Colleghe e colleghi, ciò che sta accadendo a Gaza non può più essere letto solo come un conflitto militare o come una crisi umanitaria. È evidentemente qualcosa di più profondo, qualcosa di più sistemico, un esperimento di ingegneria sociale violenta che rischia di ridefinire per sempre i concetti di diritto, di giustizia e persino di umanità.
Noi siamo stati a Rafah alle porte dell'inferno, dove si sentivano chiaramente le bombe e dove dal 2 marzo nessun aiuto umanitario - niente - riesce ad entrare. Lì abbiamo visitato i magazzini immensi dove giacciono a marcire gli aiuti che non entrano: stampelle, frighi per medicinali, giocattoli, lampade, incubatrice, tavoli per operare e la farina che tanto manca nelle bocche dei bambini di Gaza.
Mentre eravamo sulla strada del ritorno, il Governo Netanyahu fa un annuncio: consentirà l'ingresso di una quantità minima di aiuti umanitari, quanto basta per ottenere il via libera politico e mediatico per la prosecuzione del piano criminale di invasione su terra della Striscia di Gaza. Nessuna garanzia data sulla quantità, sulle modalità e soprattutto sulla distribuzione degli aiuti che non deve e non può essere affidata all'esercito israeliano. Infatti ieri arriva la conferma che temevamo. Dalle Nazioni Unite apprendiamo che delle poche decine di camion che sono entrati, e durante il cessate il fuoco ne entravano fino al 500 al giorno, nessun aiuto è ancora stato distribuito alla popolazione civile. L'ONU non ha potuto distribuire questi aiuti per problemi di logistica e sicurezza.
La fame quindi rimane uno strumento attivo di guerra. Io di questo vi voglio parlare nel poco tempo che ho perché i sopravvissuti con cui abbiamo parlato ce l'hanno detto chiaramente. La fame è molto peggio delle bombe e nelle prossime 48 ore 14.000 bambini palestinesi rischiano di morire di fame perché la fame in questo contesto non è solo una conseguenza, è un'arma. Un'arma utilizzata per spezzare un popolo dall'interno, per distruggere la coesione sociale, per cancellare la solidarietà, per trasformare una società in una lotta disperata per la sopravvivenza individuale.
Svuotare Gaza dal cibo significa frantumare ogni patto sociale, significa spingere ciascuno a pensare solo al proprio io affamato, significa far crollare ogni identità collettiva e far percepire una comunità non come una società, ma come un insieme di concorrenti. È un'operazione che mira a trasformare un popolo in una massa disorientata su cui si pretende che accetti qualunque cosa pur di sopravvivere, anche lo sfollamento forzato e anche la pulizia etnica.
Si sta delineando sempre più chiaramente questo tipo di strategia. Una strategia di vera e propria demolizione sociale, parte di un disegno più ampio che punta a far crollare la credibilità morale di un popolo, a convincere il mondo che non è in grado di autogovernarsi per poi imporre una nuova forma di colonizzazione sotto copertura umanitaria. Una violenza inaudita, colleghi, che si somma a quella delle bombe che continuano a cadere, alla distruzione deliberata degli ospedali, delle scuole, delle infrastrutture, al bombardamento dei campi profughi, alla targhettizzazione degli operatori umanitari e dei giornalisti.
Onorevoli colleghi, tutto questo accade in diretta sotto gli occhi del mondo. Come è possibile che solo il Governo italiano continui a non vedere? Come è possibile e con che coraggio questa maggioranza, di fronte a questo quadro, continua a parlare delle poche tonnellate di aiuti di Food for Gaza come se fossero una soluzione? È chiaro che di fronte a tutto questo non c'è soluzione umanitaria che tenga. Serve una soluzione più complessiva, serve una soluzione politica. Noi nella mozione unitaria delle opposizioni individuiamo chiaramente alcuni punti di azione concreta.
Nel frattempo il nostro Paese continua ad acquistare tecnologie militari da Israele, continua a votare contro alla revisione degli Accordi di associazione tra Israele e l'Unione europea. Io vi chiedo: avete o non avete il coraggio di guardare in faccia la sofferenza di cui ci state rendendo complici? Avete o non avete il coraggio di prendere in questo senso delle azioni politiche concrete e di smetterla con le dichiarazioni timide e con la declamazione della soluzione “due popoli e due Stati” senza che nessuna conseguenza politica in questo Parlamento venga presa da parte della maggioranza? Vi prego, ve lo chiediamo qui in Aula, ve lo chiediamo in ginocchio, ve lo chiediamo di fronte a tutto il mondo: fate qualcosa. Fate qualcosa anche voi.