Data: 
Lunedì, 16 Ottobre, 2017
Nome: 
Giuseppe Romanini

A.C. 4522

Discussione generale

Relatore

Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, l'Assemblea della Camera inizia oggi l'esame di un provvedimento che fornisce una sistemazione giuridica a quelle diverse, eterogenee situazioni giuridiche legate al godimento da parte di una determinata collettività di specifiche estensioni di terreno, di proprietà sia pubblica che privata, abitualmente riservate ad un uso agro-silvo-pastorale. Il provvedimento istituisce la figura giuridica dei domini collettivi, termine con il quale ci si riferisce ad una situazione giuridica in cui una data estensione di terreno è di proprietà di una collettività determinata, per modo che solo chi fa parte di quella collettività può trarre utilità da quel bene indipendentemente dal fatto che lo stesso possa essere sfruttato individualmente o congiuntamente tra tutti gli aventi diritto. Trae le proprie origini da una storia millenaria di consuetudini: già nella “tavola di Polcevera” del 117 avanti Cristo, il Senato di Roma tratta di una controversia su questi beni di una comunità ligure. Consuetudini poi cristallizzate in laudi, statuti, per lo più nel corso del Medioevo, e giunti così pressoché integri fino ai giorni nostri.

Il dominio collettivo è una situazione giuridica antitetica rispetto a quella della proprietà privata individuale, e non è riconducibile allo schema della comproprietà: un diverso modo di possedere, come teorizzò il professor Paolo Grossi nel suo omonimo saggio di qualche anno fa. La proprietà privata individuale implica nel titolare il diritto di godere e disporre del bene in modo pieno e assoluto; quando invece uno stesso bene si trova nella comproprietà di più soggetti, si produce per il nostro ordinamento una situazione fragile, poiché ciascun comproprietario ha il diritto unilaterale e potestativo di chiederne lo scioglimento, ottenendo di essere proprietario esclusivo di una frazione del bene o del suo equivalente. Il dominio collettivo implica al contrario per ogni singolo partecipante solo il diritto a usare della cosa, secondo i termini consuetudinari che caratterizzano quella singola situazione; al contrario della comproprietà, è una situazione permanente e duratura: i partecipanti non possono, neanche con accordo unanime, vendere a terzi i beni che costituiscono l'oggetto del loro diritto, né dividerli tra loro.

La proprietà collettiva presenta così caratteri di affinità tanto con la proprietà privata quanto con la proprietà pubblica, oltre ad una caratteristica che la rende diversa da entrambe. Il dominio collettivo è affine alla proprietà privata nell'intensità dei poteri proprietari: il soggetto proprietario gode del bene in esclusività. Risulta poi affine alla proprietà pubblica per il vincolo teleologico che la distingue: i beni non possono essere utilizzati in modo tale da sottrarre il godimento ai singoli membri della comunità. È diverso da entrambe queste situazioni proprietarie per la sua assoluta indisponibilità: la proprietà collettiva non può essere alienata, non può essere espropriata, non può essere usucapita e non può essere neanche data in garanzia. Da qui una serie di problemi nella gestione della proprietà collettiva, cui il progetto di legge intende porre rimedio attraverso l'adozione di un regime uniforme per il riconoscimento di personalità giuridica alla proprietà collettiva. Non esiste, infatti, allo stato attuale una definizione normativa dei domini collettivi: fino ad oggi essi sono stati considerati come patrimonio dei beni oggetto del diritto d'uso civico.

Storicamente, come ricorda la Cassazione nella sentenza 19792 del 28 settembre 2011, la funzione dei diritti ad uso civico era quella di fornire un sostentamento vitale alle popolazioni in un momento storico nel quale la terra rappresentava l'unico elemento dal quale quelle potevano ricavare i prodotti necessari per la sopravvivenza. I beni gravati da uso civico sono stati sovente ricostruiti come terre di dominio collettivo, la cui negoziazione e circolazione presupponeva l'assenso di tutti i cives, talvolta perfino fondata sul malagevole criterio dell'unanimità.

Allo stato attuale, i domini collettivi appartengono a una di queste due situazioni: proprietà già dotate di una personalità giuridica derivante da antiche consuetudini, riconosciuta da precedenti leggi dello Stato; proprietà non dotate di una personalità giuridica, perché frutto della concentrazione di diritti collettivi effettuata all'esito della legge 1766 del 1927, che oggi appartengono formalmente al patrimonio indisponibile dei comuni. Il disegno di legge intende allora uniformare il regime giuridico delle proprietà collettive appartenenti al primo tipo ed estenderlo a quelle del secondo tipo, onde consentire a queste proprietà di essere convenientemente gestite ed avere certezza nei rapporti giuridici con i terzi, privati come pubblici.

Gli enti gestori dei domini collettivi, pur nella molteplicità dei nomi attraverso cui si contraddistinguono: comunioni familiari montane, comunalie, consorzi di utenti, università agrarie, beni sociali, vicinie, regole, comunelle, partecipanze agrarie, società di antichi originari, ius, consorterie, ademprivi, ASUC, ASBUC, frazioni eccetera, sono riassumibili a tre elementi necessari: la comunità, cioè una pluralità di persone fisiche legate fra loro da un vincolo agnatizio, oppure individuata sulla base dell'incolato come pluralità di soggetti titolati e chiamati a gestire collettivamente il patrimonio civico secondo regole consuetudinarie per preservarne il godimento alle future generazioni di utenti; la terra di collettivo godimento, che va riguardata come un ecosistema completo, con una propria individualità, un patrimonio non solo economico ma naturale e culturale; e poi l'elemento teleologico, ossia lo scopo istituzionale, diverso e trascendente rispetto agli interessi individuali delle singole persone fisiche che compongono la comunità.

Solo in taluni casi il patrimonio collettivo viene gestito da un ente dotato di personalità giuridica; in assenza di tale ente dotato di personalità giuridica privata, il bene è amministrato dall'amministrazione comunale ed è questa la situazione più diffusa in Italia, specie nel sud e nelle isole. In base all'ultimo censimento dell'agricoltura si ricava che dei quasi 17 milioni di ettari di superficie agricola totali in Italia, ben 1,66 milioni di ettari, cioè il 9,77 per cento, risulta appartenere a comunanze, università agrarie, regole o comuni che gestiscono la proprietà collettiva. Questo è l'inquadramento.

Quanto al contenuto del provvedimento, l'articolo 1, comma 1, riconosce i domini collettivi come ordinamento giuridico primario delle comunità originarie e questa è un'affermazione importante. Le caratteristiche connotative sono esplicitate nelle lettere seguenti: i domini collettivi sono soggetti alla Costituzione, lettera a); sono dotati di capacità di produrre norme vincolanti valevoli sia per l'amministrazione soggettiva che oggettiva, lettera b); hanno la gestione del patrimonio naturale, economico e culturale che coincide con la base territoriale della proprietà collettiva, lettera c); si caratterizzano per l'esistenza di una collettività che è proprietaria collettivamente dei beni, che esercita, individualmente o congiuntamente, i diritti di godimento sui terreni sui quali insistono tali diritti; il comune svolge di norma funzione di amministrazione di tali terreni, salvo che la comunità non abbia la proprietà pubblica o collettiva degli stessi, lettera d). Si prevede poi che gli enti esponenziali delle collettività titolari del diritto d'uso civico e della proprietà collettiva abbiano personalità giuridica di diritto privato e autonomia statutaria.

L'articolo 2 riconosce come compito della Repubblica (e discende un po' da quello che abbiamo visto all'articolo 1) quello di valorizzare i beni collettivi di godimento, in quanto fondamentali per lo sviluppo delle collettività locali e strumentali per la tutela del patrimonio ambientale nazionale. La Repubblica riconosce e tutela i diritti di uso e di gestione collettivi preesistenti alla costituzione dello Stato italiano; sono altresì riconosciute le comunioni familiari esistenti nei territori montani, nelle quali mantengono il diritto a godere e a gestire i beni in esame, conformemente a quanto previsto negli statuti e nelle consuetudini loro riguardanti.

Un diritto sulle terre di collettivo godimento sussiste quando ha ad oggetto lo sfruttamento del fondo dal quale ricavare una qualche utilità, riservato ai componenti della collettività, salvo diversa decisione dell'ente collettivo.

L'articolo 3, l'ultimo, definisce i beni collettivi che costituiscono il patrimonio civico, prevedendo che essi siano inalienabili, indivisibili, inusucapibili e a perpetua destinazione agro-silvo-pastorale; su tali beni è inoltre imposto il vincolo paesaggistico.

In particolare, il comma 1 qualifica i seguenti beni come beni collettivi: essi sono le terre di originaria proprietà collettiva; le terre con le costruzioni di pertinenza assegnate in proprietà collettiva agli abitanti di un comune o di una frazione a seguito della liquidazione dei diritti di uso civico e di qualsiasi altro diritto di promiscuo godimento esercitato sulle terre di soggetti pubblici e privati; le terre derivanti da scioglimento delle promiscuità ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 1766 del 1927 sul riordino degli usi civici; le terre derivanti da conciliazioni nelle materie regolate dalla predetta legge, che ha previsto la possibilità, in ogni fase del procedimento di liquidazione degli usi civici, di promuovere un esperimento di conciliazione. Poi: le terre derivanti dallo scioglimento di associazioni agrarie, ovvero le associazioni di cui alla legge n. 397 del 1894; le terre derivanti dall'acquisto, ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 1766 del 1927 e dell'articolo 9 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102; le terre derivanti da operazioni e provvedimenti di liquidazione o estinzione di usi civici; le terre derivanti da permuta o donazione; le terre di proprietà di soggetti pubblici o privati su cui i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati.

Tutti questi beni, con la sola eccezione delle terre di proprietà pubblica o privata sulle quali gli usi civici non siano ancora stati liquidati, costituiscono il patrimonio antico dell'ente collettivo, detto anche patrimonio civico o demanio civico; l'utilizzazione di tale patrimonio dovrà essere effettuata in conformità alla destinazione dei beni e secondo le regole d'uso stabilite dal dominio collettivo.

Poi i commi 3 e 6 definiscono il regime giuridico dei beni collettivi, prevedendo l'inalienabilità, l'indivisibilità, l'inusucapibilità, la perpetua destinazione agro-silvo-pastorale e la loro sottoposizione a vincolo paesaggistico.

Il comma 7 prevede che, entro un anno dall'entrata in vigore della legge, nell'ambito del riordino della disciplina delle comunità montane, di cui al comma 4, le regioni debbano, nel rispetto degli statuti di tali organizzazioni, esercitare le competenze loro attribuite dalla legge n. 97 del 1994, la legge sulla montagna, cioè disciplinare con legge i profili relativi ai seguenti punti: le condizioni per poter autorizzare una destinazione, caso per caso, di beni comuni ad attività diverse da quelle agro-silvo-pastorali; le garanzie di partecipazione alla gestione comune dei rappresentanti liberamente scelti dalle famiglie originarie; forme specifiche di pubblicità dei patrimoni collettivi vincolati; le modalità e i limiti del coordinamento tra organizzazioni comuni e comunità montane, garantendo appropriate forme sostitutive di gestione, preferibilmente consortile, dei beni in proprietà della collettività in caso di inerzia o impossibilità di funzionamento delle organizzazioni stesse.

Decorso il termine di un anno, a questi provvedimenti provvedono, con atti amministrativi, resi esecutivi con deliberazione della giunta regionale, gli enti esponenziali delle collettività titolari sul territorio dei beni collettivi.

Il comma 8, infine, stabilisce che, nell'assegnazione di terre o beni collettivi, ai sensi della legge in esame, gli enti esponenziali delle collettività debbano dare priorità ai giovani agricoltori, come definiti ai sensi della normativa UE.

Il provvedimento è stato esaminato dalla XIII Commissione agricoltura, dopo essere stato esaminato al Senato in prima lettura. Nel corso dell'esame in sede referente è stata svolta l'audizione di rappresentanti della Consulta nazionale della proprietà collettiva, della Comunanza agraria dell'Appennino gualdese e dell'Associazione per la tutela delle proprietà collettive e dei diritti di uso civico (APRODUC) nonché del professor Pietro Nervi.

Nella seduta del 18 luglio 2017 sono state esaminate le proposte emendative presentate, nessuna modifica al testo è stata approvata.

Nella seduta del 12 ottobre 17 è stato votato il mandato al relatore a riferire favorevolmente in Aula.

La II Commissione (Giustizia), la VI Commissione (Finanze), l'VIII Commissione (Ambiente) e la XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) hanno espresso parere favorevole. Il Comitato pareri della I Commissione ha espresso parere favorevole, chiedendo alla Commissione di merito un'osservazione: valutare l'opportunità di quanto contenuto nell'articolo 3, comma 7, rispetto a quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione. La stessa osservazione è stata espressa dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Dalle premesse dei pareri si evince che il potere sostitutivo attribuito in capo agli enti esponenziali delle collettività, in caso di inerzia delle regioni, potrebbe confliggere con il profilo pubblicistico delle competenze in questione.

La XIII Commissione non ha ritenuto di dare seguito a tale osservazione, in quanto la modifica di tale parte del testo intanto avrebbe potuto rendere incerta l'approvazione definitiva del provvedimento, che si attende da anni, causa l'avvicinarsi della scadenza naturale della legislatura, ma è stato considerato inoltre che l'attribuzione di poteri e funzioni agli enti esponenziali delle collettività trova un preciso riferimento costituzionale nell'articolo 118, quarto comma, della Costituzione, che ha riconosciuto il principio di sussidiarietà orizzontale, laddove ha previsto che Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni, favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà.

La V Commissione (Bilancio) si è riservata di esprimere il prescritto parere nel corso dell'esame dell'Assemblea.

Io chiedo al Presidente, visto che la relazione era un po' più articolata, di essere autorizzato a presentare la stessa in forma scritta.