
Con il Governo Renzi, nel 2014, è stato introdotto un bonus da 80 euro sotto forma di trattamento integrativo al reddito. Successivamente, col secondo Governo Conte, a guida PD e MoVimento 5 Stelle, il bonus è stato aumentato a 100 euro mensili. Il provvedimento, valido solo per la seconda metà del 2020, è stato poi reso strutturale con la legge di bilancio successiva. Dall'estate 2022, con il Governo Draghi, è stata introdotta la prima riduzione della contribuzione a carico dei lavoratori dipendenti, con un taglio del cuneo fiscale pari al 2 per cento fino ai 35.000 euro annui di retribuzione annua lorda. La misura è stata prorogata dal Governo Meloni fino alla fine del 2024 con varie graduazioni, che hanno ampliato l'intensità dell'aiuto e la platea dei beneficiari fino a 35.000 euro di reddito.
In attuazione della legge delega di riforma del sistema fiscale, la n. 111 del 2023, il Governo Meloni è intervenuto in più occasioni sull'IRPEF: in primis, riducendo a tre il numero di aliquote e di scaglioni, peggiorando in questo modo la progressività dell'imposta.
La stratificazione di interventi nel corso degli anni e la costante sottrazione di componenti di reddito all'imposizione progressiva hanno reso il sistema di tassazione dell'IRPEF la principale imposta del nostro ordinamento. Un sistema disomogeneo, iniquo e a tratti irrazionale, Presidente.
Con più interventi, il Governo Meloni ha prima previsto l'accorpamento delle aliquote solo per il 2024, prevedendo sconti solo per alcune fasce di reddito e lasciando fuori gli incapienti, la fascia bassa e coloro che hanno un reddito lordo superiore ai 50.000 euro annuali, aumentando così l'incertezza e la fragilità del nostro sistema fiscale.
Con l'ultima legge di bilancio del 2025, il Governo Meloni non ha introdotto nuovi benefici per i lavoratori dipendenti, ma ha messo a regime le misure per il sostegno dei redditi medio-bassi dei lavoratori dipendenti adottate lo scorso anno. Lo ha fatto attuando un passaggio da un sistema di benefici basati sulla riduzione dei contributi previdenziali a un sistema di benefici di carattere fiscale, cui si assomma una nuova forma di trasferimento diretto che si aggiunge al trattamento integrativo, che costituisce, come si è detto, l'evoluzione del Bonus 80 euro. Un mix di strumenti che hanno prodotto un risultato tutt'altro che lineare e non coerente con le retribuzioni nette.
Tra introduzione di bonus fiscali, riconferma delle detrazioni fiscali già previste e la messa a regime delle tre aliquote fiscali, introdotte lo scorso anno, si è verificato un risultato paradossale. Come denunciato anche dalla CGIL in un recente studio, il meccanismo di abbattimento del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, introdotto dal Governo con la legge di bilancio del 2025, avrebbe impatti negativi per i redditi più bassi compresi tra gli 8.500 e i 9.000 euro, che andranno a perdere 1.200 euro l'anno, Presidente. Ciò sarebbe dovuto alla circostanza che nel 2024 avevano ricevuto indirettamente un vantaggio a causa del meccanismo di riduzione dell'aliquota contributiva, che aveva conseguentemente portato ad aumentare i redditi imponibili Irpef. Cominciando a pagare imposte, questi contribuenti avevano ricevuto anche il trattamento integrativo di 1.200 euro, che, in mancanza della contribuzione, non sarebbe spettato.
In risposta a due interrogazioni in Commissione finanze, la rappresentante del Governo ha dato atto del pasticcio sul trattamento integrativo dovuto alla modifica dei suoi criteri di spettanza e ha dato la disponibilità del Governo ad esaminare un sostegno per i lavoratori a più basso reddito nell'ambito di un processo mirato. Ma un processo ad hoc, semmai verrà effettivamente attuato, rischia di mettere l'ennesima toppa a un'imposta, l'Irpef, che avrebbe, invece, bisogno di un disegno di revisione complessiva. In più, la sbandierata riduzione delle tasse deve confrontarsi con la dura realtà dei numeri. La scorsa settimana l'Istat ha certificato che nel 2024 la pressione fiscale complessiva - ammontare delle imposte dirette e indirette in conto capitale e dei contributi sociali in rapporto al PIL - è risultata pari al 42,6 per cento, in aumento di un punto rispetto all'anno precedente, quando era al 41,4 per cento. Un sistema fiscale che distribuisce l'onere in modo casuale, creando continuamente regimi speciali alternativi all'Irpef per categorie di reddito, quando non di singole porzioni degli stessi redditi, viola così il principio basilare per cui a parità di reddito si dovrebbe pagare la stessa imposta, principio che è sempre meno sostenibile.
I giovani oggi, Presidente, sono costretti, pur se per guadagnare redditi bassi, ad aprirsi una partita IVA e a lavorare come finti autonomi o come moderni lavoratori su piattaforme che distribuiscono lavori a distanza, sopportando un onere più elevato dei dipendenti con redditi di lavoro simile, mentre gli autonomi con redditi medi o medio-alti, purché sotto gli 85.000 euro di ricavi, pagano fino alla metà dei lavoratori dipendenti con uguali redditi e si sottraggono anche al dovere di finanziare i servizi del proprio comune e della propria regione con le addizionali all'Irpef.
Sostanzialmente, è avvenuta una sorta di balcanizzazione dell'imposta sui redditi, per cui oggi esiste un trattamento specifico per i lavoratori autonomi fino a 85.000 euro di fatturato, uno diverso per gli altri lavoratori autonomi e poi trattamenti specifici differenti per lavoratori dipendenti e pensionati, in spregio e in violazione di ogni principio di equità orizzontale, cioè parità di trattamento di contribuenti con lo stesso reddito, e verticale, ossia il principio di progressività, vale a dire che i redditi più elevati dovrebbero corrispondere, naturalmente, quote più elevate.
Quello che resta dell'Irpef è un coacervo indescrivibile in cui le aliquote marginali legali - le famose tre aliquote - si intersecano con un bonus decrescente al crescere del reddito e detrazioni per tipo di reddito anch'esse variamente articolate, con l'effetto che alle tre aliquote invocate come semplificazione del sistema fiscale si affiancano ora ben otto aliquote marginali effettive, che denotano la variazione dell'imposta al variare del reddito del contribuente. Dunque, otto aliquote effettive, con un andamento totale erratico, per cui capita che, a un lavoratore con un reddito lordo di 35.000 euro, a fronte di un aumento di 100 euro, faticosamente conquistato in contrattazione, restino in tasca soltanto 44 euro. Un'ingiustizia!
La politica delle rottamazioni e con essa il via libera a ogni tipo di evasione fiscale, così come la costruzione di un sistema talmente iniquo da risultare inaccettabile per una società che si voglia coesa, mina le basi dell'imposizione generale sui redditi e, conseguentemente, riduce le risorse necessarie a garantire un welfare universale, cioè sanità, istruzione e assistenza per tutti i cittadini. Questa legge di bilancio non è riuscita a trovare risorse per assumere medici e infermieri, la cui carenza sta mettendo in ginocchio il sistema sanitario, e ha tagliato drasticamente i fondi ai comuni, costretti, per finanziare i servizi indispensabili ai cittadini, ad appaltarli a imprese e cooperative a prezzi così bassi da poter reggere solo schiavizzando i propri lavoratori.
È un problema a cui non si può rimediare con il maquillage di questa o di quell'aliquota, su cui si sta cimentando questo Governo, ma con una riforma radicale che si potrebbe attuare anche gradualmente, ma all'interno di una strategia organica esplicita e condivisa. Tutti i redditi, di qualsiasi fonte, dovrebbero essere assoggettati alle medesime aliquote e le basi imponibili dovrebbero essere determinate in base agli stessi criteri. Le eventuali differenziazioni di trattamento dovrebbero essere affidate a detrazioni uniformi e non decrescenti.
Al fine di evitare salti d'aliquote, sarebbe utile ricorrere, per il calcolo dell'imposta, a una funzione matematica continua che determini le aliquote medie per ogni livello di reddito, superando la logica degli scaglioni, come avviene anche in Germania e come è condiviso da un numero crescente di studiosi. Un sistema che può essere modulato - questo sì - per non gravare interamente sul ceto medio, come invece avviene tipicamente in tutti i sistemi della flat tax o con poche aliquote legali, come quello della riforma Meloni.
Il PD, Presidente, è disponibile a iniziare un confronto aperto e un dibattito sulla questione qui indicata, in modo da evitare ulteriori interventi frammentari e dannosi sia da un punto di vista dell'equità che da quello dell'efficienza economica, al fine di trovare una soluzione che sia risolutiva e complessiva e che non si limiti a trovare l'ennesima toppa più grande del buco.