Grazie, Presidente. Noi voteremo, come abbiamo sempre fatto, con convinzione, il sostegno alle missioni internazionali di pace e di stabilità che vedono impegnati i nostri soldati, a cui, anche da parte del nostro gruppo, va un sentimento di gratitudine. Lo facciamo sulla base di presupposti che, credo, dobbiamo avere chiari. Il primo è che la sicurezza è un bene indivisibile.
Per molti anni, quando succedeva un qualche conflitto lontano da noi, si usava la categoria di guerre locali. Nel linguaggio geopolitico questa espressione è sparita perché non ci sono più guerre locali, ci sono conflitti che ovunque accadano impattano sulla sicurezza del pianeta intero. Ce lo ha dimostrato - ed è stato lì il discrimine che ha fatto cambiare anche il linguaggio - l'attentato alle Torri gemelle del 2001. Da questo presupposto ne deriva un altro: che ogni Paese deve concorrere pro quota alla sicurezza, che non può più essere delegata - come è stato a lungo nell'epoca bipolare - alle due potenze nucleari, ma invece ciascun Paese è chiamato a essere non solo fruitore di sicurezza, ma anche costruttore di sicurezza. L'Italia lo è, lo è perché - come è stato ricordato - abbiamo un impegno in 39 missioni di pace, per un totale di forze mobilitabili di 12.000 soldati, siamo tra i Paesi che più contribuiscono alle missioni dell'ONU e alle missioni dell'Unione europea e questo è tanto più vero oggi per uno scenario - non ho bisogno ovviamente di spiegarlo - caratterizzato da conflitti crescenti alle porte di casa, dalla guerra russo-ucraina, da quello che accade nel Mediterraneo, da situazioni non meno esplosive e critiche in contesti anche più lontani. Tanto più oggi è necessario affrontare il tema della sicurezza quando il tema, questo tema si declina anche con nuove modalità, se solo pensiamo appunto alla cyber security e all'utilizzo delle tecnologie digitali. Non a caso, l'Unione europea si è dotata di una Bussola strategica e la NATO si è dotata di un nuovo Concetto strategico. Non richiamerò tutte le missioni - sono 39 e giustamente in pochi minuti non sarebbe possibile -, mi concentrerò sulle questioni principali.
Primo, sosteniamo con convinzione le nostre missioni nei Balcani, dove segnalo sono evidenti i segni, i rischi di processi dissolutivi, il rischio di una separazione della Bosnia, la non risoluzione del conflitto tra Kosovo e Serbia, l'instabilità politica in Serbia, instabilità che si dirama anche a macchia d'olio su altri paesi della regione, dal Montenegro alla Macedonia, e quindi la nostra presenza è una presenza essenziale, che va accompagnata però - come mi pare il Governo stia facendo e in questo lo sosteniamo - dall' insistere con l'Unione europea che non si può ulteriormente dilazionare il processo di integrazione europea di questi Paesi, a cui abbiamo promesso l'integrazione nel 2003 con il Consiglio europeo di Salonicco; sono passati 22 anni, non uno di quei Paesi è ancora entrato e l'unico dividendo che abbiamo ottenuto da questa dilazione è che nei Balcani sono entrati la Cina, la Turchia, la Russia, gli Emirati e l'Europa rischia di essere vista sempre di più come un soggetto che promette, ma non realizza.
Ovviamente, la seconda missione a cui mi dedico è la questione dell'Ucraina, dove continua - come sappiamo - una guerra, nonostante si evochi costantemente una pace che appare molto lontana. Una guerra che vorrei che noi avessimo chiaro ha destabilizzato gli equilibri europei, violando quello che era stato - come dire - il pilastro dell'architettura di sicurezza europea: gli accordi di Helsinki, che prevedevano tra i principi lì sanciti la inviolabilità delle frontiere e il riconoscimento della sovranità di ogni paese. Sostenere l'Ucraina in ogni modo - e ribadiamo questo nostro impegno e ribadiamo quindi il sostegno alle missioni che vanno in questa direzione - è fondamentale non perché noi si pensi che l'Ucraina possa vincere una guerra che tutti comprendiamo è assai complesso, ma perché per andare a un tavolo di negoziato occorre andarci in condizioni forti e di parità, tanto più nel momento in cui con una sciagurata - e non esito a usare questo aggettivo - con una sciagurata scelta del Presidente americano si stanno preparando le condizioni per una pace ingiusta e umiliante per il Paese aggredito, premiando il Paese aggressore.
Quindi io penso che l'Europa e l'Italia con l'Europa devono su questo avere una posizione che invece non concede. La pace va cercata, ma la pace si cerca con fermezza e non con i cedimenti, come si rischia di fare in Ucraina. E naturalmente il sostegno all'Ucraina significa anche il sostegno a tutte le missioni che sono diciamo di contesto, di rafforzamento sul fianco est da parte della NATO e dell'Unione europea. Terza questione è il Mediterraneo, è evidente che il cuore delle vicende mediterranee - che sono molte come sappiamo, perché è un'area di grande instabilità, se noi guardiamo una carta geografica dall'Iran fino al Marocco c'è una sequenza di instabilità crescenti in ogni Paese e quindi certo è una situazione particolarmente delicata; non il Marocco in quanto tale, fino ai confini del Marocco, no? Io credo che dobbiamo essere ben attenti - ovviamente il cuore è la vicenda israelo-palestinese, sulla quale noi sosteniamo gli impegni che le nostre missioni hanno, sia di carattere civile, sia di polizia.
È evidente che il tema però è come si riesce. Chiediamo un impegno più determinato e più forte al nostro Paese e all'Europa per tornare al cessate il fuoco, per determinare finalmente la liberazione degli ostaggi - ricordo che le Nazioni Unite chiesero che la liberazione degli ostaggi fosse incondizionata, mentre, da quando è cominciata questa tragedia, la liberazione è oggetto di un continuo negoziato, quindi una contraddizione di cui la comunità internazionale dovrebbe essere almeno consapevole - e naturalmente la possibilità con il cessate il fuoco, con la liberazione di ostaggi, con una decisione sulla gestione interinale di Gaza che garantisca sicurezza e stabilità di rimettere in moto un processo di pace il cui obiettivo è “due popoli, due Stati”. Anche se io credo - dobbiamo saperlo tutti - che questo obiettivo di lungo periodo - è di lungo periodo - oggi, se noi parliamo con un dirigente israeliano di qualsiasi schieramento politico, come con un dirigente palestinese, constatiamo un grande scetticismo e una grande diffidenza. E qui c'è la responsabilità della comunità internazionale, dell'Europa e anche dell'Italia di lavorare per ricostruire le condizioni che consentano quella soluzione e, in questo percorso, il riconoscimento dello Stato palestinese è come uno degli elementi per la realizzazione della soluzione “due popoli, due Stati” che dia sicurezza a Israele, sicurezza ai palestinesi e pace e stabilità nella regione.
Naturalmente questo è il cuore di una condizione però di instabilità molto più larga, che ci vede impegnati in Iraq, ci vede impegnati a sostenere il processo di stabilizzazione in Siria, in Libano dopo l'accordo di cessate il fuoco e l'elezione di un nuovo Presidente della Repubblica in quel Paese; che ci vede impegnati nel Mar Rosso a garantire la libertà di navigazione; che ci vede impegnati insomma a garantire che la regione non venga investita da un incendio che la travolga.
In questo quadro Libia e Tunisia sono le uniche missioni su cui noi abbiamo un atteggiamento - e finisco subito, Presidente - un atteggiamento diverso. Non siamo favorevoli a confermare il nostro impegno in Tunisia perché siamo in presenza di un regime politico che viola ogni diritto umano, viola ogni regola di democrazia e che quindi - come dire - non sta a quelli che erano i patti che erano stati sottoscritti nel momento in cui avevamo deciso di sostenere quel Governo; così come sulla Libia, mentre sosteniamo una serie di iniziative che il nostro Paese continua a fare, confermiamo il nostro giudizio negativo al sostegno alla Guardia costiera per ragioni che sono evidenti e che abbiamo più volte ribadito di palese e indiscutibile violazione di fondamentali diritti umani nei confronti delle persone, nei confronti degli immigrati, nei confronti dei naufraghi. Ed esprimiamo una astensione nei confronti del sostegno al Niger perché intanto quello è un regime che noi non abbiamo riconosciuto. Avvertiamo naturalmente - non siamo inconsapevoli di questo - la esigenza di non abbandonare il Sahel, che è stato investito da una sequenza di colpi di Stato che hanno alterato gli equilibri di quella regione e quindi una presenza ha un senso, però così come è stata caratterizzata ci sembra opaca nelle finalità e nei modi e per questo l'astensione.
Naturalmente - finisco - sottolineo che tutto il nostro impegno è un impegno di stabilità e di pace. La stabilità e la pace si perseguono sia con lo strumento militare, ma anche con la cooperazione o lo sviluppo, con ogni iniziativa di tutela dei diritti umani, con iniziative di ricostruzione civile…
…e il nostro Paese deve essere impegnato con altrettanta determinazione su questi fronti. Insomma, la pace, la pace non basta evocarla, la pace bisogna costruirla. Noi la vogliamo costruire in assoluta coerenza con l'articolo 11 della Costituzione che bandisce l'uso della violenza e della guerra nella risoluzione dei conflitti, ma impegna a partecipare a tutto ciò che bandisce coloro che usano la guerra e la violenza per risolvere i conflitti che, invece, vanno risolti con gli strumenti della parola, della politica e del negoziato.