Grazie, Presidente. Mai come quest'anno la Conferenza delle parti, che si terrà a Baku tra pochi giorni ed è mirata agli obiettivi del 2029, riveste una così grande importanza. Purtroppo, le esperienze precedenti, come hanno ricordato alcuni colleghi, hanno dimostrato le grandi difficoltà che ancora permangono nell'attuare davvero e scrupolosamente gli impegni stabiliti nelle diverse sedi internazionali, al fine di garantire tutti quegli obiettivi e quelle azioni che concorrono o dovrebbero concorrere al raggiungimento degli indici di contenimento delle emissioni CO₂ o dei gas climalteranti e al rallentamento della crescita della temperatura media entro quel limite di un grado e mezzo per il 2050, che garantiscono una neutralità climatica di emissioni di CO₂ e di cattura dello stessa composto, evitando l'irreversibilità dei processi di surriscaldamento dell'atmosfera del pianeta e il recupero del debito crescente tra risorse naturali e consumo delle stesse, che si assottiglia vertiginosamente ogni anno di più. La Cop29 avrà, come principale obiettivo di finanza per il clima, quello di negoziare un nuovo obiettivo collettivo qualificato dopo il 2025 e rafforzare l'ambizione ad attuare le linee di Cop29, facendo in modo che tutte le parti si impegnino a fare dei piani nazionali ambiziosi e in trasparenza.
Il quadro presente non è incoraggiante. Oggi, per esempio, si deciderà la nuova Presidenza degli Stati Uniti d'America e non possiamo non vedere con preoccupazione l'eventualità di una nuova Presidenza Trump, che già in passato fu un grande oppositore della transizione ecologica, della strada verso le rinnovabili e un sostenitore accanito dello sfruttamento ancora delle energie fossili e dei modelli relativi di insediamento e di vita. Poi, abbiamo davanti ai nostri occhi le immagini della drammatica alluvione di Valencia che sta suscitando tanta rabbia - sottovalutata - e rivolta verso le autorità, anche e soprattutto per le sottovalutazioni incredibili di chi in quella regione di Valencia avrebbe dovuto tradurre i gridi di allarme in efficaci iniziative e tempestive azioni di prevenzione.
Tutte queste sono conferme della grande incoscienza e sottovalutazione che ancora larghi strati di classi dirigenti, ma anche di opinione pubblica, hanno rispetto all'allarme della situazione sui mutamenti climatici e sulle misure necessarie e straordinarie che occorrono per prevenire, mitigare, adattare la vita e i modi di produzioni, le fonti energetiche alle nuove condizioni. Il problema del dissesto e dell'emergenza idrogeologica nel nostro Paese, per esempio, è una nota dolente che non manca di riproporsi ogni volta che ci troviamo di fronte a nuovi eventi catastrofici, a nuovi drammi, con decine di morti, distruzioni di nuclei abitati, impianti produttivi, aree geografiche. Purtroppo non si riesce a comprendere che la macchina della prevenzione non ha solo bisogno di danaro - che in realtà non mancherebbe - ma di un modello organizzativo che responsabilizzi gli enti territoriali, che sono quelli più vicini ai territori e alle loro continue modificazioni dovute agli eventi, che dia loro mezzi tecnici, risorse umane molto specializzate, adeguare ad affrontare le nuove situazioni e la realizzazione di opere pubbliche speciali e accorciare la distanza tra la pianificazione - cui provvedono le autorità di distretto, le vecchie autorità di bacino, che si occupano della lettura dell'evoluzione dei bacini idrografici, dei territori, dei versanti franosi, delle coste, dell'erosione - e l'attuazione delle opere che deriva da questa pianificazione, cui dovrebbero provvedere le regioni e i Presidenti come commissari straordinari; a meno che, per ragioni pienamente politiche, costoro non vengano spogliati delle loro funzioni, come in Emilia-Romagna, con effetti, come si vede, negativi.
Perché la lotta al dissesto si fa solo responsabilizzando e attrezzando i territori e gli enti di prossimità, non doppiandoli, come è stato fatto nel caso dell'Emilia-Romagna. Ricordo peraltro che l'Italia non ha ancora un PNIEC, un Piano nazionale integrato dell'energia e del clima. questo strumento fondamentale è ancora nelle mani della Commissione europea, da luglio, perché pieno di errori, di refusi formali. Dico questo perché, come è noto, un ruolo importante sull'agenda climatica della Cop29, come sempre, lo avrà l'Unione europea, il cui approccio è caratterizzato da un impegno per un'ambiziosa azione per il clima, solidarietà finanziaria e solida cooperazione internazionale. Per tale motivo va sostenuto e rafforzato il Green Deal, che rappresenta una sfida dell'oggi che guarda al futuro, senza lasciare indietro nessuno.
In vista della preparazione della Cop29, il Consiglio dell'Unione europea ha adottato conclusioni che fungeranno da posizione negoziale generale della UE, in cui si evidenziano le opportunità che un'ambiziosa azione per il clima offre per il pianeta, l'economia globale e le persone e l'importanza di garantire una giusta transizione - che non lasci indietro nessuno - verso economie e società sostenibili, resilienti ai cambiamenti climatici e climaticamente neutre. In particolare, il Consiglio chiede di conseguire un risultato ambizioso ed equilibrato alla Cop29 in modo - come ho già detto - di mantenere raggiungibile l'obiettivo relativo alla temperatura di un grado e mezzo.
In Europa, peraltro, è in atto un violento scontro sul Green New Deal. La destra vorrebbe azzerarlo anziché rafforzarne la portata trovando quegli strumenti per accompagnare una giusta flessibilità ed evitare che fallisca. Manca il coraggio e la determinazione giusta, si dice sempre che ci sono le buone idee, ma mancano i soldi. Sulle buone idee c'è tanto da discutere, visto che si impegnano decine di miliardi di euro per fare un'opera inutile e vecchia, come il ponte sullo Stretto, poi in Sicilia e in Calabria non si mette mano alla viabilità ferroviaria, stradale, che rappresentano due vere urgenze. Sui soldi, invece, si dicono grossolane bugie. A livello globale, i Governi spendono, ogni anno, almeno 2,6 miliardi di dollari in sussidi, che alimentano il riscaldamento globale e distruggono la natura. In Italia quei sussidi ambientalmente dannosi ammontano a circa 20 miliardi, dieci volte di più, ai quali si sommano decine e decine di miliardi spesi in attività, opere e progetti connessi direttamente o indirettamente alle fonti fossili, come indotto su politiche climalteranti.
Basterebbe togliersi la maschera di queste falsità e dell'ipocrisia e cominciare a operare nell'interesse più generale delle nostre comunità. Lo scorso 21 ottobre la Commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare del Parlamento europeo ha approvato una risoluzione con gli impegni richiesti in vista della Cop29.
In questo quadro, per esempio, sul quadro internazionale, la Cina è di gran lunga il principale produttore al mondo di terre rare - tocco questo tema che è decisivo - cioè quelle sostanze che sono necessarie per produrre tecnologicamente strumenti finalizzati alla realizzazione delle energie rinnovabili. Con il 60 per cento del totale, la Cina è poi seguita dagli Stati Uniti, che hanno circa il 12 per cento, ma ciò di cui bisogna tener conto quando si parla di geografia delle materie prime critiche non è soltanto la localizzazione dei giacimenti e delle miniere, ma anche la proprietà di queste miniere o, comunque, i diritti di sfruttamento, nonché ovviamente il luogo in cui questo materiale viene poi trasformato per essere utilizzato dall'industria. Conosciamo, infatti, lo stile coloniale con cui la Cina e gli Stati Uniti utilizzano, in altri territori e in altre nazioni, lo sfruttamento di queste materie prime critiche.
Occorrerebbe che le relazioni tra i Paesi produttori e Paesi di estrazione di questi minerali rientrassero in un modello di cooperazione equa, attenta al rispetto delle norme ambientali e del diritto del lavoro. Qui si cela una delle chiavi della pace. L'Italia e l'Europa dovrebbero farsi promotrici di una politica di investimenti esteri in estrazione e raffinazione, poiché l'Europa importa al 100 per cento quelle materie, capace di distaccarsi dai modelli predatori che hanno tradizionalmente caratterizzato le relazioni tra Nord e Sud globali nella storia dell'Occidente.
Ecco perché, con questa nostra mozione, noi chiediamo una serie di impegni al Governo italiano, che nella sostanza possiamo riassumere in alcuni capitoli.
Primo: maggiori impegni finanziari pubblici per le rinnovabili e per tutti quei processi industriali finalizzati a ridurre le emissioni nell'arco dei prossimi anni (edilizia, consumo di suolo, infrastrutture e trasporti, ferroviari e stradali).
Secondo: legare la transizione ecologica alla giustizia sociale, nella consapevolezza che, in questa prima fase della transizione, i costi rischiano di gravare sulle fasce sociali più deboli, che non hanno le risorse necessarie autonomamente per potersi incamminare su questa strada e per poter mettere in gioco i propri poveri patrimoni (casa, trasporti, produzione agricola). Si pone qui l'esigenza di una nuova fase, quindi, del Green Deal europeo, che comporta l'impegno di nuove enormi risorse pubbliche, per portare a tutti il sostegno di nuovi stili di vita, di nuove abitudini, di nuovi habitat. Tali risorse non possono non derivare da eque politiche sociali, finanziarie e fiscali; non possono non considerare e non affrontare il punto dell'accumulo di profitti, di rendite e patrimoni in poche mani, che sono un problema, un ostacolo che impedisce e ferma il riequilibrio sia sociale che ambientale, sia su scala nazionale che su scala europea.
Terzo: affermare progressivamente un modello multilaterale di governo dell'approvvigionamento delle materie prime critiche - come ho detto in apertura -, indispensabili per la crescita delle tecnologie e dei materiali necessari all'ampliamento delle rinnovabili. Materie prime oggi concentrate in poche mani e in specifici territori, sui quali si pone il tema di un equilibrio delle attività estrattive.
Quarto: per l'Italia aumentare le risorse per le politiche sul clima e adeguare un PNIEC già superato e che non rientra nei criteri e negli obiettivi del Global Stocktake.
Quinto: agire per la progressiva eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi, sapendo che è un processo progressivo e che, in agricoltura, questa scelta comporta un sostegno alle piccole e medie imprese italiane, che da sole non ce la possono fare, perché con l'estensione media dei fondi di 10 ettari non sono in grado, non hanno le spalle per sostenere da sole l'immenso sforzo che questo comporta. Vi è quindi bisogno di interventi normativi e di risorse per una nuova strategia di mutualismo cooperativo e consortile nel settore agricolo; infine, il coinvolgimento e la collaborazione con il settore privato nelle azioni finalizzate al raggiungimento dei goal, cioè degli obiettivi per la neutralità climatica.
Presidente, crediamo di poter dire che siamo ad un bivio: l'instabilità internazionale e il dramma della guerra non sono soltanto un fatto locale, e non solo non sono limitati a questi aspetti, ma spingono ad un consolidamento di modelli industriali ed energetici fossili e nucleari, di fissione, che dominano il settore militare. Più forte è la spesa militare, più diffuso è il rischio della pace, e più il rischio di una transizione ecologica che si ferma e che torna indietro è più alto, perché l'impegno di queste risorse in quel settore sottrae risorse, ingegneria, forze intellettuali e materiali all'innovazione civile e alla ricerca. Ecco perché diciamo che ambiente, pace e giustizia sociale - e ho concluso - sono tre facce della stessa medaglia; una medaglia unica, però, che non deve avere colore politico. Per questo, con questa nostra mozione noi vogliamo spingere il Governo italiano a vincere incertezze, pigrizie e resistenze, che avvertiamo e che vediamo, che sono palesi tra le destre e le forze sovraniste e che rischiano di compromettere per sempre il futuro delle giovani generazioni.