Grazie, Presidente, saluto lei e il rappresentante del Governo. Intervengo ad illustrare la mozione del Partito Democratico che chiede il ripristino dell'istituto pensionistico “opzione donna” per come era vigente fino alla fine del 2022. Perché ci troviamo qui, oggi, a dover fare questa richiesta al Parlamento? Perché nella legge di bilancio di fine anno scorso il Governo è intervenuto cancellando, di fatto, quella possibilità di pensione anticipata. Nonostante le numerose proteste, il grido di allarme venuto dalle parti sociali, ma direttamente anche dalle persone che erano in procinto di andare in pensione e anche da tutte le forze politiche di minoranza, il Parlamento ha approvato, nella legge di bilancio, una modifica che di fatto cancella quello strumento, mantenendone, in maniera mistificatoria, il nome.
La mozione a prima firma del collega Andrea Orlando, ma sottoscritta da molti altri colleghi, tra cui la sottoscritta, chiede in sostanza che il Parlamento impegni il Governo ad adottare, sin dal primo provvedimento utile, le opportune iniziative volte a ripristinare l'istituto di “opzione donna” nei termini previgenti la legge di bilancio 2023. In sostanza, questa modifica, ben lontana dagli annunci di esponenti dell'attuale maggioranza che ipotizzavano misure legislative finalizzate a scongiurare il ritorno alla legge Fornero, con le norme in materia previdenziale contenute nella legge di bilancio costruisce una situazione che si caratterizza per essere sostanzialmente irrilevante nelle soluzioni prospettate per assicurare forme di flessibilità di uscita pensionistica, nonché per i tagli che vengono applicati agli assegni di milioni di persone, che si vedranno decurtare gli adeguamenti all'inflazione.
In questa operazione di tagli alla spesa pensionistica si distinguono le misure che modificano appunto l'istituzione di “opzione donna”, una misura che, introdotta dall'allora Ministro Maroni con l'articolo 1 della legge n. 243 del 2004, è sempre stata prorogata da tutti i Governi che si sono succeduti a decorrere da quella data. La circolare dell'INPS del 6 marzo scorso fa chiarezza sulle modalità di accesso a questo nuovo strumento, destinatari, requisiti e condizioni. Il diritto al trattamento pensionistico si applica nei confronti delle lavoratrici che entro il 31 dicembre 2022 hanno maturato un'anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un'età anagrafica di almeno 60 anni, ridotta di un anno per ogni figlio, nel limite massimo di 2 anni, e che si trovano in una delle seguenti condizioni: lavoratrici che assistono una persona con handicap in situazione di gravità riconosciuto dalla legge 104; hanno esse stesse una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile, superiore o uguale al 74 per cento, questo in alternativa; oppure si tratta di lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale.
In estrema sintesi, si può dire che l'istituto di “opzione donna”, a suo tempo introdotto dal Ministro Maroni, è praticamente scomparso. La conferma è data dalla relazione tecnica del provvedimento, dalla quale si è appreso che nel 2023 avranno la possibilità di accedere alla nuova “opzione donna” soltanto 2.900 lavoratrici, per una spesa di 20,8 milioni di euro, contro le 17.000 lavoratrici previste dalla legge di bilancio 2022, che sono state poi, a conti fatti, 23.000, per una stima di spesa, all'epoca, di 111,2 milioni di euro.
Di fatto, avete trasformato uno strumento che era l'unica possibilità per le donne di anticipare l'uscita dal mondo del lavoro, lo avete cancellato in favore di una misura di welfare a costo zero. “Opzione” significa libera scelta tra alternative, serve ad indicare un diritto di preferenza, ma quella possibilità di scelta non esiste più. Fino allo scorso anno, tutte le donne che avessero maturato 35 anni di contributi e 60 anni di età anagrafica potevano optare per “opzione donna”, cioè scegliere di andare in pensione anticipatamente, rimettendoci comunque il 30 per cento di un diritto maturato legittimamente negli anni, ma era una scelta. Non possiamo certo dire che fosse una cosa giusta, nemmeno prima del 2023. Lo strumento in sé castigava già prima le donne che volevano uscire in anticipo dal mondo del lavoro, spesso per dedicarsi - inutile nascondercelo - ad attività di cura degli anziani genitori o magari dei nipotini, compensando cioè, con una parte del proprio stipendio, l'assenza di servizi pubblici all'infanzia e alla persona, che lo Stato non è in grado di garantire sul territorio italiano. Oggi avete di fatto privato le donne anche di questa possibilità. In cambio di? In cambio di nulla, esclusivamente per una questione di bilancio, che portasse ad un risparmio di 90 milioni di euro, scaricando integralmente sulle spalle delle donne il lavoro di cura. Infatti, se quei 90 milioni fossero stati investiti in nuovi servizi pubblici per la non autosufficienza, per l'assistenza ai fragili, agli anziani e ai bambini, si sarebbero giustamente lasciate le donne a concludere la loro esperienza lavorativa, mentre il welfare pubblico si sarebbe giustamente occupato dei bisogni alla persona. Così non è stato e avete trasformato “opzione donna” in uno strumento assistenzialistico e discriminatorio, senza avere nemmeno il coraggio di chiamarlo con il suo nome, di togliere quel termine mistificatorio, falso e bugiardo di “opzione donna”, che non è più tale. Ho letto sul maggiore quotidiano nazionale di economia che, purtroppo, “opzione donna” non ha più appeal. Come fa ad avere appeal una cosa che non esiste più? È uno strumento che è diventato accessibile solo a donne sessantenni che si occupino di persone dichiarate bisognose di assistenza oppure a donne che siano esse stesse invalide oppure disoccupate, ma la cui azienda sopra i 15 lavoratori abbia indetto un tavolo di confronto per la crisi aziendale. Come detto sono state 23.000 quelle che hanno scelto “opzione donna” nel 2022, quando esisteva ancora ed era una vera opzione, ma sono solo 19 quelle liquidate nei primi quattro mesi di quest'anno, ora che l'avete trasformato in un permesso di accudimento a pagamento, a spese delle donne. E lo chiamate ancora “opzione” donna, perché con le parole siete bravi a fare slogan, a produrre consenso, raccontando bugie, ma questa volta le donne se ne sono rese conto e come! Sono arrivate a tutti noi deputati moltissime lettere di quelle quasi 20.000 persone che non hanno più questo diritto, che dopo una vita di lavoro si stavano organizzando, non per andare ai Caraibi - perché parliamo di pensioni di donne concentrate nelle fasce basse di reddito -, ma per lo più per assistere i propri cari al prezzo personale della rinuncia ad una parte del proprio stipendio. Glielo avete impedito e se ne sono accorte e come! Si sono accorte anche della discriminazione inaccettabile che avete creato tra le lavoratrici che hanno avuto figli e quelle che non hanno legittimamente potuto o avuto le condizioni e le opportunità per averli. Avrei voluto leggere alcuni stralci di queste lettere che ci sono arrivate, ma le conoscete tutti. In conclusione, avete promesso che avreste preso in mano questa situazione con il decreto Lavoro, ma avete perso un'occasione importante. Avete fatto, invece, un decreto che, per una manciata di soldi in busta paga, aumenta la precarietà dei lavoratori, condanna i nostri giovani all'emigrazione e non prevede un euro per rimediare alla cancellazione di “opzione donna”. Se il buongiorno si vede dal mattino, siamo preoccupati noi e le migliaia di donne e vi chiediamo, con questa mozione, di rimediare al danno che avete creato.