Grazie, Presidente. Intanto, voglio ringraziare il Sottosegretario Durigon. Adesso vedo che c'è la Sottosegretaria, la ringrazio. Certo, ci sarebbe piaciuto - non posso nasconderlo - la presenza, per la discussione di queste mozioni, anche della Ministra per le Pari opportunità perché, vedete, su queste discussioni noi crediamo fortemente che si debba lavorare insieme e ci aspettiamo un'attenzione alle Aule parlamentari più forte da parte di chi ha un dicastero delle Pari opportunità. Lo dico, anche perché è già stato ricordato stamane: la mozione delle opposizioni riunite è stata totalmente stravolta, al punto tale che - e su questo mi perdonerete, ma noi siamo legislatori, siamo parlamentari della Repubblica, non influencer che devono fare dei video da postare sui social - mi corre l'obbligo di fare chiarezza su alcuni aspetti che sono determinanti, perché le parole sono importanti e le leggi che noi abbiamo approvato dobbiamo, innanzitutto, conoscerle e farle rispettare.
Io credo che questo sia un senso profondo e allora non posso non ricordare a me stessa e a questo Parlamento quanto accaduto in altre fasi storiche. Penso, per l'appunto, alla scorsa legislatura: il 13 ottobre del 2021, in quest'Aula, all'unanimità, colleghi e colleghe, veniva approvata una legge sulle discriminazioni dirette e indirette sui luoghi di lavoro per le donne, che rivedeva il codice delle pari opportunità e introduceva alcuni limiti stringenti proprio per favorire alcuni scatti di avanzamento di carriera, nonché per verificare e monitorare qual era la situazione. Peraltro, avevamo inserito molte risorse: 52 milioni di euro. Lo voglio ricordare perché anche Fratelli d'Italia votò a favore di quella misura e oggi, in un impegno della mozione, noi chiediamo una cosa che è prevista per legge: non che l'8 marzo o il 25 novembre la Consigliera di parità venga a riferire in Aula su qual è la situazione del gender gap e sull'attuazione della legge n. 162 del 2021, ma che ci sia un momento di condivisione nelle Aule parlamentari, fuori dalla retorica.
Eppure, noi abbiamo chiesto che venisse applicata la norma; abbiamo solo chiesto che venisse data in quest'Aula quell'informazione. Il Governo, invece, ha addirittura detto: “Ma sì, vi faremo sapere”. È l'impegno n. 11), Sottosegretaria. Ma come “Vi faremo sapere”? Sono passati due anni e c'è una norma da attuare di cui ad oggi - dopo che avevamo messo, addirittura, due milioni di euro nella legge di bilancio del 2020 - non si sa niente. Noi, infatti, avevamo messo due milioni di euro per una piattaforma che doveva, in modo trasparente, rendicontare; eppure, di quella piattaforma, ad oggi, non si sa niente.
Questo non è fare un servizio vero alle donne, ai lavoratori e alle lavoratrici di questo Paese. Noi su questo continueremo a interrogare il Governo, perché vogliamo delle risposte in Parlamento. E le vogliamo perché? Perché un Paese che non riconosce il ruolo della donna nella società, nell'economia e nelle istituzioni, non solo perpetua un'ingiustificabile discriminazione, ma rinuncia anche a uno sviluppo equilibrato e inclusivo. Parliamo di una perdita di PIL più o meno stimata sui 7 punti percentuali all'anno. Non lo dice l'opposizione, lo dice la Banca d'Italia. In un Paese che non riesce a crescere dello 0 virgola, possiamo davvero permetterci di sprecare un tale potenziale? I dati che abbiamo di fronte sono allarmanti, vorrei dire vergognosi, per un Paese che si considera avanzato. Il tasso di occupazione femminile in Italia è tra i più bassi dell'Unione europea: 14 per cento rispetto alla media UE.
Nonostante un lieve incremento registrato nel 2024, vorrei ricordarlo a chi usa toni trionfalistici, il divario occupazionale tra uomini e donne rimane di 18 punti percentuali. La situazione diventa ancora più drammatica quando guardiamo alle condizioni delle madri lavoratrici: 1 su 5, colleghi, si dimette dopo la nascita del primo figlio. La maternità - che a parole è tanto celebrata da questo Governo, che è arrivato a istituire addirittura un Dicastero della natalità - diventa un ostacolo vero e proprio, dobbiamo dircelo, alla carriera e anche all'indipendenza economica delle donne in questo Paese. Avere un figlio in questo Paese, purtroppo, limita nei fatti la carriera nel mondo del lavoro delle donne. E di nuovo, non lo dice l'opposizione, abbiamo numerosissimi studi su questo, non ultimi anche quelli dell'INPS, che ci ricordano che addirittura quel gap non si colmerà mai, anzi aumenterà: aumenta per le lavoratrici dipendenti e aumenta per le lavoratrici autonome, fino ad arrivare anche al 53 per cento nel lungo periodo. Dico questo perché serve una vera parità, non solo sulla carta, perché, come ci ricordano e ci hanno ricordato le nostre madri costituenti, dovremmo ricordarci il secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione, lì dove, per l'appunto, dobbiamo rimuovere gli ostacoli che, di fatto, limitano l'uguaglianza tra uomini e donne. Quel “di fatto” l'hanno voluto le madri costituenti, perché sapevano che quel “di fatto” vuol dire concretamente, materialmente. Ed ecco perché noi dobbiamo invertire le politiche economiche, per sostenere non solo la natalità, ma anche l'occupazione femminile, perché sostenere l'occupazione femminile vuol dire sostenere la crescita del Paese tutto. E invece, su questo, mi spiace, ma non c'è niente. Anche perché il lavoro di cura in questo Paese - e lo dico perché vorrei che su questo ci fosse veramente un ragionamento bipartisan, colleghi e colleghe, proprio con lo spirito con cui approvammo la legge nel 2021 - dovremmo iniziare a pensarlo e a ripensarlo, e a dare più valore anche economico. Invece, questo è un elemento che manca totalmente nel dibattito delle Aule parlamentari e all'attenzione del Governo.
E poi c'è il tema dei congedi. Anche qui, mi scuserete, ma mi tocca fare un po' di chiarezza rispetto ai toni trionfalistici che ho sentito proprio in questa discussione. Parliamo del congedo parentale, che oggi scopriamo che forse verrà riconosciuto e retribuito all'80 per cento. Io vorrei essere chiara, perché, a differenza vostra, noi su questi temi siamo molto concreti. È un passo avanti? Ma sì, diciamo pure che è qualcosa in più, ci mancherebbe. Però, siamo realisti: serve all'obiettivo di redistribuire il carico di cura familiare che è sulle donne, se questo congedo non viene preso? Lo dico perché, purtroppo, la maggior parte degli uomini non prendono il congedo. E allora, aumentare all'80 per cento non cambierà la situazione concreta, se, dall'altro lato, tu non inserisci e, anzi, nel frattempo, dal PNRR togli gli obiettivi degli asili nido, che erano previsti e che, invece, voi - voi! - avete deciso di togliere dal PNRR.
Se volete fare una cosa davvero importante, bisogna lavorare per costruire dei congedi che siano obbligatori, universali e retribuiti al 100 per cento, altrimenti così, mi dispiace, è un passo in più, ma non servirà e non cambierà la situazione culturale ed economica di questo Paese.
E torno al tema fondamentale: se non ci sono le infrastrutture sociali, non possiamo pensare di avanzare, perché il tema ormai è evidente a tutti. Non ci sono i posti negli asili nido, manca un welfare diffuso in questo Paese e le scelte che ha fatto questo Governo, nonostante i toni trionfalistici che ho sentito in quest'Aula, non vanno nella direzione né di sostenere la concreta natalità, né di sostenere l'occupazione femminile, che, come noto, è più presente proprio in queste professioni del lavoro di cura, come dicevo.
E allora, fatemelo dire: non servono mancette, non serve allungare del 20 per cento in più; quello che serve è proprio inserire strutturalmente degli strumenti che siano a disposizione delle donne. Serve inserire il salario minimo legale in questo Paese per abbattere il gender pay gap , perché sono le donne e i giovani che hanno i lavori più precari e più poveri. Se noi introducessimo quella soglia di 9 euro all'ora, non solo non avremmo sfruttamento del lavoro, ma per fortuna riusciremmo anche a superare il gender pay gap. E invece, anche su questo non abbiamo risposte. Perché? Perché questo Governo dimostra, ogni volta, di essere ideologico. Del resto, non possiamo stupirci, perché siamo un Paese in cui la Presidente del Consiglio si fa chiamare “il” Presidente del Consiglio. E questa è la dimostrazione, di nuovo, che le parole contano e che voi scegliete di essere subalterni a una cultura, che, purtroppo, è ancora profondamente maschilista. Ve lo dico: noi, nonostante questo, continueremo a sforzarci in queste Aule parlamentari e ogni passo in avanti lo accogliamo con favore, ma attenzione, perché state illudendo le persone che voi lavorate a favore della natalità e della redistribuzione del carico di cura familiare: non è così! Continueremo noi a fare la battaglia affinché la genitorialità sia davvero condivisa, retribuita e universale.