Data: 
Mercoledì, 19 Luglio, 2023
Nome: 
Valentina Ghio

Grazie, Presidente. Nel trentunesimo anniversario della strage di via D'Amelio è vivo il ricordo di quegli uomini e di quelle donne uccisi dalla mafia. Il 19 luglio del 1992, in via D'Amelio, hanno perso la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, prima donna a far parte di una scorta, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Questi nomi devono rimanere ben saldi e presenti nella nostra azione quotidiana e in quella di quest'Aula, perché il faro della lotta alle mafie ci guidi in ogni momento del nostro agire, così come la costante e determinata aspirazione alla piena verità su quella strage e su tutte le altre a cui abbiamo assistito in questi anni. Solo 57 giorni prima di quella data, altri servitori dello Stato, come il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro furono fatti saltare in aria sulla strada di Capaci. Il 1992 fu l'anno in cui la mafia volle dimostrare con le bombe la sua sfida allo Stato, ma fu anche l'anno in cui si consolidò nelle coscienze di molti, giovani, ragazzi e ragazze, colpiti profondamente da questi fatti, la volontà di reagire e di praticare la lotta quotidiana alla mafia, in Sicilia, in primo luogo, e nel resto del Paese. Oggi ricordare Paolo Borsellino, il suo grande esempio di fermezza e rigore, di capacità e determinazione nel contrasto dell'illegalità, ricordare tutti gli uomini e le donne uccisi dalla mafia è, in primo luogo, un dovere di memoria e, poi, un impulso all'azione a continuare la lotta alle mafie nelle istituzioni e nella società, ma è anche un diritto a perseguire la richiesta della verità, poiché dopo 31 anni c'è ancora molto da sapere su quelle stragi, lati oscuri ancora da chiarire. Grazie all'esempio di Paolo Borsellino e di tutte le vittime, che oggi non solo ci chiedono di non essere dimenticate, ma che ci chiamano al dovere morale dell'impegno, è scaturita una reazione civile di tante e di tanti, che si sono ribellati di fronte a quelle stragi e hanno sostenuto e difeso i principi di legalità, che le mafie in diverse forme, tutt'oggi, in forme non sempre riconoscibili, mettono in discussione giornalmente. Proprio in questi giorni, in cui la determinazione della lotta alla mafia dovrebbe essere altissima, in cui la coerenza tra le parole di commemorazione e l'azione di contrasto all'illegalità dovrebbe essere conseguente, c'è chi mette in discussione strumenti di lotta alle mafie che hanno dimostrato la loro efficacia, come ad esempio il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Noi pensiamo che questa sia una condotta pericolosa. Le commemorazioni hanno senso compiuto e di verità solo se sono sempre accompagnate da fatti inequivocabili. Se con i fatti si va in un'altra direzione - e ne sono state date diverse prove in questi mesi, basti pensare alla volontà di alzare il tetto del contante, di indebolire il codice degli appalti, di inserire il subappalto a cascata, solo per fare qualche esempio - si indeboliscono tutte le battaglie per la legalità, per la giustizia, per la lotta alla mafia. Il doveroso tributo alla memoria significa anche non abbassare mai la guardia sugli strumenti di legalità, significa portare avanti con determinazione l'eredità morale dei protagonisti di quella stagione, eredità morale che deve diventare sempre più identità condivisa del nostro Paese, identità collettiva, fondata con chiarezza sulla legalità e sulla cultura dell'antimafia. Non indeboliamo, quindi, gli strumenti di lotta alla mafia. Portiamo avanti insieme una battaglia che deve essere non solo giudiziaria, ma anche culturale. Lavoriamo insieme per rafforzare i presidi di legalità e di coesione sociale, di contrasto alle infiltrazioni in ogni settore della società, di promozione dell'educazione alla legalità nelle scuole.

Lo dobbiamo alla memoria di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta, lo dobbiamo al rispetto del dolore delle loro famiglie, lo dobbiamo fare per continuare la loro opera di contrasto alla cultura dell'illegalità, per reagire all'indifferenza e per l'aspirazione ad un futuro del nostro Paese libero dalle mafie. Questo - e non altro - è ciò che dobbiamo fare per rispettare Paolo Borsellino, i morti di via D'Amelio e il loro sacrificio.