Grazie, signor Presidente. A meno di due settimane da una seduta che abbiamo dedicato, in quest'Aula, alla scarcerazione, da parte del Governo italiano, del torturatore Almasri, siamo di nuovo qui di fronte ai banchi, ancora una volta sostanzialmente vuoti, del Governo se si toglie la pregevole eccezione del Ministro Piantedosi. Forse, ormai, vi fate coraggio a vicenda vista la latitanza della vostra maggioranza in Aula? Ma siamo qui a esaminare, lo dicevo, il comportamento gravissimo del Ministro Nordio. Un comportamento inaccettabile, perché consumato in un ambito, quello della giustizia internazionale, che ha minato la credibilità dell'Italia nel mondo. Per questo motivo noi, oggi, siamo qui a chiederne, con forza, le dimissioni. Ha ragione il collega Giachetti, non è una cosa che si fa a cuor leggero, neanche da parte delle opposizioni, e men che meno per un dicastero così delicato. Eppure, il Ministro della Giustizia che dovrebbe amministrare la giustizia con disciplina onore ma, anche, con equilibrio e prudenza ha dimostrato, progressivamente nei mesi scorsi, di non avere rispetto di nessuno di questi fondamentali.
Sul caso Almasri, in particolare, ha palesato al Parlamento, di fronte cioè alla massima istituzione del Paese, di non essere all'altezza. Perché all'oltraggio di avere liberato e riaccompagnato a casa con un volo di Stato un uomo accusato di crimini contro l'umanità, ha anche aggiunto l'offesa e l'attacco al ruolo di un organismo internazionale, qual è la Corte penale internazionale. Lo ha fatto mentendo. La stessa Corte non ha potuto reagire, se non aprendo un'inchiesta nei confronti dell'Italia, accusandola di avere creato un danno grande alle indagini, garantendo per il futuro, in questo modo, un salvacondotto ad altri criminali libici, quei trafficanti di donne e uomini, a cui la Premier Meloni aveva promesso, come sappiamo, di dare la caccia su tutto il globo terracqueo. Ci sono voluti decenni per costruire il progetto di una giustizia penale internazionale fondandosi sulla convinzione, per noi sacra, che esistono dei crimini percepiti come lesivi di valori universali e, per questo motivo, tali da trascendere il sistema giuridico di ogni una singola comunità statale. La Corte penale internazionale è nata per essere la risposta alla domanda di giustizia che si contrappone a una cultura dell'impunità. Ed è grave, ancora più grave, pensando che il suo trattato istitutivo è stato firmato, proprio qui, a Roma il 17 luglio del 1998, che sia l'Italia, con questo Governo, a contribuire ad indebolirla in un momento storico così complesso, che tutti noi vediamo. Spaventa il fatto che l'attacco sia stato, persino, supportato dal Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale del nostro Paese, ventilando l'ipotesi di un'inchiesta ai danni della Corte, proprio in coincidenza con l'ultima iniziativa del presidente americano Trump, pronto a firmare un ordine esecutivo per sanzionare la Corte penale. Proprio nel tempo in cui viene presa di mira da chi pensa di poter ridisegnare i confini dell'Europa con un'aggressione di stampo imperialista, che ha riportato la guerra nel nostro continente. Non possiamo accettare questo attacco . Non può farlo l'Italia per la sua storia, per le sue istituzioni, per il suo presente. Il diritto internazionale, oggi meno che mai, può essere ridotto a carta straccia e nessuno può concorrere a indebolirlo. Anche solo per avere messo in discussione l'autorevolezza, l'autorità di quel tribunale, lei dovrebbe sentire il dovere di lasciare il suo incarico. Anche da questo deriva il nostro giudizio politico sul suo operato e, in generale, su quello del Governo che rappresenta e della sua Presidente del Consiglio. È un giudizio, compiuto, di condanna rispetto a una vicenda gravissima e vergognosa. Lo dico in tutti i sensi in cui si può intendere questa parola. Non si può dire altro per la decisione grave di difendere, di fatto come ha fatto lei in quell'arringa in quest'Aula, un aguzzino, un torturatore, un assassino che è stato scarcerato, lo ripeto, fatto salire su un aereo di Stato e fatto tornare, tranquillamente, in patria. Una vergogna che è resa ancora più tragica dalle contraddizioni, dalle falsità che sono state raccontate qui, in questa Aula, per ottenere il risultato: vizi di forma, errori di date, mancate traduzioni.
E, voglio ricordarlo, abbiamo dovuto insistere, molto e ripetutamente, per avere a disposizione le carte che lei ha, impropriamente, usato per costruire e legittimare quella versione.
Mai una verità, anche quando l'unico compito che spettava al Ministro era quello di dare corso a quella richiesta di arresto; invece, abbiamo visto solo colpevoli omissioni e l'esercizio di una discrezionalità che - lo ribadiamo ancora una volta - non è prevista dalla legge. E questo perché c'era solo una precisa volontà politica del Governo di non procedere all'arresto di un criminale qual è Almasri. Poi, ovviamente, come fa sempre, il Governo ha approfittato di quella vicenda per un vittimismo patetico e infondato. La Presidente Meloni è sempre una vittima, una vittima strana, però, che scappa, com'è scappata dal Parlamento, ma che poi fa aggredire i suoi, incaricandosi però di difendere quelli che considera oggetto di attacchi ingiustificati, come nel caso del Sottosegretario Delmastro.
A proposito, Ministro, dov'è il Sottosegretario Delmastro? Perché non è seduto in quest'Aula oggi? È stato condannato, perché non lascia la poltrona? Ovviamente, è in buona compagnia di altri indagati componenti di questo Governo. Il Ministro, invece, ha utilizzato questa occasione per attaccare, ancora una volta, l'indipendenza della magistratura, per delegittimare il suo operato in una dimensione internazionale e nazionale, ovvio. Il messaggio è chiaro: nessuna autorità giudiziaria può emettere atti sgraditi alla maggioranza politica di turno; se ciò avviene, l'atto giudiziario sgradito sarà in qualche modo vanificato nei suoi effetti e l'autorità giudiziaria che l'ha emesso verrà additata all'opinione pubblica come una “nemica della Nazione”.
Lo avete fatto sul caso Almasri contro la Corte penale internazionale e poi contro il procuratore Lo Voi; lo avete fatto sulla vicenda imbarazzante dei centri per i migranti in Albania contro la Corte di giustizia europea; lo avete fatto contro i giudici che hanno emesso una sentenza contro il Sottosegretario Delmastro. E la cosa più grave, Ministro, è che non solo l'hanno fatto dei rappresentanti del Governo e della maggioranza, ma che lo ha fatto lei che è Ministro della Giustizia qualche giorno fa, arrivando ad auspicare una riforma di una sentenza, di cui esiste solo il dispositivo e di cui non si conoscono nemmeno le motivazioni, perché il suo obiettivo è quello di delegittimare costantemente l'operato della magistratura, minandone l'autorità. E allora, invece di occuparsi di fare funzionare la giustizia italiana e della tragedia che quotidianamente si consuma nelle nostre carceri, lei interpreta quella che è un'ossessione di questo Governo: ridimensionare il potere dell'autorità giudiziaria.
Per questo motivo, lei ha usato, qualche settimana fa, un'espressione impressionante: ha parlato di quella “riforma finale” - così lei l'ha definita - contraria ai principi della nostra Costituzione, che sono invece affermati in ambito europeo e che incoraggiano l'autonomia di tutto il potere giudiziario, per una giustizia equa, imparziale ed efficace. Su questa vicenda - quella di cui discutiamo oggi e che è l'oggetto principale della mozione di sfiducia che abbiamo presentato con le altre opposizioni - lei, Ministro Nordio, è venuto in Aula qualche settimana fa a coprire goffamente l'assenza della Premier, che ha offeso ancora una volta il Parlamento, ma le sue motivazioni sono risultate ancora più deboli ed imbarazzanti di quanto la Presidente Meloni potesse sperare. Lei, Ministro, ha detto in quest'Aula che “non è disponibile a fare il passacarte della Corte penale internazionale”; invece, avrebbe dovuto dire che è pronto a farlo senza vergogna della Presidente del Consiglio. Se così non fosse, in un sussulto di dignità, l'unica cosa che le rimane sarebbero le dimissioni. Almeno restituirebbe - forse - prestigio e credibilità a quell'intellettuale liberale che da magistrato difendeva chi esercita la giustizia con la sua indipendenza. Non è così e per questo motivo noi ribadiamo la nostra richiesta di dimissioni.