Dichiarazioni di voto
Data: 
Mercoledì, 25 Gennaio, 2017
Nome: 
Gero Grassi

 Doc. XXIII, nn. 10 e 23

Signora Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, anzitutto do atto all'onorevole Pini di aver detto la verità: è responsabilità mia l'omissione della sua firma sulla risoluzione. 
Il voto della Camera dei deputati rafforza la determinazione con cui tutti noi siamo lavorando alla ricerca della verità sul rapimento e l'omicidio di Aldo Moro e della sua scorta. Il Partito Democratico ha convintamente voluto l'istituzione della Commissione: il frutto di questa determinazione è la scoperta di molti elementi nuovi riconducibili ai 55 giorni. Quello che dirò non toglie nulla alla crudeltà e all'efferatezza delle Brigate Rosse: si aggiunge. 
La Commissione ha scoperto omissioni, falsità, superficialità di molte indagini, partecipazioni attive ed omissive di soggetti che avrebbero dovuto muoversi per prevenire e reprimere i fenomeni terroristici. Il rettore dell'università di Urbino Carlo Bo definì il caso Moro il 9 maggio 1979 «delitto di abbandono»: oggi il Paese non può permettersi di voltare le spalle alla verità. Il Partito Democratico ha cercato in ogni modo di portare fuori da questo palazzo la verità e di sensibilizzare l'opinione pubblica con l'organizzazione di oltre 370 incontri, tutti molto partecipati, nei quali non ci siamo limitati a ricordare lo statista Moro, ma abbiamo studiato, analizzato, discusso di tutto quello che è successo e non ci è stato detto sul caso Moro. Un grazie a tutte le scuole d'Italia, alle università, alle associazioni culturali e politiche e a tutti i cittadini che ci seguono e che ci hanno seguito in questo doloroso viaggio della verità. 
Alle domande per troppo tempo inevase, grazie alla Commissione Moro odierna, oggi diamo risposte. Sappiamo che il 18 febbraio 1978 i nostri servizi segreti sanno con un telegramma proveniente da Beirut di una prossima azione terroristica in Italia, studiata tra il terrorismo italiano e il terrorismo europeo: non c’è alcuna traccia delle forme di prevenzione e repressione che i servizi avrebbero dovuto mettere in atto. Abbiamo certezza che in Via Fani con le Brigate Rosse ci sono soggetti terzi. Sappiamo che il bar Olivetti è l'epicentro del rapimento, luogo di incontro di mafiosi, ’ndranghetisti, uomini dei servizi e della banda della Magliana: il bar Olivetti è centro di traffico trasversale, clandestino ed internazionale, di vendita di armi ai terroristi del mondo, e i proprietari sono a Bologna prima della strage dalla stazione, ma non sono mai fermati da chi di dovere. Abbiamo la certezza della presenza in Via Fani non di una moto Honda, ma di due moto Honda: sappiamo che le Brigate Rosse non hanno mai usato le moto. Alcuni testimoni chiave di Via Fani non sono mai stati interrogati nel corso di questi 37 anni, tranne oggi dalla Commissione. Abbiamo la certezza che la Polizia la mattina del 16 marzo sapeva quanto stava verificandosi contro Aldo Moro, così come sappiamo che il 15 marzo sera il Presidente Moro al capo della Polizia ha preannunciato di essere possibile vittima di azione terroristica. Sappiamo che diversa documentazione brigatista è stata per anni, per oltre un trentennio, abbandonata negli scantinati di una procura della Repubblica, mentre il protagonista di una serie di identikit di persone da uccidere era libero di organizzare omicidi di uomini dello Stato: Minervini, Tartaglione, Amato e altri ancora. 
Nel frattempo questa persona insegnava all'Università e faceva anche il consulente del Ministero di grazia e giustizia. Conosciamo il grande ruolo che il brigatismo fiorentino, più volte non visto e protetto, ha avuto nel caso Moro. Conosciamo le complicità di alcuni servizi e di parte della magistratura verso il terrorismo fiorentino e toscano. Conosciamo oggi le modalità del falso arresto di Morucci e Faranda, concordato e realizzato tramite uomini della banda della Magliana e della DIGOS in un luogo di Roma nel quale convivevano CIA, KGB e IOR; convergenze parallele al contrario. Sappiamo anche che, dopo quell'evento del 29 maggio 1979, la magistratura avrebbe dovuto adottare provvedimenti che non ha mai adottato, perché in quella stanza di viale Giulio Cesare a Roma fu anche trovato un elenco di 96 brigatisti e terroristi al quale non è stato dato alcun seguito. Tutto questo è una delle prove di una trattativa tra parte dei brigatisti, il professor Conforto, ex Ovra, poi punto di riferimento del KGB e della CIA e del SISMI insieme, vertici della polizia e parte del Ministero degli Interni; la trattativa tentata dopo la morte di Moro e che prosegue con il falso memoriale Morucci-Faranda scritto da Remigio Cavedon condirettore de Il Popolo, il giornale della democrazia cristiana, che i due brigatisti consegnano con dedica all'allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Abbiamo notizia che il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, in possesso di una cospicua documentazione degli scritti di Moro, è ucciso dalla mafia, ma per rubargli i documenti di Moro, oggi in possesso di ignoti. Dalla Chiesa è amico del piduista Mino Pecorelli, che viene ucciso per il possesso delle carte e delle foto di Moro. 
Sappiamo che i carabinieri, ai quali va il nostro grazie quando servono lo Stato, hanno avuto per decenni comportamenti alternativi e contrapposti allo Stato democratico. Gli stessi carabinieri hanno infiltrato le Brigate Rosse subito dopo la nascita all'hotel Stella Maris di Chiavari. Gli stessi carabinieri hanno infiltrato le Brigate Rosse durante il sequestro del giudice Sossi. Conosciamo oggi per la prima volta, grazie alla Commissione Moro, un servizio segreto ignoto, il Sim, servizio informazioni Marina militare. Sappiamo che nel caso Moro è preponderante la presenza di Gladio e della P2 e devastante il ruolo di Licio Gelli, che coordina molti lavori prima, durante e dopo il 16 marzo. Sappiamo che con il caso Moro si intersecano il Piano Solo, che fu un attacco eversivo contro lo Stato, le stragi di Piazza Fontana, dell'Italicus, di Piazza della Loggia, l'omicidio di due giovani giornalisti italiani avvenuto a Beirut il 2 settembre del 1980, e forse anche Walter Tobagi è stato ucciso per il caso Moro. Abbiamo evidente nella testa e nel cuore l'importanza della documentazione dei 55 giorni, scomparsa dal Ministero degli Interni, che non è stata solo il frutto di negligenza, ma di attiva partecipazione al dramma di Aldo Moro e della sua scorta. Abbiamo chiaro che tutti i Governi italiani fino al 2014 non hanno mai chiesto l'estradizione dal Nicaragua di Casimirri; lo ha fatto il Ministro degli esteri Gentiloni, del Governo Renzi, su richiesta della Commissione Moro. Sappiamo che lo Stato evitò ogni trattativa per liberare Moro, grazie alla ipocrita e strumentale intransigenza del trio Andreotti-Cossiga-Pecchioli, con la compartecipazione di alcuni giornali che accompagnarono la non trattativa, dopo aver intascato denaro illecito da potenze straniere. Solo Paolo VI, il Presidente della Repubblica Leone, il Presidente del Senato Fanfani e il Partito socialista di Craxi e Vassalli, tentarono la strada dalla trattativa, nonostante il PSI avesse al proprio interno soggetti collusi con la ’ndrangheta e col brigatismo. Abbiamo conoscenza che il cadavere di Moro, le modalità con le quali è stato ucciso, il luogo nel quale è stato detenuto, i colpi sparati, il luogo dal quale sono stati sparati questi colpi, non corrispondono alla verità, e la magistratura non ha mai accertato le prove che i brigatisti dicessero la verità. 
Abbiamo una serie di indagini in corso che evidenziano come la Guardia di Finanza avesse ragione, il 17 marzo 1978, ad individuare un luogo extraterritoriale a Roma nel quale Moro era detenuto. 
Tutto questo lo diciamo con molta amarezza, signora Presidente, ma convinti che nessuna pacificazione è possibile senza la verità. Senza la verità, i tentativi di pacificazione sono una compartecipazione morale al reato, seppur postuma. La verità è sempre illuminante e ci aiuta a essere coraggiosi, dice Moro. Siamo convinti che la verità guardi al futuro, la bugia al passato. Pasolini diceva: io so, ma non ho le prove. Noi, col cuore che lacrima sangue non infetto, diciamo che sappiamo ed abbiamo le prove del delitto di abbandono. Sappiamo anche che tutti i signori responsabili dell'eccidio di via Fani, della morte di Moro e della sua scorta, sanno che noi sappiamo ! 
La risoluzione impegna il Governo a portare avanti la declassificazione dei documenti, molti coperti da un segreto di Stato di Stati esteri. Chiediamo anche il ripristino dell'Alfetta nella quale sono morti i tre poliziotti e l'esposizione al pubblico di quella Renault che per troppi anni è stata blindata. Quando, su alcune vicende che hanno interessato la vita politica del Paese, rimangono aperti troppi interrogativi, vuol dire che a quegli interrogativi il Paese non vuole dare risposta. Lo ha detto una donna presente qui per tanti anni, che ha pagato caramente l'aver cercato la verità: Tina Anselmi.
Concludo con Moro: forse il destino dell'uomo non è realizzare pienamente la giustizia, ma avere perpetuamente della giustizia fame e sete; è sempre un grande destino. Noi a questo destino crediamo, e per questo annunciamo il voto favorevole del gruppo del Partito Democratico.