Discussione generale
Data: 
Lunedì, 9 Dicembre, 2024
Nome: 
Federico Gianassi

A.C. 1917

Grazie, Presidente. Le ragioni che muovono il Governo e la maggioranza ad approvare la proposta di riforma costituzionale di separazione delle carriere, che in realtà consiste nella separazione delle magistrature, sono tendenzialmente due: da un lato, l'intento punitivo del Governo nei confronti della magistratura e, dall'altro, un'ossessione ideologica stabilita e consolidata nel tempo da parte della destra italiana nei confronti dell'assetto complessivo del sistema della giustizia.

Sull'intento punitivo non c'è bisogno di investigare molto, basta leggere le parole del Vice Presidente del Consiglio, Matteo Salvini, nonché segretario della Lega, il quale ha dichiarato: «Una parte della magistratura fa pesantemente politica di sinistra. […] Se a loro non piacciono le leggi sull'immigrazione, si candidino con Rifondazione Comunista. Ci vuole, per questo, la separazione delle carriere». O ancora: «Se uno degli immigrati lasciati liberi dalle sentenze dei giudici compie un reato, chi ne deve rispondere? I cittadini, o chi lo ha lasciato libero? È arrivato il momento di approvare la separazione delle carriere». Ecco, in queste frasi si coglie facilmente l'intendimento punitivo del Governo: si procede alla separazione delle carriere perché si vuole colpire la magistratura che, per Costituzione, è autonoma e indipendente e non è responsabile dell'attuazione politica del programma della maggioranza di turno.

Ma, oltre all'intento punitivo c'è, senza dubbio, un'ossessione ideologica. È da decenni che la destra italiana propone la separazione delle carriere. Eppure, nel frattempo, molto è cambiato, tutto è cambiato: il mondo, l'Europa, il Paese. Basta vedere gli sconvolgimenti globali degli ultimi anni, degli ultimi mesi, delle ultime settimane e degli ultimi giorni. Ma no, per la destra italiana niente è cambiato, ciò che si diceva 40 anni fa o 30 anni fa deve essere attuale ancora oggi, anche se sono cambiati i divieti e i limiti sul passaggio di funzione da pubblico ministero a giudice, che 30 anni fa non esistevano mentre oggi sono molto rigorosi. È cambiata, forse, anche la cultura di interpretazione del modello accusatorio, contrapposto al modello inquisitorio, non prevedendo necessariamente la trasformazione del pubblico ministero da organo di giustizia ad accusatore seriale.

Sono cambiate anche le norme nel nostro Paese: quelle costituzionali, con l'introduzione del giusto processo, e quelle costituzionalmente orientate. Così come è cambiata e si è arricchita la riflessione in Europa, anche in quei Paesi nei quali vige la separazione delle carriere, alcuni dei quali hanno introdotto iniziative legislative guardando con interesse anche al modello italiano. Ma niente di tutto questo è stato tenuto in considerazione. Si opera in modo radicale sull'ordinamento giudiziario così come è stato scritto sapientemente dai Costituenti e, contestualmente, viene effettuata un'operazione di rimozione di tutto ciò che è successo politicamente e legislativamente in Italia e in Europa negli ultimi 30 anni, e tutto questo in presenza di una manovra di bilancio che, sulla giustizia, dal 2025 al 2027 taglierà 500 milioni di euro in un Paese nel quale le prime udienze del giudice di pace vengono fissate al 2030, in un Paese nel quale il processo telematico è in tilt. Ci sono enormi questioni sul tema della giustizia che meriterebbero di essere affrontate con grande serietà, con grande determinazione. Ma no, il Governo preferisce la bandiera ideologica, la battaglia ideologica, lo scalpo ideologico della separazione delle carriere.

Il disegno di legge governativo è costituito, per quanto riguardi un'operazione costituzionale di radicale trasformazione, da una relazione di accompagnamento che è di una mezza paginetta, una mezza paginetta per giustificare un'operazione costituzionale che cambia radicalmente il quadro costruito dai Costituenti e, peraltro, una mezza paginetta improntata all'autodifesa. Più volte, in queste poche righe, il Governo dice di non voler attentare all'autonomia e all'indipendenza della magistratura. Verrebbe da dire, come dicevano i latini: excusatio non petita, accusatio manifesta. Oltre a quello, qualche richiamo al principio contenuto nell'articolo 111 della Costituzione, del giusto processo, e al modello accusatorio, quasi che queste due questioni imponessero necessariamente la separazione delle carriere nel nostro Paese. Non è così, e lo diremo tra poco.

Cosa è previsto lo hanno detto i relatori: la separazione delle carriere requirenti e giudicanti, ossia, di fatto, la separazione delle magistrature; lo sdoppiamento dei Consigli superiori della magistratura; il sorteggio per la nomina dei membri togati dei CSM, con un colpo oggettivo, evidentissimo, all'autorevolezza della rappresentanza, con un'eccezione alla regola generale per cui le rappresentanze, nel nostro Paese, che è un Paese democratico, si scelgono mediante elezione. Peraltro, sul CSM, laddove, alcuni decenni fa, la Corte costituzionale ebbe a dire che era incostituzionale persino il sorteggio per i membri che si occupavano della sezione disciplinare, che componevano il Consiglio superiore della magistratura; erano eletti, e per quella sezione sorteggiati, ma persino quel sorteggio, limitato a quella condizione, fu dichiarato incostituzionale. Poi è prevista l'Alta corte, che sarà competente per i procedimenti disciplinari, che vengono sottratti al Consiglio superiore della magistratura.

In questi mesi, oltre agli attacchi politici del Governo in un contesto del tutto evidente di ostilità verso la magistratura - gli attacchi della Lega per il processo per sequestro di persona che riguarda il segretario della Lega Salvini, gli attacchi contro i magistrati che, sul caso Albania, non hanno fatto altro che applicare un principio consolidato da decenni nel nostro ordinamento, cioè la disapplicazione, da parte del giudice, della norma nazionale incompatibile e contraria al diritto dell'Unione europea - vi è la norma, di cui si discute in questi giorni alla Camera, già approvato al Senato, che taglia come una mannaia le intercettazioni dopo 45 giorni anche per reati gravissimi, come il sequestro di persona o l'omicidio. Insomma, un contesto generale nel quale non manca, non è mancata la posizione del Governo di forte ostilità verso la magistratura.

In questo contesto, si inserisce questo provvedimento, rispetto al quale la maggioranza ha utilizzato anche altre argomentazioni. Dicevamo prima che, secondo alcuni esponenti della destra, la separazione delle carriere sarebbe imposta dall'articolo 111, dal principio del giusto processo. Tuttavia, l'articolo 111 è una norma sulla giurisdizione, sul processo per l'appunto, non sull'ordinamento giudiziario. Insieme all'articolo 24 della Costituzione, è norma sul diritto inviolabile di difesa, è norma fondamentale del processo, ma non dell'assetto dell'ordine giudiziario. A presidio dell'imparzialità del giudice, ci sono gli istituti della incompatibilità, dell'astensione, della ricusazione, della rimessione del processo e, a presidio della terzietà, c'è il principio dispositivo, che affida l'iniziativa del processo e la formazione delle prove alle parti, al punto tale che nessuno ha mai messo in questi decenni in discussione la costituzionalità delle norme processuali che regolano l'attività del PM. Non vi è, dunque, incompatibilità tra l'unicità della giurisdizione e delle carriere e l'articolo 111 della Costituzione, l'articolo sul giusto processo.

Ancora, si è detto, lo dicevamo prima, che a imporre la separazione delle carriere sarebbe il modello del rito accusatorio, a cui ha fatto ricorso il nostro Paese con la riforma del processo penale del 1988. È quel modello per cui la verità si ottiene nel confronto dialettico, perché la prova si forma nel confronto tra le parti dinanzi al giudice e non più per iniziativa del giudice istruttore, come avviene nel rito inquisitorio. La verità è il prodotto del dibattito, non necessariamente lo specchio della realtà, della verità. Le parti si scontrano alla pari e la sentenza diviene il risultato dello scontro forense tra difesa e accusa.

Questo è il modello astratto accusatorio, ma accanto al modello astratto, poi, esistono gli ordinamenti concreti. Non esiste un modello unico per il rito accusatorio nei Paesi europei, anzi è estremamente diverso da Paese a Paese ed è difficile, dunque, negare che anche nel nostro Paese il rito accusatorio si è caratterizzato con elementi che, pur valorizzando la parità delle parti e la parità delle parti nella formazione della prova, sulla cui base poi decide il giudice, non ha rinunciato - e per fortuna - sino ad oggi a vedere nel pubblico ministero un organo di giustizia. Questo è il punto decisivo: il pubblico ministero è sì una parte formale, ma per questa riforma diviene parte sostanziale, destinata a perseguire sempre l'interesse ad accusare e a condannare, perdendo, dunque, la natura di organo di giustizia e divenendo parte paritaria dello scontro forense.

Oggi, invece, - e, ripeto, giustamente - il pubblico ministero deve, in base al nostro codice processuale, svolgere anche attività a favore della persona sottoposta alle indagini (articolo 358 del codice di procedura penale). Nella richiesta di misure cautelari deve presentare anche gli elementi a difesa, come deduzione e memorie già depositate (articolo 291 del codice di procedura penale). Insomma, l'esercizio dell'azione penale consegue ed è l'esito di un accertamento imparziale e neutrale rispetto all'ipotesi accusatoria. Questo deve essere e, laddove questo non avvenga, siamo dinnanzi alla patologia del sistema. Sarebbe assai sorprendente che chi denuncia la patologia del sistema voglia, di fatto, istituzionalizzarla in Costituzione.

Poi, si dice che, dentro l'unico ordine giudiziario, il pubblico ministero esercita un'influenza enorme sul giudice, che è debole e indulgente verso il pubblico ministero e che cede alle posizioni del Pubblico Ministero. Eppure, noi abbiamo visto, anche dall'esame che si è svolto in Commissione giustizia, seppur talvolta frettoloso per volontà della maggioranza, che nelle aule giudiziarie le assoluzioni superano le condanne, cioè i giudici si discostano dal posizionamento del pubblico ministero e assolvono più di quanto non condannino. Questo dovrebbe essere un elemento, nella pratica quotidiana, che ci induce ad avere maggiore cautela, che dovrebbe indurre a maggiore cautela il Governo e la maggioranza quando dicono che il giudice è supino nei confronti del pubblico ministero.

Poi, se per il solo fatto di appartenere al medesimo ordine giudiziario non vi è più imparzialità, dovremmo separare anche gli ordini dei giudici di primo grado dai giudici di secondo grado, laddove il giudice di secondo grado esamina esclusivamente la sentenza del collega di primo grado. Tuttavia, anche qui, assistiamo a molti casi di riforma delle sentenze di primo grado.

L'altro elemento, che non si è voluto considerare, è che di fatto oggi esiste già la separazione delle carriere. Con le riforme del della precedente legislatura, con l'intervento della all'ora Ministra Cartabia è possibile un solo passaggio in tutta la carriera, da effettuarsi nei primi 9 anni della carriera. Infatti, i numeri ci dimostrano che meno dell'1 per cento dei pubblici ministeri passano alla funzione di giudice e meno dell'1 per cento dei giudici passano alla funzione di pubblico ministero.

Dunque, i fatti, ciò che succede quotidianamente nelle aule giudiziarie, smentiscono la ricostruzione della maggioranza. Abbiamo sentito autorevoli esponenti della magistratura, dell'avvocatura, dell'accademia, anche in Commissione, o abbiamo letto interventi sulla stampa. Penso a quello del professor avvocato Franco Coppi, laddove dice: “La separazione delle carriere… sarebbe un'enorme spendita di quattrini, di mezzi, (…). E a che servirebbe? Io non ho mai pensato di aver vinto o perso una causa perché il PM faceva parte della stessa famiglia del giudice”. Se poi fosse vero che il giudice considera oggi il PM un fratello, quel giudice domani lo considererebbe un cugino, perché comunque continuerebbe a pensare che la visione del PM è imparziale e quella dell'avvocato pagato dal cliente no. In effetti, se davvero fosse questo il tema, come si può pensare di risolverlo? Solo indebolendo l'organizzazione della magistratura giudicante, come si farebbe con questa riforma se fosse approvata, al cospetto della magistratura requirente.

Altro tema di cui si è discusso è lo strapotere del pubblico ministero. Ora questo tema meriterebbe un'analisi seria, anche comparatistica, che è stata un po' sfuggente nei lavori di Commissione. Questo perché c'è chi ci ha mostrato, penso all'intervento del professor Gialuz, che il tema riguarda moltissimi Paesi europei, tutti i Paesi europei, tutti i Paesi democratici, anche gli Stati Uniti d'America, che hanno un modello radicalmente diverso dal nostro. In uno studio recente, si è riconosciuto che oggi il perno del sistema di giustizia penale è sempre più rappresentato dal pubblico ministero in gran parte del mondo. Dunque, la separazione delle carriere, all'interno di una sfida provinciale che il Governo e la destra muovono, è del tutto inadeguata a comprendere e spiegare un fenomeno che merita di essere analizzato in modo serio e non con le bandiere ideologiche.

Comunque, la maggioranza, la destra e il Governo hanno detto: non preoccupatevi, in molti Paesi europei il pubblico ministero è separato dai giudici. Beh, questo è vero. Si è meno soffermata sul fatto che i Paesi che nel passato hanno subito le dittature sono stati più cauti nell'affermare una rigorosa separazione e, soprattutto, sono stati più cauti nel portare il pubblico ministero sotto il Governo e l'Esecutivo. Ma si è detto, penso, ad esempio, a Spataro, sempre in Commissione: ovunque il PM è separato dal giudice, esso è sottoposto all'esecutivo e, laddove questo avviene, c'è, però, un giudice istruttore, che da noi è stato soppresso da tempo, perché la conduzione delle indagini, la formazione della prova, deve essere improntata all'indipendenza rispetto all'Esecutivo.

Laddove si è citato, qualcuno l'ha fatto, il caso portoghese, che sarebbe l'unico caso di un Paese europeo in cui vi è la separazione delle carriere e il PM non è sottoposto all'esecutivo, mi permetto di ricordare il caso incredibile, avvenuto non più di un anno fa, un anno e mezzo fa, nel quale il Capo del Governo Costa si è dovuto dimettere per un errore di trascrizione sull'intercettazione, laddove il Costa a cui si faceva riferimento nelle intercettazioni non era il Presidente del Consiglio. Come si vede, i problemi che riguardano il rapporto tra magistratura e politica, il tema delle garanzie del giusto processo è un tema che riguarda tutte le democrazie e meriterebbe di essere affrontato con serietà, non con questo furore ideologico che anima la destra, mentre il comparto della giustizia va al collasso.

Vi è di più: vi sono rischi che derivano da questa scelta e sono stati esposti, affrontati, discussi pubblicamente. Penso all'intervento di Gaetano Silvestri di alcuni anni fa, laddove diceva: “spero vivamente di non dover ricordare tra qualche anno agli entusiasti sostenitori della separazione delle carriere, che hanno volutamente rinunciato ad una parte delle loro garanzie, favorendo la formazione di una categoria di accusatori di professione sempre più avulsi dalla giurisdizione in senso stretto e sempre più animati dall'ansia di risultato”. Ma sempre Gialuz, recentemente, in Commissione ci ha ricordato di fare molta attenzione alla creazione di una magistratura requirente, protetta e garantita dal suo nuovo CSM, perché questa magistratura acquisirà un nuovo ruolo, un nuovo peso, maggiore di adesso e, prima o poi, sarà necessario intervenire di nuovo, magari per ricondurre la corporazione dei PM al potere esecutivo e ad essa sottoposta.

Oppure, abbiamo ascoltato le riflessioni di chi ci ha detto - penso a Scoditti - che la separazione delle carriere, giudicante e requirente, ha nel contesto dell'ordinamento italiano un effetto controintuitivo rispetto ai principi del costituzionalismo liberale, perché è in grado di creare l'effetto indesiderato di una concentrazione di potere con tendenze centrifughe rispetto all'integrazione di un sistema di potere plurale. Cioè, si pensa di disegnare un'istituzione coerente con la democrazia liberale ma, in realtà, si sta creando una struttura destinata ad entrare in contraddizione con il principio liberale del potere limitato. La democrazia liberale è a rischio quando si costituisce una istituzione che non è governata dal principio di agire come organo di giustizia, ma dal principio funzionale della vittoria ad ogni costo nello scontro forense. Con la separazione delle carriere si dà dunque vita ad una macchina istituzionale di pubblici ministeri la cui funzione è quella di ottenere la vittoria nella competizione forense. E chiude, Scoditti, con un appello ai liberali di casa nostra, affermando che un'autentica cultura liberale non insegue le sirene delle risposte semplici ed elementari, concependo ingenuamente a tavolino astratti disegni senza considerare la complessità dei processi storici ed istituzionali, senza un approccio realistico della natura umana, senza prudenza e lungimiranza, soprattutto quando in gioco è il contenimento della potenza. Di questi interventi ne abbiamo ascoltati molti.

Tutti interventi nei quali ci è stato segnalato che, in un Paese con tradizioni autoritarie come il nostro e anche con una cultura massmediatica del processo che valorizza il ruolo dell'accusa, la magistratura requirente con questa riforma avrà una crescita inevitabilmente autoreferenziale, una torsione verso il puro organo dell'accusa teso a incastrare l'imputato, soggetta ai richiami dell'allarme sociale e alle pressioni dell'opinione pubblica. Oggi non è così e se succede oggi è - lo ripeto - una patologia, non la regola, che è stata sapientemente pensata per fare del pubblico ministero un organo di giustizia e quello, a nostro giudizio, deve rimanere. Peraltro, l'idea per la quale il migliore assetto della giustizia si ottenga nello scontro tra categorie è, a nostro giudizio, un grave errore: lo scontro tra la politica e la magistratura; lo scontro tra le parti del processo. Piero Calamandrei nel lontano 1952, durante una conferenza a Città del Messico, sposando l'idea di un modello ordinamentale unico nella sua diversità e ribadendo l'importanza della leale collaborazione e della fiducia tra le parti della giurisdizione, nonché richiamando ad esempio la diversa esperienza giuridica inglese, ci ricordava che: “L'avvocato si fida dei giudici perché ieri furono avvocati come lui e il magistrato si fida dell'avvocato perché sa che domani anche lui, dalla sbarra del difensore, salirà al banco del giudice. Nel processo, giudice e avvocati sono come specchi: ciascuno, guardando in faccia l'interlocutore, riconosce e saluta, rispecchiata in lui, la propria dignità”. È diversissimo ovviamente quel modello, ma occorre comunque perseguire il principio per il quale dovremmo sforzarci di alimentare l'ibridazione dei sistemi, la contaminazione dei saperi e la contaminazione delle eccellenze. Questo è lo sforzo che dovremmo fare; voi, invece, state facendo l'esatto opposto: state andando ancora una volta a dividere gli attori della giurisdizione e lo fate per motivi ideologici e perché pensate, in questo modo, di punire la magistratura.

Qualcuno di voi forse non pensa che gli effetti saranno peggiori e, per l'eterogenesi dei fini, quell'organo oggi di giustizia che domani diventa accusatore di professione, non aiuterà a garantire la qualità della giurisdizione. Ma altri hanno detto che un modello come quello che voi andate creando e che mette il pubblico ministero nelle condizioni di non essere più organo di giustizia ma accusatore seriale determinerà, in una traiettoria che oggi iniziate, la necessità di un nuovo intervento, cioè, la sottoposizione al potere esecutivo del pubblico ministero. Il Ministro Nordio ha detto in questi giorni che la riforma andrà avanti e che poi ci sarà un referendum che confida di vincere perché - a suo dire - i sondaggi dicono che la magistratura italiana gode del consenso del 30 per cento degli italiani e il dissenso del 70 per cento. Casualmente, mentre lo diceva, è uscito un sondaggio relativo al gradimento dei Ministri e, per l'appunto, il gradimento del Ministro Nordio è del 30 per cento. Utilizzando lo schema mentale di Nordio potremmo dire che il dissenso nei suoi confronti è del 70 per cento e, dunque, nessuno lo seguirà. Ma è un'argomentazione modesta e superficiale che non merita di essere nemmeno considerata. Il tema non è chiedere agli italiani se sono o non sono contenti del lavoro della magistratura, la questione è stabilire se noi vogliamo costruire un Paese nel quale l'equilibrio tra i poteri, costruito sapientemente nel tempo con il lavoro dei costituenti, merita di essere stravolto per motivi ideologici e per intenti punitivi o se invece non sarebbe più corretto, più giusto, più nell'interesse del nostro Paese, fermarsi, mettersi intorno a un tavolo e valorizzare le migliori energie per costruire un buon modello di giustizia giusta nell'interesse dei cittadini e delle imprese italiane.