A.C. 1917 e abbinate
Grazie, Presidente. Nei nostri interventi, avremo l'occasione di contestare, punto per punto, le argomentazioni sostenute dalla maggioranza, evidenziare gli intenti punitivi, l'approccio ideologico, il pericolo per la tenuta dell'equilibrio tra i poteri dello Stato.
Però, con questo intervento in relazione a questo emendamento, che noi sosterremo, vorrei evidenziare, come hanno fatto già altri colleghi, i rischi connessi a un intervento di questo tipo. Sostanzialmente, la destra contesta l'attuale assetto che vede, secondo la scelta operata sapientemente dai costituenti, nel pubblico ministero un organo di giustizia che è obbligato a ricercare le prove a carico della colpevolezza, ma anche a discarico della colpevolezza. La destra sostiene che vi siano evidenti lacune rispetto alla realizzazione di questo principio e, dunque, propone di cambiare questo modello separando il pubblico ministero, allontanandolo e contrapponendolo al giudice e alla difesa. Ora, si tratta sostanzialmente di evidenziare una patologia e, anziché contenerla e contrastarla, farne una regola generale dell'ordinamento; cioè quella patologia che si contesta deve divenire la regola: il pubblico ministero contrapposto alla difesa e al giudice nello scontro forense, con un agonismo, un antagonismo esasperato che non si comprende in base a quale principio di ragionevolezza dovrebbe ridurre le esasperazioni e la conflittualità nel processo, come dicono di auspicare i colleghi della maggioranza.
È del tutto evidente che il risultato sarà esattamente l'opposto e non lo diciamo solo noi, lo hanno detto anche, in questi mesi, negli anni scorsi, nel dibattito pubblico, esponenti autorevoli della cultura giuridica liberale. Quindi, mi rivolgo anche a quelle formazioni di ispirazione liberal-democratica che ancora si mostrano incerte o in qualche modo favorevoli a questo provvedimento. Abbiamo sentito, ad esempio, Scoditti dire che se l'istituzione non è governata dal principio di agire come organo di giustizia ma dal principio funzionale teleologico della vittoria ad ogni costo nello scontro forense la democrazia liberale è a rischio. Con la separazione delle carriere - ancora - si dà vita a una macchina istituzionale di pubblici ministeri, la cui funzione è esclusivamente la vittoria nella competizione forense. E, ancora, dice che un'autentica cultura liberale non insegue le risposte semplici ed elementari concependo ingenuamente a tavolino astratti disegni senza considerare la complessità dei processi storici ed istituzionali, senza un approccio realistico della natura umana, senza prudenza e lungimiranza, soprattutto quando in gioco è il contenimento della potenza. Ancora, che la separazione giudicante e requirente delle carriere ha nel contesto dell'ordinamento italiano un effetto contro-intuitivo rispetto ai principi del costituzionalismo liberale, perché è in grado di creare l'effetto indesiderato di una concentrazione di potere con tendenze centrifughe rispetto all'integrazione di un sistema che è e deve rimanere plurale.
Ma, ancora prima, Silvestri aveva detto: “spero vivamente di non dover ricordare, tra qualche anno, agli entusiasti sostenitori della separazione delle carriere, che hanno volutamente rinunciato ad una parte delle loro garanzie, favorendo la formazione di una categoria di accusatori di professione, sempre più avulsi dalla giurisdizione in senso stretto e sempre più animati dall'ansia di risultato”. Lo dicono anche autorevoli esponenti dell'avvocatura, non solo della magistratura. Hanno detto alcuni avvocati, insigni avvocati: l'annunciata riforma è giovevole a incrementare un'impostazione secolare inquisitrice del processo e a lanciare verso vette infinite PM che ritengono gli imputati avversari da battere e gli avvocati pericolosi mestatori del diritto.
Questa separazione favorirà l'incremento della contrapposizione che abbiamo visto nel nostro Paese, non solo, tra politica e magistratura, ma, anche, all'interno della magistratura. Allora, raccogliendo anche lo spunto del collega D'Alfonso sull'esigenza di lavorare non per allontanare le competenze e le eccellenze ma per favorirne l'ibridazione, le contaminazioni dei saperi e delle eccellenze, mi permetto di ricordare un intervento di Piero Calamandrei, che insieme a Leone e Patricolo era il relatore nei lavori della seconda sottocommissione per la costruzione del modello di giustizia nella Costituzione, che seppe mediare tra posizioni radicalmente diverse anche allora in seno all'Assemblea, tra coloro che immaginavano ancora un PM sotto l'Esecutivo e coloro che lo volevano assolutamente indipendente, con quel lavoro che poi ha prodotto la saggezza che è contenuta negli articoli della Costituzione.
Parlando del modello inglese, diversissimo dal nostro, nel quale c'è appunto questa ibridazione anche tra avvocati e magistrati, Calamandrei diceva che il barrister, l'avvocato, in Inghilterra si fida dei giudici perché ieri furono avvocati come lui, il magistrato si fida del barrister perché sa che domani anche lui dalla sbarra del difensore salirà al banco del giudice; nel processo giudici e avvocati sono come specchi, ciascuno guardando in faccia l'interlocutore riconosce e saluta, rispecchiata in lui, la propria dignità.
Ecco, il modello che proponeva Piero Calamandrei è opposto a quello che perseguite voi, quello dello scontro furioso e ideologico che non aiuterà né i cittadini, né le imprese e che abbasserà la qualità della democrazia in Italia.