Discussione generale
Data: 
Lunedì, 9 Ottobre, 2023
Nome: 
Andrea Casu

Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, la governance economica europea è frutto di una lunga evoluzione e ha tre obiettivi principali: assicurare il rispetto dei vincoli di finanza pubblica, il coordinamento delle politiche economiche e la stabilità e la sostenibilità delle politiche di bilancio degli Stati membri dell'Unione europea. Il fulcro della disciplina è costituito dal Patto di stabilità e crescita del 1997, come contestualizzato dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che ha fissato i parametri di riferimento del 3 per cento e del 60 per cento, rispettivamente, per il disavanzo pubblico e per il debito pubblico sul PIL, originariamente stabiliti dal Trattato di Maastricht. Sono intervenute anche le modifiche per effetto dei cosiddetti six pack del 2011 e two pack del 2013 che, insieme, all'accordo intergovernativo del 2012, il Fiscal compact, ne hanno reso più stringente il funzionamento.

Il sistema, articolato in quelli che vengono chiamati braccio preventivo e braccio correttivo, prevede una clausola generale di salvaguardia che consente agli Stati membri dell'UE di deviare temporaneamente dagli obblighi posti dal Patto di stabilità e crescita, che comunque non viene sospeso, per adottare misure di emergenza e fronteggiare circostanze avverse. Tale clausola è stata attivata per la prima volta in conseguenza della pandemia da COVID-19 ed estesa fino a tutto il 2023 in ragione del conflitto russo-ucraino e dall'aumento dei prezzi dell'energia. Ne è prevista la disattivazione a partire dal 2024.

La governance economica europea, come evolutasi nel tempo, ha mostrato una serie di limiti sia nella concreta applicazione sia nel perseguire gli obiettivi prefissati. Questi limiti sono diversi, andiamo a elencarli: la prociclicità, perché davanti a rallentamenti ciclici si è spesso richiesto ai Governi di attuare politiche restrittive e, nei casi peggiori, l'Unione ha dovuto sospendere l'applicazione delle regole fiscali, ricorrendo alle clausole di disattivazione; poi, le regole uguali per tutti, poco adattabili al contesto e alle caratteristiche dei singoli Paesi; l'orizzonte di breve termine, che ha finito con il trasformare i vincoli in obiettivi a sé stanti rispetto alle finalità della sostenibilità delle finanze pubbliche degli Stati membri; inoltre, la complessità e la scarsa trasparenza della governance, facilmente soggetta a manipolazione, poiché un ruolo chiave è giocato dalle variabili non osservabili, il PIL potenziale, l'output gap, i saldi strutturali, e che apre la strada a legittime contestazioni; inoltre, gli indicatori utilizzati in larga parte fuori dal controllo diretto dei Governi, sia quelli sul deficit che quelli sul debito, con la conseguenza che in caso di mancato rispetto dei vincoli è difficile discriminare fra responsabilità diretta dei Governi e fattori esogeni.

Questo, a sua volta, non legittima l'applicazione delle sanzioni previste, rendendo più discutibile l'avvio di procedure per deficit o debito eccessivo e poco credibile la governance medesima, sulla quale - di tali limiti - la Commissione ha avviato una discussione sulla revisione della governance economica europea nel febbraio 2020, discussione che è stata sospesa poco dopo a causa della pandemia da COVID-19 e poi rilanciata nell'ottobre 2021, anche al fine di tenere conto del mutato contesto macroeconomico risultante dalla crisi pandemica, in particolare il significativo aumento dei livelli di indebitamento degli Stati membri, che ne è seguito, e gli innovativi strumenti che la EU ha varato per fronteggiare la crisi pandemica, cioè Next Generation EU, finanziato con l'emissione di debito comune, e il dispositivo per la ripresa e la resilienza, nel cui ambito si collocano i PNRR nazionali, e le nuove priorità politiche (la transizione verde e digitale, in particolare).

A conclusione di questo dibattito, nel novembre 2022 la Commissione ha pubblicato gli orientamenti di riforma, su cui si sono espresse le Camere italiane nel marzo 2023 a seguito di un ciclo di audizioni. Il 26 aprile 2023 la Commissione europea ha, quindi, presentato tre proposte legislative per riformare il quadro delle regole della governance economica dell'Unione europea, cioè le proposte di regolamento n. 240 e n. 241 e la proposta di direttiva n. 242. Le proposte, rispetto ai precedenti orientamenti, tengono conto di alcune specifiche richieste avanzate dalla Germania e dai Paesi cosiddetti frugali, contrari a un approccio più bilaterale specifico per Paese, ritenuto rischioso per la trasparenza e la parità di trattamento. Anche durante il Consiglio Ecofin dello scorso 16 giugno sono emerse alcune posizioni diverse rispetto all'impianto generale della proposta, incentrate su regole più vincolanti, automatiche e uguali per tutti e su una maggiore concentrazione sul breve termine, con una riduzione della discrezionalità attribuita alla Commissione europea.

Le tre proposte legislative, due regolamenti e una direttiva, che modificano sia il bilancio preventivo che quello correttivo, mirano a introdurre un quadro di norme più semplice e trasparente, con una maggiore differenziazione nella loro applicazione tra i diversi Paesi, la riduzione dell'orientamento prociclico, il miglioramento della titolarità nazionale, con l'obiettivo dichiarato di rafforzare la sostenibilità del debito e, al contempo, promuovere una crescita sostenibile e inclusiva attraverso riforme e investimenti. Restano fermi i parametri di riferimento del 3 per cento per il rapporto fra disavanzo pubblico e PIL e del 60 per cento per il rapporto tra debito pubblico e PIL, per il cui eventuale aggiornamento, che richiede una modifica dei trattati, sono necessarie tempistiche più lunghe.

Le principali novità che presentano le proposte della Commissione sono: il passaggio da un orizzonte temporale di un anno a uno pluriennale, tramite l'introduzione dei piani di bilancio strutturali a medio termine, che vanno da 4 o addirittura 7 anni, elaborati dagli Stati membri, che definiscono le proprie politiche fiscali, le riforme e gli investimenti, anche in relazione ai cambiamenti climatici, indicando, in particolare, il percorso di bilancio nazionale definito come traiettoria della spesa primaria netta; una maggiore titolarità nazionale ex ante nella progettazione del proprio percorso di risanamento di bilancio; il superamento di una governance uguale per tutti attraverso l'individuazione di sfide di debito differenziate per Paese, su cui si fondano le traiettorie tecniche di aggiustamento proposte dalla Commissione europea, con una maggiore discrezionalità rispetto al presente, anche sulla base delle sue analisi di sostenibilità del debito; una sorveglianza basata su una maggiore attenzione verso la sostenibilità del debito nel medio e lungo termine e il suo progressivo processo di convergenza, evitando percorsi di riduzione troppo rapidi e troppo a lungo; la soppressione degli obiettivi di medio termine e la previsione di un singolo indicatore operativo, la spesa primaria netta, che è sostanzialmente sotto il diretto controllo dei Governi. In questo modo migliora l'imputabilità per il mancato rispetto degli obblighi e la legittimità dell'impianto sanzionatorio; un regime di applicazione del braccio correttivo più rigoroso in caso di violazione del criterio del debito, con l'apertura automatica della procedura per disavanzi eccessivi per i Paesi con un debito superiore al 60 per cento del PIL, salvo che il livello del debito, seppure superiore a tale soglia, non si discosti dal percorso definito nel piano strutturale di bilancio dello Stato interessato nel quadro del nuovo braccio preventivo. Si supera, quindi, la cosiddetta regola dell'1 su 20 di riduzione su base annuale del debito, ritenuta eccessivo alla luce degli attuali livelli di debito. Le proposte della Commissione europea rappresentano, quindi, un importante passo in avanti nella costruzione del sistema di governance economica dell'Unione europea che tenga insieme le esigenze della stabilità finanziaria e il ruolo della politica fiscale.

Tuttavia, permangono alcune criticità, alcune delle quali derivanti dalle modifiche apportate rispetto all'impostazione data precedentemente dagli orientamenti della Commissione. In primo luogo, non è proposta alcuna golden rule per escludere determinati investimenti, in particolare quelli per sostenere le transizioni verde e digitale o per aumentare le capacità di difesa dell'aggregato di spesa primaria netta, anche al fine di fornire un vero stimolo alla crescita economica dei singoli Paesi europei e dell'Europa nel suo insieme.

In secondo luogo, sono introdotti vincoli e automatismi che riducono flessibilità e differenziazione per Paese delle nuove regole, in particolare l'obbligo automatico e generalizzato, in caso di un disavanzo pubblico superiore al 3 per cento, di riduzione in media dello 0,5 per cento del PIL all'anno, salvo circostanze eccezionali, e quello del raggiungimento, al termine della traiettoria, di un livello di debito inferiore a quello di partenza. Ciò , quindi, può comportare il rischio di politiche di bilancio eccessivamente restrittive e indifferenziate, che non considerano le eventuali circostanze di difficoltà in cui potrebbero trovarsi le singole economie nazionali nell'impatto sociale di tali misure.

In terzo luogo, la dinamica della spesa primaria netta nel periodo di applicazione del piano dev'essere inferiore a quella prevista del PIL, che equivale a richiedere un miglioramento del disavanzo primario anche quando non è necessario per ridurre il rapporto tra debito e PIL. Non è chiaro come interagiranno il nuovo vincolo sul tasso di crescita di tale aggregato e il vincolo del 3 per cento e, dato che questo dipende dal PIL, il problema della prociclicità rischia di non essere risolto, dando prevalenza all'obiettivo della stabilità rispetto a quello della crescita. Sebbene la spesa pubblica netta sia un indicatore direttamente osservabile e sostanzialmente sotto il controllo diretto dei Governi, il suo calcolo richiederà, comunque, l'esclusione degli stabilizzatori automatici, la cui stima non è sempre immediata. Il riferimento a proiezioni decennali del debito oltre l'orizzonte del piano, quindi fino a 17 anni dalla data iniziale da parte della Commissione, ha un elevatissimo grado di incertezza e di discrezionalità, in quanto fortemente dipendente dalle ipotesi. Inoltre, non sono chiari i margini che avranno i singoli Paesi per modificare la traiettoria posta dalla Commissione e, quindi, l'effettiva titolarità nazionale della politica economica, che si avrebbe, invece, se la traiettoria fosse di competenza dei Governi nazionali e solo in una seconda fase oggetto di un dialogo tecnico con la Commissione. C'è una maggiore rigidità nella fase di applicazione, per controbilanciare la flessibilità ex ante: i piani dovranno essere rispettati lungo tutto l'orizzonte quadriennale e non potranno essere modificati, se non a fronte di shock particolarmente rilevanti. Le sanzioni, nell'ambito della procedura per disavanzi eccessivi, sono automatiche e hanno carattere reputazionale, essendo irrogate sulla base di una suddivisione dei Paesi in categorie in funzione del rapporto debito pubblico-PIL, mentre sarebbe preferibile un meccanismo incentivante che subordini il ricevimento dei fondi UE al conseguimento degli obiettivi fissati nel piano strutturale di bilancio dello Stato membro.

Nel complesso, non si tiene sufficientemente conto dell'interdipendenza tra le politiche economiche nazionali e manca una visione degli obiettivi di stabilità economica e finanziaria per l'Unione nel suo complesso, i quali non sono automaticamente garantiti dalla somma aggregata degli obiettivi riferiti ai singoli Paesi, su cui si basano sia la disciplina di bilancio sia quella relativa agli squilibri macroeconomici. Rimangono aperte, inoltre, questioni che, seppur non rientranti nel perimetro della revisione, incidono sul funzionamento della governance: la mancanza di un meccanismo permanente di stabilizzazione automatica che ricalchi l'esperienza di SURE; la necessità di provvedere a una forma di capacità fiscale centrale comune per rispondere più efficacemente sia a shock che colpiscono singoli Paesi sia a eventi avversi comuni a tutti, quali, ad esempio, la pandemia o la crisi energetica, nonché, previa modifica dei Trattati, per un compito strutturale di sostegno al fabbisogno di investimenti e al conseguimento di beni pubblici europei e priorità comuni, così lasciando agli Stati membri margini di intervento su quelli che non sono considerati investimenti, come il sostegno alle famiglie a basso reddito e alle piccole imprese; la correlata capacità di indebitamento permanente per la stabile emissione di debito sovrano, anche al fine di trasformare il Next Generation EU in uno strumento di politica economica dell'Unione europea, considerate le nuove priorità perseguite dall'Unione europea come la transizione verde, la transizione digitale, l'inclusione e la resilienza economica e sociale, nonché, per quanto riguarda strettamente il nostro Paese, la mancata ratifica dell'Accordo di modifica del Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (MES) e gli effetti sulla credibilità e sull'affidamento del Paese, anche nella mediazione per la revisione della governance economica europea.

Valutato, quindi, che le proposte della Commissione europea rappresentano, nel complesso, un miglioramento del quadro delle regole della governance economica europea, dobbiamo mettere in evidenza che il pieno interesse del nostro Paese è portare a termine rapidamente la revisione della governance economica europea, per scongiurare gli effetti della disattivazione della clausola di salvaguardia generale.

Al contempo, rischiosa risulterebbe l'accettazione da parte del Governo in sede di negoziazione della previsione di vincoli automatici, i quali andranno a definire in modo permanente il nuovo quadro della governance economica europea, ancor più se tale scelta fosse volta a perseguire per una singola annualità l'agibilità sul deficit ai fini della manovra di bilancio per il prossimo anno. In tal modo si comprometterebbe ulteriormente la credibilità finanziaria dell'Italia, già minata dall'improvvisazione e dalle scelte fallimentari del primo anno di Governo, esponendo a rischio di attacchi speculativi e al possibile abbassamento del rating sui titoli di debito pubblico.

Per questa ragione è indispensabile in questo momento chiedere al Governo di impegnarsi ad attivarsi concretamente e seriamente per portare avanti un negoziato soddisfacente, proponendo ulteriori miglioramenti alla proposta della Commissione. In particolare, serve la rimozione di criteri quantitativi prestabiliti e uguali per tutti gli Stati membri, così come di regole automatiche, che rischiano di reintrodurre elementi di prociclicità e indifferenziazione, con particolare riferimento al vincolo di riduzione annuale di una percentuale fissa del PIL in caso di un disavanzo pubblico superiore al 3 per cento, salvo circostanze eccezionali, e quello del raggiungimento, al termine della traiettoria, di un livello del debito inferiore a quello di partenza, e infine di vincolo sul tasso di crescita della spesa primaria rispetto al PIL, la previsione di una maggiore flessibilità per i piani nazionali e la possibilità di revisione degli stessi, in particolare in caso di modifica dei parametri alla base dell'analisi di sostenibilità del debito, tra cui l'inflazione, così da rendere le regole capaci di adattarsi a contesti economici finanziari mutevoli e non risultare eccessivamente restrittive, la definizione di stabilizzatori automatici che tengano conto delle specificità nazionali, anche al fine di garantire una componente anticiclica automatica sufficientemente adeguata, il rafforzamento di una visione degli obiettivi di stabilità economica e finanziaria per l'Unione intesa nel suo complesso, anche attraverso la previsione di meccanismi di coordinamento delle politiche fiscali, in modo da evitare che i processi di aggiustamento determinino effetti depressivi sull'economia degli Stati membri e più in generale dell'Unione, alla luce della stretta interdipendenza tra le politiche nazionali, un maggiore coordinamento tra la fase di elaborazione ex ante dei piani nazionali e le successive fasi di sorveglianza ex post in caso di sforamento dei parametri, la possibilità di non considerare nel computo della spesa netta alcune spese per riforme e investimenti, in particolare quelli per la transizione verde e digitale, per il contrasto del dissesto idrogeologico e del cambiamento climatico, la possibilità di scorporare il debito accumulato a causa di emergenze e eventi eccezionali, prevedendo in tal caso un percorso specifico, la costituzione di una capacità fiscale dell'Eurozona che permetta di intervenire in circostanze eccezionali e con condizionalità ragionevoli, e parallelamente il rafforzamento degli strumenti comuni su temi di interesse dell'Unione europea, la previsione di meccanismi di stabilizzazione automatica sul modello SURE, il superamento del rigido impianto precedente per perseguire con maggiore efficacia l'obiettivo della crescita sostenibile, nonché della coesione sociale, in un'ottica di equilibrio con l'obiettivo della stabilità, una maggiore valutazione dell'impatto e della dimensione sociale dei piani nazionali, delle misure per la riduzione del debito e l'aggiustamento di bilancio al fine di scongiurare un risanamento delle finanze pubbliche che penalizzi in particolare la spesa sociale, e promuovere l'avvio della riflessione per la revisione, in una prospettiva di medio periodo, dei parametri di riferimento del 3 per cento per il disavanzo pubblico e del 60 per cento per il debito pubblico, ormai privi di rappresentatività.

Scusate per la velocità, ma erano tante le cose da dire e spero di averlo fatto nel tempo concesso.