Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 25 Novembre, 2020
Nome: 
Lia Quartapelle Procopio

Doc. XXII, n. 45

Grazie, Presidente. Io credo non ci sia bisogno di spiegare a quest'Aula chi era Giulio Regeni. Quest'Aula, tutti noi lo sappiamo; l'Italia lo sa. Ma credo che oggi ci sia bisogno di ricordare che cosa ha rappresentato Giulio Regeni per il nostro Paese. Giulio Regeni è stato uno dei tantissimi giovani italiani che ogni anno, con curiosità, con interesse, con apertura verso l'altro, vanno a studiare, vanno a lavorare in altri Paesi. Giulio Regeni avrebbe potuto essere uno di questi giovani, molto brillante sicuramente, molto dedicato agli altri. Avrebbe potuto essere un ponte verso culture e verso mondi che noi tante volte fatichiamo a capire. Sapeva l'arabo, conosceva molte lingue, aveva avuto un'esperienza di studio in un luogo straordinario del nostro Paese che è il collegio dell'Adriatico di Duino, un luogo di apertura, una finestra sul mondo, una finestra di convivenza. Giulio Regeni avrebbe potuto essere uno dei tanti, con le sue caratteristiche, ma non dissimile da tanti e tante sue coetanee che conosciamo bene e che spesso - troppo spesso - dimentichiamo. Purtroppo, Giulio Regeni non è stato uno dei tanti. Giulio Regeni è diventato un simbolo per tante e tanti di noi, per tante e tanti cittadini che ogni anno, a gennaio, il 25 gennaio, chiedono la verità e la giustizia per lui. È diventato un simbolo per tutte quelle istituzioni che hanno esposto la bandiera gialla per la verità e la giustizia per Giulio Regeni, perché nella sua vita c'è stato quel terribile 25 gennaio 2016 e, soprattutto, ci sono stati i successivi dieci giorni, dieci giorni che per la sua famiglia, per i suoi amici, per le istituzioni sono stati giorni carichi di angoscia, ma per Giulio sono stati giorni di torture orrende. La cronaca di quei giorni per Giulio si può trovare leggendo l'autopsia che è stata eseguita a Roma, un'autopsia che racconta, come ricordava il collega Ungaro, di botte, di torture, di fratture, ed è una cronaca che si conclude con un omicidio deliberato: Giulio è stato deliberatamente ucciso in un giorno tra il 31 gennaio e il 2 febbraio. Non è successo a causa delle torture; qualcuno ha deciso di ucciderlo. Ed è così che Giulio è diventato il velo alzato sull'Egitto, su quel Paese che sicuramente è un grande Paese nel cuore del Mediterraneo, a cavallo tra Medio Oriente, Mediterraneo, Africa, ma che è un Paese di cui noi non possiamo più occultare la vera natura del regime. Un Paese dove si tortura, dove ci sono migliaia di arresti indiscriminati e arbitrari, come testimonia anche la vicenda drammatica di Patrick Zaki. Un Paese che, a fronte di richieste della UE di rispetto dei diritti umani, decide pochi giorni fa di arrestare i vertici della ONG di Patrick Zaki, che due giorni prima avevano incontrato tutti gli ambasciatori dell'Unione europea. È un Paese che agisce così, con arroganza, con prepotenza, con spregio di quelli che sono i nostri diritti. Giulio Regeni è diventato un velo alzato anche su una scelta che l'Italia aveva fatto di politica estera, quando aveva deciso di riammettere l'Egitto di al-Sisi, dopo il colpo di Stato del 2014, all'interno delle nazioni che potevano incontrarsi nel G20 nei vertici internazionali. È diventato il velo su un Paese che noi consideravamo un Paese strategico. L'Egitto è un Paese importantissimo, sì, ma si è dimostrato un Paese non in grado di collaborare con noi neanche un minimo, per arrivare alla verità, alla verità sul fatto di un nostro cittadino. Verità e giustizia per Giulio sono diventate, quindi, per noi, come Paese, un punto che riguarda profondamente l'interesse nazionale. Come diceva prima il collega Cirielli, noi non possiamo accettare che su questa questione l'Egitto non collabori, come ha fatto finora. Altri Paesi hanno purtroppo deciso di chiudere gli occhi, hanno deciso di fare diversamente. Ricordo in quest'Aula il caso di Eric Lang, un fotografo francese morto in circostanze molto simili a quelle di Giulio, che le autorità francesi però hanno dichiarato, insieme alle autorità egiziane, morto di infarto: un fotografo giovane, morto in carcere dopo un arresto arbitrario, molto simile alla storia di Giulio. Ci fa onore la scelta dell'Italia di continuare a perseguire sulla strada della verità e della giustizia. Per questo c'è la Commissione Regeni, con cui il Parlamento ha deciso di partecipare allo sforzo del nostro Paese, per capire che cosa è successo, ma soprattutto perché. La Commissione in questi mesi ha fatto un lavoro corale, un lavoro unito, perché tutti quanti tra tutte le forze politiche vogliamo arrivare alla verità. La Commissione, in un ambito politico, il nostro, dove troppo spesso prevalgono le divisioni, è stato un luogo in cui abbiamo trovato delle convergenze inaspettate, profonde, con alcuni dei colleghi. Io ieri ho ascoltato con grande emozione l'intervento del collega Pettarin e con grande condivisione l'intervento di un collega di Fratelli d'Italia. È stato molto molto bello lavorare con questi colleghi, grazie anche alla capacità di conduzione del presidente Palazzotto. Ecco, noi sappiamo che cosa è successo, grazie soprattutto allo straordinario lavoro della procura di Roma, che ha ricostruito, con i pochissimi elementi concessi dagli egiziani, che cosa è avvenuto in quei giorni terribili. La procura concluderà il proprio lavoro il 4 dicembre e, allora, toccherà alla Commissione il passaggio più difficile. Toccherà a noi continuare a rispondere soprattutto alla domanda del perché. La procura ci consegnerà il cosa, ma a noi toccherà a rispondere il perché. E toccherà a noi portare queste domande laddove, la procura non è riuscita ad andare, nel Regno Unito, dove prevalgono tantissime aree ancora oscure, in particolare nell'atteggiamento reticente della professoressa Di Giulio, Maha Abdel Rahman. Soprattutto ci toccherà portare queste domande in Egitto, per capire il contesto, il perché più grande, perché è potuto avvenire che un cittadino straniero fosse spiato, arrestato, torturato e ucciso, se si sia cercato di occultarne la morte, se si sia cercato di fare dei depistaggi. È qui che il lavoro della Commissione continuerà. La Commissione assevererà, renderà disponibile ai cittadini italiani, renderà disponibile a tutti noi il lavoro della procura, ma, solo dopo quello, arriverà la politica. La Commissione farà il lavoro sulla verità insieme alla procura, ma, solo dopo quello, toccherà alla politica - e non solo alla Commissione - di decidere che cosa fare, quali passi internazionali, come diceva prima il collega Ungaro, per arrivare alla giustizia, come chiedere solidarietà e fermezza ai Paesi europei, come assicurare protezione ad altri cittadini, che potenzialmente nel futuro possano trovarsi in situazioni simili, come decidere come atteggiarci nei confronti dell'Egitto. Le istituzioni italiane sono state impegnate, molto impegnate, nello sforzo della verità per Giulio e lo abbiamo visto in tutte le audizioni che abbiamo avuto. La Commissione continuerà questo lavoro di inchiesta, aggiungeremo quello che manca, ma, per quanto riguarda la giustizia, starà a noi, come politica, decidere come ottenere giustizia. Lo dobbiamo a Giulio, lo dobbiamo alla sua famiglia, che ci ha insegnato coraggio e una grande lezione di dignità nel dolore, ma lo dobbiamo soprattutto all'Italia, ai principi che governano la nostra politica estera, e lo dobbiamo a quell'idea di Italia che noi vogliamo dare nel mondo.