Presidente, onorevoli colleghi, il 24 febbraio, l'invasione militare russa dell'Ucraina, uno Stato sovrano e indipendente, ha aperto un conflitto terribile nel cuore dell'Europa: 278 giorni di guerra, decine di migliaia di morti, distruzione, violenza. È importante fermarsi oggi a riflettere su questi mesi. Infatti, l'attenzione per il dramma ucraino è proceduta nel nostro Paese a fasi alterne, invece è importante mantenere la massima attenzione sulla guerra, la più grande tragedia della nostra storia. L'Italia si è stretta da subito, con l'Europa tutta, attorno all'Ucraina, Paese aggredito e occupato, lo ha sostenuto economicamente, militarmente, umanitariamente ed ha fatto bene, perché ha soccorso un Paese aggredito. Perché la guerra, oltre a morte e distruzione, ha provocato anche un immenso esodo di milioni di cittadini, al 90 per cento donne e bambini, a cui abbiamo dovuto dare risposta. E vorrei oggi, qui, ringraziare le migliaia di nostri concittadini che hanno aiutato i profughi, aprendo le loro case, le loro famiglie, aiutando economicamente. È stato un grande momento di generosità e fraternità del nostro popolo, che fa onore all'Italia tutta. Grazie. Questo è avvenuto anche attraverso l'impegno fattivo di tante organizzazioni, messe oggi paradossalmente sotto accusa per interventi umanitari in altre zone, e ancora dovremmo occuparci, come Italia, dei profughi ucraini dinanzi a un inverno gelido nei territori in guerra.
Abbiamo presentato una mozione articolata, è stata presentate ed altri colleghi ne parleranno. A me preme sottolineare alcuni aspetti. Il primo: purtroppo, in questo tempo, abbiamo visto troppo normalizzare il demone della guerra. È aumentato un linguaggio bellicista, si è mostrata la guerra degli altri e raccontato l'uso delle armi, le strategie militari, la descrizione delle offensive e delle controffensive, come fossimo in un film.
Ma la guerra non è un film. Lo sanno bene gli anziani italiani, che ancora raccontano la tragedia della guerra in casa nostra. Lo sapevano bene i padri costituenti, che nella Costituzione hanno inserito un articolo che recita - e non è mai inutile ricordarlo - che l'Italia ripudia la guerra. Ed è interessante andare a rileggere il dibattito che alla Costituente ha dato corpo a questo articolo, e l'ho fatto più volte in questi mesi. Tra i costituenti, infatti, vi erano partigiani che negli anni precedenti avevano imbracciato le armi, combattuto, ucciso, non certo anime belle, pacifiste, come qualcuno ha definito in questi mesi chi osava parlare di mediazione e pace. Ecco, proprio quei partigiani furono tra coloro che insistettero per ripudiare la guerra, perché l'avevano vissuta in prima persona e non dal salotto di casa propria.
Colleghi, mai dobbiamo pensare al demone della guerra come un compagno di strada normale della nostra storia. Oggi le guerre si eternizzano, lo sanno bene i popoli di tanti Paesi, troppo spesso dimenticati: la Somalia, la Libia, l'Afghanistan, lo Yemen, la Siria, per citarne alcuni. Pensiamo alla Siria: 11 anni di guerra senza fine. Abbiamo seguito con attenzione i primi tempi della guerra, la distruzione di città come Aleppo, le violenze, l'uso dei gas, le stragi di minoranze. Ma chi parla oggi della Siria? Non dobbiamo dimenticare. Uno dei mali del nostro tempo è, infatti, l'assuefazione al dolore degli altri. Noi italiani ed europei, che abbiamo goduto di una lunga pace, purtroppo l'abbiamo considerata scontata. La guerra era qualcosa degli altri, dei popoli non europei, ed oggi ce la ritroviamo in casa, forse perché è scomparsa la generazione dei testimoni che portavano la memoria dell'orrore della guerra mondiale e ci dicevano che nella guerra possono avvenire le cose più orribili e si sviluppano i sentimenti peggiori: l'odio, la vendetta, il disprezzo.
In questi mesi si è parlato della ricerca della pace come velleitarismo, l'ho sentito anche in questo primo dibattito, come buonismo, o, ancora peggio, come tradimento. È accaduto anche in altri momenti della storia. Invece, se non si cerca la pace per l'Ucraina, si tradisce un popolo intero. Certo, la pace deve essere giusta, sicura, ma, come ha detto recentemente il Presidente francese Macron, la pace è impura, perché la pace nasce dalla guerra, che è la cosa più sporca, sporca di sangue e di odio, il peggio che esista al mondo. Lo ha ricordato al termine della manifestazione per la pace del 5 novembre, qui a Roma, Andrea Riccardi, un pacificatore, mediatore di un conflitto che ha prodotto più di un milione di morti, quello in Mozambico, che proprio qui a Roma ha trovato un luogo di mediazione e la firma della pace. Ecco, quella manifestazione del 5 è stata un segnale importante: gente diversa, lavoratori del sindacato, vari gruppi cattolici, organizzazioni pacifiste e sociali che si sono riunite, e anche diversi di noi erano lì, ribadendo la condanna della guerra russa, checché qualcuno abbia detto, e ricordando come la pace sia l'obiettivo di fondo di ogni politica.
Sia chiaro, pace non vuol dire debolezza nei confronti degli aggressori. Noi condanniamo con fermezza l'invasione russa, un'aggressione immotivata e ingiustificabile, e per questo rivendichiamo gli interventi che l'Italia ha promosso fino ad oggi. E proprio dinanzi al protrarsi della guerra e alle sue evoluzioni, riteniamo importante, però, un nuovo impegno: ci vuole un nuovo investimento sulla diplomazia, che cerchi efficacemente strade nuove, a cominciare da un cessare il fuoco. Bisogna investire di più sul dialogo, sulla mediazione, perché solo questo e la diplomazia ci daranno la pace, coinvolgendo la comunità internazionale, l'ONU, gli Stati Uniti e l'Europa, che deve avere più di una sua politica di pace. Lo dico dinanzi al dramma della guerra in Ucraina e alle sofferenze del suo popolo e dinanzi alla minaccia atomica, che non è un fantasma evocato, ma una realtà che può essere possibile e che speravamo di aver consegnato alla storia. Bisogna aprire un negoziato e una tregua che evitino questa escalation.
Papa Francesco - ed io sono con lui - ha scritto: “La guerra è un fallimento della politica e dell'umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”. Non vogliamo abituarci alla guerra. Le immagini orrende di Bush, i bombardamenti di queste ore su Kherson, i racconti e i video di distruzione, ci chiamano a un impegno nuovo, accanto agli ucraini, solidali con le loro sofferenze, con una convinzione profonda per cui spendersi. L'unica vittoria sarà la pace.