Data: 
Mercoledì, 4 Marzo, 2015
Nome: 
Emanuele Fiano

Presidente, per avere il diritto di commemorare un uomo bisogna, secondo me, condividerne i principi, i valori a cui si è ispirata la sua vita e la sua azione. Nicola Calipari era un servitore dello Stato, che fu assassinato, dieci anni fa, ad un posto di controllo dell'esercito americano in Iraq, sulla irish route, presso l'aeroporto di Baghdad, mentre col proprio corpo faceva scudo e difendeva e salvava la vita di Giuliana Sgrena, la giornalista italiana che era stata rapita in Iraq. Alla trattativa per la liberazione e fisicamente all'atto della liberazione era stato presente ed aveva diretto le operazioni Nicola Calipari per i nostri servizi di sicurezza. 
Nicola Calipari era già stato protagonista della liberazione di Simona Pari, di Simona Torretta, di Umberto Cupertino, di Maurizio Agliana, di Salvatore Stefio. Nicola Calipari era stato un poliziotto, un investigatore, un uomo che era stato sempre dalla parte della giustizia, di chi lavora per riconoscere prima il crimine, per capirlo, per analizzarlo, per colpirlo, per poi disarticolarlo e per portare a casa i colpevoli e rendere più sicuro questo Paese. 
Non è sempre facile definire un eroe, oggi, in questo mondo così tumultuoso, nel quale il clamore è rappresentato da chi urla di più, da chi fa più polemica, fa più notizia o fa più titolo del messaggio che dovrebbe invece emanare da chi fa meglio. E troppo spesso ci dimentichiamo di chi non fa notizia, di chi non si vede, di chi serve questo Stato senza clamore, senza la soddisfazione della ribalta, ma di chi, invece, come Nicola Calipari, studiava e studia il crimine, lo analizza e lo combatte ogni giorno. Suo un preziosissimo studio sui codici di affiliazione della ’ndrangheta in Australia. 
E ci ricordiamo poco che in questo Paese, se manteniamo viva la democrazia, se riusciamo a vincere così tante battaglie contro il crimine, se riusciamo a salvare così tante vite umane, lo dobbiamo agli uomini come Nicola Calipari. Oggi abbracciamo Rosa, la nostra amica e compagna, e Silvia e Filippo, i suoi figli, che non sono qui perché partecipano ad un un'altra commemorazione. Resta il dolore dell'ingiustizia per il fatto che il processo non ci ha consegnato una verità e un colpevole. Per questo, per tutto questo, noi oggi non vogliamo accendere un'ennesima occasione retorica, ma vogliamo approfondire e fare nostra la lezione civile di un servitore dello Stato, vissuto senza clamore e morto nel compimento del suo dovere per la libertà di tutti noi.