Discussione sulle linee generali - Relatore per la III Commissione
Data: 
Giovedì, 19 Giugno, 2014
Nome: 
Michele Nicoletti

A.C. 1589-A

Signor Presidente, il disegno di legge in esame si propone la ratifica della Convenzione dell'Aja del 1996 sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori e detta norme di adeguamento dell'ordinamento interno ai principi espressi dalla Convenzione. 
  La Convenzione dell'Aja è stata firmata dall'Italia il 10 aprile 2003, ossia più di undici anni fa. Mentre apprezziamo vivamente l'impegno del Governo in questa legislatura affinché il Parlamento proceda al più presto alla sua ratifica, non possiamo non rilevare ancora una volta l'inaccettabilità di tempi così lunghi per l'adeguamento del nostro ordinamento interno ai principi del diritto internazionale ed europeo. Tanto più quando sono in gioco i diritti delle persone e in particolare di quelle più deboli e, dunque, maggiormente degne di tutela, come i minori, di cui si occupa la Convenzione.

Di fronte a quanti in questi giorni esprimono preoccupazioni sui rischi che un'eventuale riforma delle nostre istituzioni parlamentari potrebbe comportare in ordine alla garanzia dei diritti fondamentali, sarebbe forse opportuno ricordare che il sistema delle garanzie oggi, sia per le persone che per le minoranze, riposa in larga parte, più che sulla farraginosità dei meccanismi interni, su quel diritto internazionale e sulle istituzioni internazionali a cui noi stessi, a partire dagli articoli 10 e 11 della nostra Costituzione, abbiamo dato vita. 
  Per questo dovremmo sentirci impegnati a rendere sempre più effettivo e rispondente ai bisogni dei cittadini l'insieme dei principi e delle previsioni del diritto internazionale, riservando alla loro trattazione nei lavori parlamentari uno spazio specifico e privilegiato, al riparo dall'improvvisazione che spesso caratterizza il nostro procedimento legislativo. Se in ogni ambito della vita sociale l'incertezza del diritto esercita un'influenza nefasta, sul piano dei diritti delle persone tale influenza assume contorni ancora più negativi, per la sua immediata valenza esistenziale. 
  La Convenzione dell'Aja del 1996 mira esattamente a introdurre elementi di maggiore certezza e definizione nel campo della tutela dei minori rispetto alla precedente Convenzione del 1961, che, se da un lato aveva chiaramente individuato i principi fondamentali dei diritti dei minori e gli obblighi degli Stati nei loro confronti, d'altro lato aveva lasciato margini di incertezza nella definizione univoca dell'autorità competente a provvedere alla protezione della persona e dei beni del minore nel caso in cui quest'ultimo si trovasse in un Paese diverso dal proprio. Poteva così accadere, ed è di fatto accaduto, che la responsabilità della tutela del minore venisse di volta in volta addossata allo Stato di provenienza piuttosto che allo Stato di residenza, lasciando il minore in una condizione di incertezza e di esposizione al rischio. È noto, infatti, che nel corso degli ultimi decenni la condizione di molti minori nel mondo si è trovata sempre più esposta a possibilità di sfruttamento, violenza e abusi e che l'imponente crescita del fenomeno migratorio, connessa a guerre civili, oppressioni, carestie, persecuzioni, ha visto coinvolto in prima fila un grandissimo numero di bambini e minori. Una chiara definizione dei soggetti, a cui la tutela dei minori è in carico, è dunque fondamentale per evitare il più possibile violenze e abusi e per consentire anche a quanti – famiglie, associazioni o Stati – si fanno carico della loro accoglienza di operare in un quadro chiaro e trasparente. 
  Per queste ragioni la ratifica di questa Convenzione è un atto non solo dovuto in quanto obbligo comunitario, ma è fortemente sostenuta da quanti si occupano dei minori stranieri in difficoltà, siano essi associazioni o magistrati o avvocati, costretti ad operare in una situazione confusa e talvolta contraddittoria, come testimonia la stessa giurisprudenza recente in materia nel nostro Paese. 
  Il principio fondamentale che regge la Convenzione è quello chiaramente enunciato dal diritto internazionale in materia di infanzia, ossia quello del best interest del minore, che deve sempre prevalere sia rispetto alla sua appartenenza a una determinata nazionalità, sia rispetto alla rigida applicazione della legislazione nazionale del Paese ospitante. In questo senso, la Convenzione stabilisce con chiarezza che l'autorità competente in materia di tutela è quella dello Stato in cui concretamente si svolge la vita del minore, ossia dove si trovano i suoi interessi e i suoi legami familiari, indipendentemente dalla sua nazionalità. È evidente, in questo caso di tutela di un soggetto debole, rispetto al quale il fattore tempestività ed efficacia rileva in modo singolare, l'importanza che la responsabilità di proteggere sia in capo all'autorità più vicina al soggetto interessato, secondo quel principio di prossimità che ha radici antiche sul piano dei principi morali e che trova sempre maggiore accoglienza nel diritto europeo e secondo quell'attenzione al radicamento del minore nel suo ambito vitale. 
  Sull'altro fronte, la ricerca del best interest del minore, nonché la natura pattizia della Convenzione, basata sul reciproco riconoscimento dei soggetti contraenti, impone ad ogni Stato di riconoscere le misure di protezione adottate dalle autorità di uno Stato contraente – salvo eccezioni dettagliatamente indicate – come se fossero state adottate dalle proprie autorità. Questo riconoscimento dell'ordinamento straniero, dell'ordinamento «altro da sé» è espressione concreta di quella visione del pluralismo degli ordinamenti giuridici che è alla base del diritto internazionale e dello stesso diritto europeo e che si rende particolarmente significativo in materia di diritto di famiglia, ossia di quel diritto che regolamenta le relazioni più intime tra le persone e che, dunque, più di ogni altro ha a che fare con la sfera delle convinzioni soggettive in ambito morale e religioso, delle tradizioni, dei costumi degli individui e dei popoli.

 Ciò è reso esplicito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (articolo 9) e dai numerosi pronunciamenti della Corte europea dei diritti umani in materia. Non si tratta semplicemente di riconoscere la validità di istituti giuridici di altri Paesi all'interno del nostro ordinamento, ma più profondamente di coglierne il significato, i valori e le relazioni che essi mettono in forma, per farli positivamente interagire, da un lato, con i principi fondamentali dei diritti umani e, dall'altro, con gli istituti e le norme della nostra tradizione giuridica. 
  In quest'ottica, la Convenzione dell'Aja prevede il riconoscimento non solo di quelle forme di responsabilità genitoriale codificate negli istituti dell'adozione o dell'affido tipici dei nostri ordinamenti, ma anche di quelle forme di tutela dei minori in stato di difficoltà o di abbandono previsti da altre tradizioni come, nel caso dei Paesi islamici, la kafala
  Nei Paesi che ispirano la propria legislazione ai precetti coranici non esiste rapporto di filiazione diverso dal legame biologico di discendenza che derivi da un'unione lecita. La legge islamica, dunque, non ammette in senso stretto l'istituto dell'adozione. Tuttavia, per evitare che figli senza genitori restino del tutto sprovvisti di tutela, il diritto islamico prevede lo specifico istituto della kafala, per effetto del quale un adulto musulmano (o una coppia di coniugi) ottiene la custodia del minorenne, in stato di abbandono, che non sia stato possibile affidare alle cure di parenti, nell'ambito della famiglia. La disciplina dell'istituto assume connotazioni specifiche nei diversi ordinamenti islamici; è, però, possibile individuare i tratti essenziali e comuni di questa particolare forma di affidamento. Il rapporto che si instaura tra affidatario e minore non crea vincoli ulteriori rispetto all'obbligo del primo di provvedere al mantenimento e all'educazione del secondo, fino a quando questi raggiunga la maggiore età. 
  La ratifica della Convenzione, che riconosce esplicitamente la kafala, impone quindi di trovare figure giuridiche capaci di contenere in sé la tipicità di questo istituto e per questo il disegno di legge in esame ha formulato la proposta di inserire questo riconoscimento all'interno della forma giuridica dell'assistenza legale al minore, intendendo con questa espressione l'assistenza giuridica, morale e materiale, nonché la cura affettiva di un minore, secondo quanto fanno altri ordinamenti, dove si parla di accoglienza o di «permanent care». 
  In questo modo si apre la possibilità di riconoscere all'interno del nostro ordinamento giuridico forme di protezione dei minori, in stato di abbandono o meno, che siano debitamente prospettate dalle competenti autorità straniere e accuratamente vagliate dalle autorità italiane, secondo i criteri più oltre descritti. 
  Deposito agli atti il testo completo della relazione, con l'esposizione di diversi articoli della convenzione e del disegno di legge, ed integrerà poi questa relazione la presidente della Commissione giustizia per la parte di sua competenza (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).