Discussione generale
Data: 
Giovedì, 15 Luglio, 2021
Nome: 
Piero Fassino

Doc. XXVI, n. 4 Doc. XVI, n. 5

Grazie, Presidente. Nei pochi minuti vorrei fare 2 considerazioni. La prima è sulla dimensione dell'impegno italiano che noi stiamo per autorizzare: 42 operazioni, 27 Paesi, 9.200 nostri militari impegnati. Siamo uno dei maggiori contributori alle operazioni di peacekeeping, di peace-enforcing, di mantenimento della pace e di stabilizzazione politica. Io credo che intanto bisogna sottolinearlo e dare all'opinione pubblica la consapevolezza di questo, perché io non so fino a che punto nell'opinione pubblica ci sia consapevolezza di un impegno così straordinario del nostro Paese. Questo lo facciamo non per un desiderio di potenza, ma perché siamo convinti che nel mondo globale della interdipendenza non ci sono più guerre locali; ogni conflitto, ovunque accada, investe immediatamente la sicurezza e la stabilità del pianeta e di ogni area e di ogni continente ed è, dunque, una responsabilità di ogni Paese contribuire alla sicurezza. C'è stato un tempo in cui molti Paesi consumavano la sicurezza prodotta da altri; oggi abbiamo tutti la necessità di essere consumatori della sicurezza che produciamo noi stessi. Questo è il senso di un impegno così vasto.

La seconda considerazione è che questo impegno militare così vasto non sostituisce la politica; al contrario, è a supporto della politica e la sollecita. Vale per i Balcani, dove la nostra presenza, per esempio in KFOR e nelle altre missioni, è in funzione della stabilizzazione politica di quell'area in vista del processo di integrazione dei Balcani occidentali nell'Unione europea. Vale per il Libano, dove la nostra presenza è lì per contribuire a far uscire quel Paese da una crisi drammatica e soprattutto per contribuire a rilanciare un processo politico di stabilità, di pace e di dialogo in Medio Oriente. Vale per il Sahel, che è la zona che oggi è più esposta al rischio di una penetrazione della jihad e del terrorismo, dove la nostra azione per il contrasto al terrorismo si salda a un impegno per affermare lì i diritti umani e il rispetto delle persone, nonché avviare processi di transizione democratica. Vale per l'Afghanistan, dove il termine della missione deve sollecitarci ad affrontare, come diceva il collega Palazzotto, ciò che è necessario per non disperdere quello che è stato costruito in questi 20 anni, e forse andrebbe anche fatta una riflessione più di fondo. Infatti, quando ci si impegna in missioni così impegnative e si decide che quella missione volge al termine, bisogna chiedersi, però, che cosa succede dopo e come si evita che quello che può accadere comprometta quello che si è costruito. Vale, infine, per la Libia, per sostenere il processo di Berlino e il processo di transizione politica e democratica che da qualche mese è in corso in vista delle elezioni, il 24 dicembre di quest'anno, e in vista soprattutto di un processo di stabilizzazione politica delle istituzioni, che passa per il disarmo delle milizie, che passa per l'evacuazione dei contingenti militari stranieri, che passa per la ricostruzione di un tessuto di sviluppo economico e sociale nel Paese. Inoltre, siamo in Libia anche per garantire che quel Paese non sia travolto dalle conflittualità che lo hanno caratterizzato per molti anni.

Certo, c'è il tema migratorio. Io voglio dire con chiarezza - lo voglio dire ai colleghi che hanno sollevato questioni relative alla guardia costiera libica - che il problema non è in sé la guardia costiera libica; il problema vero è che dobbiamo fare i conti e chiederci se è stata ed è efficace una gestione dei flussi migratori fondata sul contenimento dei migranti ai confini esterni dell'Unione. Io penso che si sta dimostrando che questa strategia sia del tutto inefficace. È inadeguata e inefficace per chi è destinatario di un contenimento in quei campi, che vive una condizione di disumanità, ed è inefficace per le relazioni politiche che i nostri Paesi hanno. Ma questo è il tema e attenzione a non confondere, come dire, la luna con il dito. Il problema è questo qui. Allora, se vogliamo affrontarlo, affrontiamo una discussione in questo Parlamento su quale strategia per gestire i flussi migratori che vada al di là semplicemente di un contenimento alle frontiere esterne dei migranti. Io sono pronto a farla. Siamo pronti a farla tutti questa discussione e a trarne le conseguenze?

Ve lo pongo, perché non basta semplicemente dire che ce ne andiamo, ci disinteressiamo, i campi li gestisca qualcun altro; il problema è che i campi esistono, anche quando noi ce ne andassimo e, in quei campi, continueranno le violenze di oggi. Il problema vero, allora, è come evacuiamo quei i campi e li facciamo sparire, ma evacuarli e farli sparire significa avere chiaro che destino dai a quelli che sono lì oggi. E questo tema continuiamo a non affrontarlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Ecco, io penso questo, quindi - e concludo -, che l'approvazione del decreto che autorizza queste missioni è un atto - sì, sono d'accordo in questo con Palazzotto - che non possiamo fare in modo burocratico, perché stiamo adottando una scelta che investe il profilo internazionale del nostro Paese, una scelta di politica estera, impegna uomini, a cui, credo, dobbiamo non solo un sentimento di gratitudine, ma anche un ricordo di tutti quelli, come i 53 nostri soldati italiani, che sono caduti in Afghanistan (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). E tutto questo lo facciamo perché l'Italia è un Paese che crede nel multilateralismo, crede nella necessità di costruire un mondo di pace, crede nella necessità di stabilizzare i processi politici, crede che sia necessario assumersi tutte le responsabilità per costruire condizioni di pace, di stabilità e di sicurezza, laddove oggi, invece, prevalgono spesso conflitti, violenza e instabilità.