Grazie, Presidente. Noi chiediamo di fare questa discussione sulla crisi del cinema da circa due anni e finalmente ci siamo riusciti, usando gli strumenti a disposizione delle opposizioni, ma mi faccia dire: il primo problema è lì, tra i banchi del Governo. Non ce l'ho ovviamente con il Sottosegretario Mazzi, che ringrazio per essere qui, ma mi riferisco al fatto che non solo non c'è il Ministro Giuli - e vabbè, anche se una discussione che attendiamo da due anni avrebbe meritato la presenza del Ministro -, ma non c'è nemmeno la Sottosegretaria Borgonzoni, che ha la delega su questa materia. Sono due anni che chiediamo di discutere con lei e sono due anni che scappa dal Parlamento; mentre fuori dal Parlamento lei, il Governo e la maggioranza offendono il mondo del cinema, criminalizzano il mondo del cinema. Guardate, è un caso abbastanza raro quello in cui un Ministero, che dovrebbe proteggere un settore, invece ne diventa il carnefice, perché questo è accaduto ed è stato ricordato da tanti colleghi.
Tra le tante peculiarità delle azioni di questa maggioranza - molti se ne dimenticano, perché ne avete fatte tante - ricordo la lettera che l'allora Ministro Sangiuliano - ve lo ricordate Sangiuliano? - scrisse al Ministro dell'Economia e delle finanze chiedendogli di tagliare di più il cinema, dicendo: i tagli che avete fatto non bastano, vi prego, tagliate il mio Ministero ancora di più! Questo è successo nel nostro Paese, mentre si raccontavano gli autori e i registi come dei parassiti - lo ha fatto anche adesso la collega Dalla Chiesa -, i circoletti presunti di una sinistra radical chic che avrebbe occupato questo settore: una pletora di offese assolutamente gratuite, che sono state però accompagnate purtroppo da fatti. Non ci si è limitati a criminalizzare a parole, ma si è colpito un intero settore.
Il balletto sul tax credit questo è stato: prima bloccato, poi emanato con dei regolamenti che falcidiavano soprattutto i produttori indipendenti, poi bloccato dai ricorsi al TAR: due anni in cui chi doveva fare cinema rispettando le regole non aveva le regole per fare cinema e chi truffava ha potuto continuare serenamente a truffare. Il tax credit si è trasformato in un feticcio politico. Guardate, solo da noi succede questo. Lo ha ricordato l'onorevole Giachetti: in tutto il mondo quello strumento viene utilizzato per attrarre investimenti e per produrre ricchezza. Noi l'abbiamo trasformato in un mostro, in un nemico politico, quando bastava riformare quello che non funzionava.
Lo abbiamo sempre detto: il problema non era lo strumento, erano i controlli che mancavano, erano insufficienti, e i controllori. Avete rimosso il direttore generale con molto ritardo: noi l'avevamo chiesto, voi l'avete confermato e, poi, vi siete resi conto di aver sbagliato e avete lasciato lì chi ha gestito questo settore.
Onorevole Dalla Chiesa, lei ha detto: noi non abbiamo fatto come quelli di prima. Quelli di prima eravate voi. Prima di voi, c'era la Sottosegretaria Borgonzoni a occuparsi di questo. Chi ha gestito in questi anni il cinema, producendo cose positive e anche tanti di quei danni che oggi voi attribuite ad altri, è chi ancora oggi lo gestisce da lontano, perché qui non si vede. Voi lo avete fatto non solo per una ragione politica, ma perché avete immaginato di poter riformare questo settore, costruendo un patto di potere vero e proprio con i più forti a danno di tutti gli altri, e avete creato un meccanismo darwiniano nel mondo del cinema. Infatti, nelle vostre risoluzioni, nelle quali date i numeri, citate solo i numeri di una parte, di chi obiettivamente sta meglio di prima perché ha guadagnato dalle vostre politiche. Avete scelto le piattaforme - bel Governo di sovranisti, che apre le porte alle multinazionali straniere nel nostro Paese - e i produttori più forti, penalizzando la produzione indipendente: quelle piccole e medie imprese che, però, sono l'ossatura della produzione italiana e anche, Sottosegretario Mazzi, il tratto identitario della produzione italiana. Perché la peculiarità che ha reso grande il nostro cinema è esattamente questa: il lavoro diffuso di tante maestranze, di tanti lavoratori delle troupe, di tanti sceneggiatori, artisti, autori, attori, che sono cresciuti e si sono affermati attraverso le produzioni indipendenti, che voi avete ucciso.
Un prezzo altissimo lo hanno pagato le lavoratrici e i lavoratori; anche qui, se la Sottosegretaria competente e il Ministro, invece di fare le sfilate sui vari red carpet del nostro Paese, incontrassero davvero tutte le rappresentanze di settore, sentirebbero quello che noi abbiamo ascoltato in questi anni, cioè persone, lavoratrici, lavoratori, eccellenze del nostro Paese che non sanno più come fare questo mestiere perché è tutto bloccato, che non sanno come dar da mangiare alle loro famiglie.
Sono competenze che si disperdono. È un dramma occupazionale e imprenditoriale enorme per il nostro Paese, che voi negate. E lo negate anche nelle risoluzioni e negli interventi che avete presentato qui e che state facendo qui; lo fate perché non potete ammettere il fallimento di questi anni, tanto che nelle proposte - ho letto con attenzione la risoluzione a prima firma del presidente Mollicone - voi sostanzialmente cosa proponete? Di andare avanti così: più potere alla Direzione generale del cinema, che è quella che ha prodotto il disastro, non sapendo vedere le truffe; più potere alla Sottosegretaria; più potere a chi, fin qui, non è riuscito a garantire autonomia e forza al mondo del cinema.
Noi avevamo fatto una cosa diversa, raccogliendo l'invito di un uomo non certo di sinistra. Quando il maestro Pupi Avati ha chiesto alla politica di unirsi per salvare il cinema italiano, noi abbiamo raccolto quella proposta insieme alle altre forze di opposizione e oggi, nelle nostre risoluzioni, in modo diverso, c'è una proposta che le accomuna. Abbiamo chiesto e vi proponiamo una cosa semplice: l'Agenzia per il cinema e per l'audiovisivo, raccogliendo quell'invito di Pupi Avati. Voi oggi a quell'invito ancora una volta dite “no” e, di certo, non viene da un trinariciuto regista comunista.
Vi abbiamo chiesto - e avevamo lavorato insieme nella passata legislatura - di dare almeno sollievo alle lavoratrici e ai lavoratori attraverso l'indennità di discontinuità: l'abbiamo finanziata insieme, con un emendamento delle opposizioni; voi l'avete smantellata, smontata e definanziata. Il Sottosegretario Mazzi si è impegnato e sta lavorando per trovare una soluzione, però, ad oggi, quella soluzione non si vede.
Perché – questa è la domanda - fate tutto questo? Perché un Governo fa la guerra a una filiera industriale del proprio Paese? Perché danneggiate un pezzo dell'economia di questo Paese?
La ragione purtroppo è triste, ma semplice, perché voi considerate questo settore, che occupa - o almeno occupava - 180.000 persone tra addetti diretti e indiretti, qualcosa che non controllate, che non è a voi vicino e, quindi, decidete politicamente, scientificamente, di colpirlo e di occuparne i posti, le postazioni principali, perché volete decidere cosa fa la cultura, dove va la cultura, che indirizzo prende la cultura nel nostro Paese.
Guardate però che in democrazia non funziona così, perché il mestiere della politica, delle istituzioni non è decidere quale produzione culturale va avanti e quale no, ma garantire la libertà della produzione culturale. La libertà da noi, dalla sinistra, dalla destra, dalla politica in generale, e la libertà dai poteri economici e dai condizionamenti economici. Perché l'indennità di discontinuità? Perché un artista, per essere libero, non deve avere un problema e dipendere dal committente. Per questo in democrazia esiste il sostegno pubblico alla cultura, perché il cinema e la cultura in generale è questo: è pensiero critico, è capacità critica, è capacità di innovare, di rompere i meccanismi del mainstream e di produrre sperimentazione e innovazione.
Voi che dite la tradizione italiana, la tradizione italiana è questa: non è produrre i film e finanziare i film sui personaggi storici, ma è lasciare che il nostro cinema continui a innovare, a creare, a sperimentare, a cambiare, rielaborando la propria tradizione. Questo si fa, non lasciandolo solo nel confronto col mercato. C'è bisogno di sostenere la cultura e il cinema. Difendere l'identità del nostro Paese è esattamente difendere quella capacità di innovare, di creare e di sperimentale ed è anche un modo di resistere allo strapotere dell'algoritmo. Oggi noi cosa possiamo vedere? Cosa viene spinto davanti al nostro televisore, nelle nostre sale? Quello che già funziona, perché è uguale a quello che già c'è stato. Garantire che si continui a sperimentare e a finanziare ed innovare chi prova qualcosa di diverso è un modo di garantire quella capacità di continuare a creare cose nuove e guardare al futuro in modo diverso.
C'è insomma un nesso tra diffusione e libertà della cultura e qualità della democrazia. Proprio per questo, noi abbiamo bisogno di garantire quella libertà, che forse è esattamente quello che a voi spaventa.