Dichiarazione di voto
Data: 
Martedì, 12 Novembre, 2024
Nome: 
Gian Antonio Girelli

Vai alla scheda della mozione

Grazie, Presidente. È indubbio e difficile aggiungere elementi di novità, dopo tanti interventi, su mozioni che sembrano trovare l'adesione di tutta l'Aula parlamentare. Credo che questo sia un fatto importante, anche perché sono mozioni che nascono da una condivisione, da un approfondimento che tutti, in vari modi, abbiamo fatto con le realtà di associazioni di malati oppure di persone che si occupano di malati di questa patologia e che, quindi, sanno riassumere una serie di bisogni non così astratti, ma vissuti dalle persone sulla loro pelle nella loro quotidianità. Ecco che, allora, io penso che riflettere, innanzitutto, su un dato - che è già stato detto, ma voglio ricordarlo anch'io in maniera diversa - che, su 500 persone, una persona soffre di questa patologia. Io credo che debba farci riflettere, non stiamo parlando di un qualcosa lontano da noi, ma che vive in mezzo a noi e che ha a che fare con noi.

Se poi pensiamo che, in Sardegna, fatto strano, vi è un caso ogni 250 persone, questo ci dovrebbe magari far riflettere su come attivare per quella realtà un qualche momento di studio o di messa a punto di servizio a supporto di queste persone. Ma voglio, anche così, in maniera molto sommaria, richiamare quelli che sono i principi che sono enunciati nelle varie mozioni, seppur declinati in maniera diversa, anche secondo un po' i collegamenti che ciascuno di voi, ecco, ciascuno di noi ha avuto. Si è parlato molto di formazione del personale sanitario ed è un fatto importante, che oltretutto emerge nell'affrontare e nell'approfondire le varie patologie che, spesso e volentieri, non vengono sufficientemente conosciute o meglio vengono approfondite e conosciute sempre di più a livello specialistico, ma non entrano a far parte di quella conoscenza generale del personale sanitario che quindi, in altre occasioni, intercettano le persone e non riescono a riconoscere precisi segnali; ed è di fondamentale importanza farlo, perché, quando si parla di diagnosi precoce, significa fare anche questa cosa.

Ed allora, cosa significa un impegno riguardo a questo? È chiaramente intervenire nei percorsi formativi del personale, prevedere aspetti dello sviluppo e della multidisciplinarietà laddove - cosa che viene spesso ricordata, ma poco praticata - non è la malattia al centro dell'attenzione del clinico, ma è la persona malata, dove sì, c'è la massima attenzione sulla patologia in esame, ma si tiene conto anche di tutto il resto, del contesto, di altri sintomi e di altre possibili patologie in fase di evoluzione. Si parla di capacità di prevenzione reale e la prevenzione reale, oltre a fare quello che ho appena detto, significa anche individuare le platee che più di altre possono essere soggette a questo tipo di patologia ed esistono vari dati che hanno a che fare con la familiarità, hanno a che fare con alcune situazioni che la ricerca, sempre di più, tende a individuare e a porre come oggetto di particolare attenzione, secondo un principio di sanità e - diciamo - di prevenzione vera, dove non ci si accontenta di aspettare la persona che arriva, ma si va dalle persone che potrebbero incorrere nella patologia, per andare a intercettarle immediatamente.

Ma si tratta, tra gli impegni che abbiamo detto, anche di predisporre dei veri e propri centri di presa in carico di queste persone, con l'attenzione sempre che bisogna avere quando si parla di “centri”: non luoghi fisici ed edifici, ma momenti in cui, all'interno di luoghi fisici ed edifici, si organizza una presenza capillare sul territorio. Mi verrebbe da dire che si sviluppa quella che è la prossimità nella presa in carico di queste persone, che è qualcosa di più complicato che avere semplicemente qua e là poliambulatori o altro, sviluppando soprattutto per le zone di particolare svantaggio (poi parleremo di aree interne e ha molto a che fare anche questo) le potenzialità della telemedicina e gli strumenti che l'innovazione ci mette a disposizione per poter, appunto, arrivare davvero il più vicino possibile ai bisogni delle persone.

È un tema che implica davvero una presa di coscienza di come, spesso e volentieri, la ricerca e la scienza ci consegnino delle opportunità che non vengono utilizzate e messe a disposizione di tutte le persone che ne hanno bisogno, secondo una geografia variabile, secondo una potenzialità economica dei singoli che possono più o meno accedere ai luoghi dove questi farmaci sono a disposizione e ai farmaci stessi. E guardate, in una malattia degenerativa come questa, è laddove la ricerca non ha ancora individuato la cura, il farmaco che guarisce, ma ha individuato una serie di farmaci che possono modificare l'evolversi, il decorso della malattia, rallentandone gli effetti, consegnando alle persone che ne sono affette una qualità della vita completamente, completamente diversa.

E cosa significa tradurre in concreto un impegno che mettiamo in queste mozioni? Sicuramente, un maggior protagonismo da parte dello Stato nella gestione del farmaco, una maggior capacità di investimento riguardo a questo, una messa a disposizione davvero immediata rispetto al risultato della ricerca e la fruibilità, appunto, del paziente che ne ha bisogno. Ma abbiamo parlato anche di informazione delle persone malate, perché spesso e volentieri noi pecchiamo rispetto a questo rapporto, anche molto, molto importante; e che, guardate, trova nelle associazioni, nelle realtà che tutti abbiamo scomodato nel momento in cui abbiamo steso queste mozioni, fonte di grande suggerimento e di grande, appunto, indicazione, laddove si possono sviluppare anche alcuni temi che noi abbiamo toccato.

Parlo anch'io del caregiver, delle proposte di legge depositate che devono essere - se vogliamo, sempre essere - molto conseguenti alle mozioni che andremo ad approvare, tradotte in discussione e - mi auguro - portate in quest'Aula per l'approvazione, che non è un qualcosa di generico che significa “sì, sappiamo che ci sono persone che si occupano dei familiari che hanno bisogno”, ma significa, appunto, conoscere qual è la situazione che queste persone vivono, con riferimento sia a chi ha la malattia, sia a chi si occupa di chi ha la malattia.

Questo significa stabilire quel rapporto anche molto virtuoso di informazione, di coinvolgimento, di partecipazione nel momento in cui si parla di presa in carico di queste persone. Lo si deve fare anche coinvolgendo gli altri attori che sono coinvolti nella vicenda, pensiamo al ruolo che il Terzo settore spesso svolge, pensiamo al ruolo delle amministrazioni comunali con i loro servizi, sono molte volte chiamati a supplire a quelle che sono delle carenze di contesto sociale, piuttosto che di contesto familiare, piuttosto che di mancanza di erogazione da parte del Servizio sanitario nazionale del dovuto servizio stesso.

Ma, tra le righe delle varie mozioni e in alcuni casi in maniera molto esplicito, c'è anche un forte richiamo all'unicità di trattamento su tutto il territorio nazionale, laddove tutte le cittadine e tutti i cittadini devono essere considerati uguali. Non possiamo permetterci un trattamento diverso da regione a regione e all'interno delle stesse regioni a seconda dei territori, addirittura vedere applicati protocolli o percorsi di presa in carico che non coincidono. Io penso che sempre di più questo debba diventare un nostro preciso dovere, fare in modo che tutti, anzi tutte le persone - come dice l'articolo 32 della nostra Costituzione - che vivono nel nostro Paese possano avere le stesse prestazioni, non debbano patire una diseguaglianza. E guardate, farlo significa guardare in maniera diversa anche all'evoluzione della riforma del regionalismo che abbiamo poco tempo fa approvato, perché senza questo processo quell'unicità di trattamento non riusciremo mai a raggiungerla.

Faccio un breve richiamo alla ricaduta sociale - è già stato detto - perché accanto alla cura della malattia ci deve essere la cura della persona nel suo insieme, che deve poter continuare il più possibile a svolgere il proprio lavoro e qui è l'utilizzo del telelavoro e dello smart working, quello che durante il COVID abbiamo imparato così bene ad usare deve diventare uno strumento di inclusione; ma deve essere anche un momento di informazione del resto della cittadinanza, che vale per la sclerosi multipla, ma vale per tante patologie. Noi dobbiamo essere una società accogliente, che non fa della persona malata un qualcosa sì da curare quasi con spirito caritatevole, ma una persona da tenere inclusa nel contesto sociale il più possibile. Ne va del valore della qualità della vita di quella persona, ne va della qualità di vita, però, della collettività, della comunità tutta. Questo non dimentichiamocelo mai.