Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 30 Novembre, 2022
Nome: 
Enzo Amendola

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Grazie, Presidente. Deputate e deputati, signori del Governo, siamo chiamati oggi a dibattere con differenti mozioni sulla guerra scatenata dalla Federazione Russa in maniera ingiustificata e illegale, responsabile di enormi tragedie in Ucraina. Non un conflitto tra due Stati, ma una guerra di aggressione. Non una guerra per procura, ma un'invasione violenta, in cui gli attacchi che si stanno susseguendo in queste ore e in questi giorni non distinguono tra obiettivi militari e obiettivi civili ucraini. L'occupazione di una Nazione libera, senza che vi sia stata provocazione, conseguenza di una strategia politica russa imperniata sulla logica di potenza. L'impatto sulle nostre coscienze e sui nostri compiti istituzionali non si riassumerà nel voto di oggi. Dopo già due risoluzioni approvate a larga maggioranza dal precedente Parlamento, serve attenzione continua. Occorre sancire la conferma di un coinvolgimento serrato tra nuovo Parlamento e Governo, come indicato nel decreto-legge n. 14. In gioco non ci sono sondaggi o tatticismi da proteggere per nessuno di noi, ma piuttosto l'Italia, col suo ruolo nelle alleanze europee e transatlantiche, a difesa del popolo ucraino invaso e costretto in trincea, nei campi o nei sottoscala dei condomini, a nascondere sottoterra la bandiera nazionale, per poi dissotterrarla, come ha fatto un'anziana donna in lacrime a Cherson. E allora sgombriamo il campo da inutili polemiche di parte. Riecheggiano in quest'Aula formule politiche su cui convenire. Si dice: vogliamo si apra una nuova fase del conflitto, un cambio di passo. Proposito sicuramente giusto, cari colleghi, questo è certamente vero se si analizzano le scelte militari russe, il dispiegarsi di mercenari al soldo del Cremlino, le annessioni forzate e l'evocazione del nucleare. Ma dal blitz fallito su Kiev agli attacchi sulle centrali energetiche, le fasi sono sempre state dettate dal Cremlino. E in tutto questo tempo noi non ci siamo abituati, come dice qualcuno, perché non è mai venuta meno una costante di indirizzo. E se si riavvolge il nastro dei dibattiti in quest'Aula, sulla posizione del Partito Democratico, non abbiamo bisogno di capriole o di abiure (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Per noi è sempre stata netta, in questi nove mesi, la richiesta di un cessate il fuoco, dell'avvio di un negoziato, presupposto immancabile per una conferenza di pace. Un'aspirazione che non solo unisce tutti noi in tutte le mozioni qui presentate, ma soprattutto è un'urgenza per chi è sotto i bombardamenti o è dovuto scappare dal proprio Paese.

Cari colleghi, non vedo nessuna contraddizione con le scelte fatte nell'aiuto economico, umanitario e di difesa del popolo ucraino, poiché, senza quello sforzo europeo e degli alleati, non staremmo qui a dibattere di negoziati e di come aprirli (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), ma piuttosto delle pretese insindacabili di un Paese occupante. Non a caso, oggi la priorità più realistica di questa fase non è solo continuare ad assistere in tutti i modi il popolo e le istituzioni ucraine, ma è l'emergenza energetica, quello che dovremmo inviare subito per far sì che anche coloro che fuggiranno dal freddo e dal gelo vengano ospitati. Una gara di solidarietà di cui le ONG italiane, i sindaci, le famiglie e la Protezione civile ci hanno reso orgogliosi nel tempo. Deputati, la guerra ordina le priorità della nostra convivenza, ordina tutte le scelte che compiremo in quest'Aula e indirizza le speranze e le paure alla nostra opinione pubblica. Ma la responsabilità vera della classe dirigente sarà misurata su questo. Scelte sofferte. E permettetemi di ringraziare chi le ha già dovute prendere, a partire da tutti i componenti del Governo Draghi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) e, consentitemi, dai ministri del PD e dal Ministro Lorenzo Guerini. Scelte prese non a cuor leggero. Cari colleghi, ha ragione l'onorevole Fratoianni, ragioniamo della complessità. Siamo classe dirigente di fronte a un passaggio complicato della storia. E ringrazio chi con coerenza ha detto le stesse cose che ha scritto nella stessa risoluzione, perché, quando si evocano il tentativo e la necessità di fermare l'escalation militare, e la sostituzione della via diplomatica allo sforzo militare, anche qui dobbiamo ragionare di complessità. Nessun dubbio, abbiamo sempre preteso negli ultimi mesi e dobbiamo continuare a pretendere testardamente l'apertura dei negoziati. Ostinati nel perseguire questa priorità. L'apertura di un canale di dialogo diretto: questo è l'impegno che tutti noi chiediamo in maniera estenuante al Governo, nel quadro delle alleanze. Su questo non c'è nessun dubbio su cui dividerci, senza mai cedere, però, onorevole Mule', nel nostro campo, a una retorica baldanzosa, che legittima paradossalmente e non aiuta il nostro campo, perché i bombardamenti quotidiani mediatici del Cremlino sono già sufficienti. E anche su questa strada, nessun dubbio: percorrerla sapendo che ripetutamente l'aggressore non ha mai avuto l'intelligenza della politica, che noi chiediamo nel comprendere quanto sia necessario fermare questa avventura militare. Ma, cari deputati, proprio perché questa è la nostra carta di identità, proprio perché questo è l'orizzonte che lega tutti noi, non bisogna arrendersi alla fatica degli eventi o relativizzare il diritto alla difesa della sovranità di un popolo aggredito, chiedendogli di piegarsi. Non sfuggo al tema: non può essere deriso o snobbato un sentimento profondo di pace. Il disarmo non è un tema sconosciuto nel nostro Paese, nelle tragedie che abbiamo vissuto. Lo abbiamo ascoltato forte nella manifestazione del 5 novembre, perché abbiamo, nella storia del nostro Paese, personalità che hanno sempre lavorato per la pace. Ma andiamo al cuore delle tragedie, ragioniamo. La sciagurata avventura militare russa non ha mai concepito sinora una mediazione, perché non soddisfa le mire, e nessuna contraddizione di principio, perché non c'è stato mai, e non c'è tuttora, un prima e un dopo, un'opzione.  Magari avessimo potuto, con un tratto di penna, negoziare e cambiare la fase del conflitto, perché non è nella natura di questa aggressione, le cui finalità sono le annessioni unilaterali di territori.

Per questo, cari colleghi, non c'è mai stato e non c'è tuttora un prima e un dopo da annunciare, un'opzione “cessate il fuoco” che esclude l'altra, aiutare chi è sotto il fuoco. E la guerra a oltranza è solo nelle teste dei siloviki del Cremlino, e noi non siamo e non saremo da quella parte, proprio perché il negoziato che auspichiamo non può rimuovere i principi che noi tutti difendiamo. Non a caso, si cita l'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Qualunque cosa decidessimo qui oggi con la calma della razionalità politica, ci sono valori insopprimibili, come indipendenza e libertà, che non aspettano nessuna autorizzazione, nessuna via libera o pacata analisi geopolitica.

Ragioniamo, cari colleghi, ragioniamo, presidente Conte, qui non ci sono distinguo su cui costruire una differenza, perché non si può auspicare un negoziato nel nome dei valori di pace e difesa della libertà, sminuendo le ragioni dell'aggredito o negandole come fossero un impaccio, perché nel caso ipotetico che quell'aggredito ammainasse le bandiere, l'accordo innanzitutto cancellerebbe i valori che si proclamano, perché sarebbero piegati dal sopruso.

Sarebbe la legge del più forte a vincere, non la forza della legalità internazionale! E senza dubbio il migliore o peggiore accordo è sempre nella scelta delle parti, ma, quando si parla di pace giusta, quando si proclama in quest'Aula, non si può fondare sull'equidistanza, non solo per i fronti di guerra che ci preoccupano, ma soprattutto sugli orizzonti valoriali che si contrappongono. Cari colleghi, al dunque c'è sempre la solita domanda: qual è la posta in gioco di questa strategia russa? Mi ha molto colpito il 9 giugno, quando Putin, dinanzi a una platea di giovani, si è paragonato a Pietro il Grande: a noi è toccato in sorte fare quello che ha fatto lui, e cioè riportare indietro le terre russe e consolidarle. Sappiamo che il nuovo ordine multipolare non facilita la nascita di una solida legalità multilaterale, ma al dunque lo strappo russo armato si insinua in questo caos. E noi, ieri come oggi, non possiamo permettere che a quell'ipotetico tavolo si porti un agglomerato di Stati satelliti domati, ieri Bielorussia e Kazakistan, oggi l'Ucraina.

Ha ragione il Presidente Mattarella: da questa crisi non si uscirà con una nuova Jalta, ma con una Carta di Helsinki, in cui nel negoziato si porta non solo il cessate il fuoco e il diritto dei più deboli, ma anche la legalità internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista); altrimenti pagheremmo nei prossimi decenni una scelta che non vogliamo.

In conclusione, Presidente, su di noi, con i nostri alleati, pesa la responsabilità di scelte che cambieranno il corso della storia. Sarà complesso, ma sarà necessario discutere in quest'Aula. E permettetemi di dire ai sovranisti di casa nostra, a coloro che hanno la memoria corta, a coloro che organizzavano in passato eventi con Bannon o Dugin, che, sonnambuli della tragedia, il nazionalismo revanscista ha sempre avuto un solo obiettivo, quello di avere nel demone bellico il tema su cui difendere il proprio potere. È anche per quello che guardiamo a nomi della società russa, a quelli che rifiutano la guerra, a coloro che si sono opposti, come Boris Nemtsov, o sono in galera, come Aleksej Navalny, o sono fuggiti all'estero: ricordiamoci che anche con loro abbiamo un debito morale per quel nostro eccesso di realismo politico nei confronti di 23 anni di Putin.

Oggi, per fermare la guerra, ci vuole una visione salda, testardaggine diplomatica per riaprire la via negoziale al cessate il fuoco, che è propedeutica a qualsiasi discorso di pace, ma fermezza nei principi di chi è aggredito e di chi vuole perseverare e preservare la superiorità della legalità internazionale. Servirà l'Europa, certo; l'Europa che si è voltata nel Mediterraneo negli ultimi dieci anni e che deve fare un salto, perché la politica estera significherà tutto, energia, flussi migratori, un commercio non basato su una visione mercantilistica, ma su standard, ma su questa via. Ed è per questo che, seppur fragile e ancora in costruzione, comunque l'Unione europea è la nostra comunità di destino. In questa guerra, teniamocela stretta e continuiamo tutti insieme a costruire una politica differente.

Per queste ragioni, annuncio il voto favorevole alla mozione del Partito Democratico.