Data: 
Giovedì, 24 Aprile, 2025
Nome: 
Chiara Braga

Grazie, signor Presidente. Prendo la parola oggi per ricordare in quest'Aula che domani, 25 aprile, l'Italia celebra la Festa della liberazione dal nazifascismo e credo che ce ne sia un grande bisogno di ricordarlo anche in quest'Aula. Una festa di liberazione delle nostre terre, delle nostre case e delle nostre officine dall'occupazione tedesca e dalla guerra fascista, come annunciò Sandro Pertini, il Presidente partigiano. Quindi, una festa di pace perché proprio il 25 aprile del 1945, con l'insurrezione generale, si concludeva la sciagurata avventura italiana della guerra voluta dal regime fascista.

Proprio per questo è inaccettabile che 80 anni dopo il Governo italiano abbia scelto fin dal principio un profilo così basso e un tono tanto sommesso per celebrare una data simbolo di pace e unità del Paese. Dieci anni fa in quest'Aula celebravano i 70 anni dalla Liberazione in una cerimonia di tutt'altro spessore, alla presenza di partigiane e partigiani e del Presidente della Repubblica. Oggi, con ogni evidenza, non è così. Tuttavia, noi sentiamo ancora più forte il dovere di rendere omaggio alla memoria di quanti, avendo partecipato alla lotta di liberazione, restituivano dignità a una Nazione e gettavano le basi per costruire una nuova democrazia. A loro dobbiamo quello che siamo oggi: ai partigiani e alle partigiane che hanno combattuto dall'8 settembre del 1943 al 25 aprile del 1945; agli oppositori del regime finiti al confino; agli incarcerati e perseguitati non solo comunisti, liberali, cattolici, socialisti, monarchici ma anche uomini e donne di tutti gli orientamenti politici; a quelli che ebbero il coraggio di dire “preferirei di no”. A loro oggi, domani e per sempre va il dovere della memoria e la nostra riconoscenza. Ma soprattutto lasciatemi dire grazie alle donne della Resistenza: Irma Bandiera, Gina Borellini, Carla Capponi, Antonietta Cinotti, Paola Del Din, Ursula Hirschmann, Tina Anselmi, Nilde Iotti, Marisa Rodano, Teresa Noce, Angelina Merlin, Joyce Lussu. Ma anche a donne come Wilma Conti, giovanissima staffetta, partigiana della mia terra, testimone infaticabile dei fatti storici avvenuti a Dongo nei giorni della Liberazione come il tentativo vigliacco di fuga e la cattura di Mussolini e dei gerarchi fascisti ad opera dei partigiani, la loro fucilazione. Fatti che nessuna patetica celebrazione di nostalgici riuscirà mai ad oscurare.

Ad appena 15 anni Wilma saliva sui monti dell'Alto Lago per consegnare lettere e messaggi ai partigiani. La sua forza era quella di vincere la paura e quella forza la conservò anche dopo, nella sua vita, a guerra finita. Quante donne ha aiutato a partorire la levatrice Wilma, raggiungendo in piena notte in bicicletta i paesi della valle, e a quanti giovani nelle scuole ha consegnato la memoria e il senso di un impegno per la democrazia e la libertà.

Come lei 100.000 donne, forse di più. Donne semplici, eppure eroiche. Facevano turni di guardia, attaccavano con le armi i nazifascisti, salvavano ebrei, facevano fuggire gli uomini durante i rastrellamenti. Donne impegnate in quegli anni su due fronti: combattere un nemico che aveva tolto la libertà a tutti e combattere un sistema che le aveva condannate ad essere soltanto spose e madri.

La resistenza per le donne non fu solo lotta contro il regime e gli invasori, ma conflitto per riconquistare la propria libertà. Le loro storie uniche e irripetibili di questo meraviglioso esercito femminile troppo presto e per troppo tempo finite nel dimenticatoio della storia, come erano finite in fondo nelle sfilate delle città liberate. Eppure, furono quelle stesse donne che consegnarono un anno dopo la vittoria della Repubblica, con la loro voce e il loro volto. A loro l'omaggio di tutti noi e l'omaggio delle donne di oggi per quello che ci hanno insegnato e per quello che siamo.

Il 25 aprile è un'eredità alla quale qualcuno, anche in quest'Aula, come chiaro, preferirebbe rinunciare. Noi non lo consentiremo perché non lo consente la storia. Alla lotta di liberazione dobbiamo la nostra Costituzione repubblicana e antifascista. Grazie alla Resistenza l'Italia ottenne dagli alleati di potere scegliere liberamente la forma di Stato e poter scrivere la propria Carta fondamentale. Ricordiamo che lo stesso non successe in Germania o in Giappone. È per questo che il 25 aprile deve fare parte della memoria collettiva di questo Paese, quella di chi scelse allora di schierarsi dalla parte giusta della storia, perché la storia non è mutevole.

C'è una parte giusta e c'è una parte sbagliata che riconosce come sono andati i fatti, ovvero che c'è stata una lotta antifascista che è fondativa della nostra Repubblica.

La memoria non è un museo di vecchi ricordi, è un luogo di elaborazione del passato. In quel passato si misurò la forza di un popolo, dove il coraggio diventò “una disperata necessità”, come disse Vittorio Foa, un grande partigiano che il fascismo aveva costretto a passare la sua giovinezza in carcere. Nessuno scelse di essere lì, a tutti la disperazione impose dei doveri.

Il 25 aprile non è un monumento retorico è quello che siamo stati, è quello che vogliamo essere di fronte alle generazioni future ed è quello che noi vogliamo celebrare oggi in quest'Aula, domani nelle piazze con la fierezza e l'orgoglio che nessuna sobrietà potrà mai sopire.