Data: 
Giovedì, 19 Luglio, 2018
Nome: 
Carmelo Miceli

Grazie, signor Presidente. Io non nascondo un'enorme emozione da siciliano, da palermitano, da giovane che nel 1992 aveva soltanto 14 anni, da giovane che ha vissuto, insieme ai suoi conterranei, quei cinquantasette lunghissimi giorni di ordinaria follia, giorni nei quali era scritto ciò che stava accadendo. Veniva detto, veniva anticipato, ciò che sarebbe successo, e veniva anticipato dallo stesso Paolo Borsellino.

Da siciliano ho quel ricordo forte nel cuore, da siciliano ho condizionato, come tanti, le mie scelte. Ho scelto di fare giurisprudenza per questi eventi. Ho scelto di fare l'avvocato per questi eventi. Ho scelto di fare l'avvocato che presta assistenza alle vittime di mafia per questi eventi. Ho scelto, come tanti, di spendermi per la passione politica e per il dovere civile. E l'ho fatto perché credo che da quegli eventi ho tratto un insegnamento forte, un insegnamento che credo di dovere riportare in quest'Aula, per provare a ricordare bene Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, e Claudio Traina. Queste persone non erano dei supereroi. Erano delle persone comunissime e normalissime. Erano delle persone che avevano un altissimo senso del dovere.

Erano delle persone che, in quei 57 lunghissimi giorni, decisero di andare incontro alla morte, non per fare i supereroi, ma solo ed esclusivamente perché quello era il loro dovere: quello erano chiamati a fare per le mansioni, che gli erano assegnate da un contratto di lavoro. Questo era.

Ricordare questi uomini, semplicemente per l'impegno quotidiano, è credo la cosa migliore e ci obbliga a pensare che anche noi in questa sede, noi che siamo chiamati poi a ricoprire eventualmente le istituzioni, abbiamo l'obbligo di combattere Cosa Nostra, senza essere supereroi, provando a non fare i supereroi. Cosa Nostra la si combatte, non lanciando la sfida. Le assicuro, Presidente, che più volte abbiamo sentito dire a uomini, poi condannati per mafia in Sicilia, che la mafia faceva schifo. Tante volte lo abbiamo sentito dire. Invece, non l'abbiamo sentito dire quasi mai, forse mai, a uomini che Cosa Nostra la combattevano davvero. Ecco, credo che abbiamo il dovere di impegnarci quotidianamente e di farlo intanto per la ricerca di quella verità, unendoci alle parole del Presidente della Repubblica, pronunciate questa mattina, quelle parole che ci debbono fare riflettere, se è vero come è vero, che dopo ventisei anni, ventisei lunghissimi anni, ancora tanto c'è da sapere di quelle stragi.

E facciamolo anche ricordando, non solo le parole delle istituzioni, ma mi permetto di riportare in questa sede le parole di una bambina, di Fiammetta, la nipote di Paolo Borsellino: Caro nonno, mi dispiace per il 19 luglio 1992. Certo, se tu fossi vivo, avresti capito quanto di coccolerei. Ti voglio bene. La tua nipotina Fiammetta.

Ecco, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, cominciamo o quantomeno continuiamo ad impegnarci per fare la lotta, per dare la lotta a Cosa Nostra, senza fare i fenomeni e senza fare i supereroi. Lo dobbiamo alla piccola Fiammetta, lo dobbiamo al cuore grande di Fiammetta, lo dobbiamo nel rispetto di quella letterina, lo dobbiamo alle famiglie di Paolo, alle famiglie di Agostino, di Walter, alle famiglie di Vincenzo, di Emanuela e Claudio. Lo dobbiamo ai familiari di tutte le vittime della mafia