Grazie, Presidente. Come hanno ricordato i colleghi prima di me, sui fatti concreti che videro realizzarsi la strage di oltre un milione di armeni nella Turchia del 1915-1917 non vi sono dubbi, né d'altra parte possono esistere dubbi, perché su quei fatti esiste ormai un largo consenso storiografico, costruito attraverso molti anni di studi, ricerche, confronti scientifici tra storici, tra l'altro, di diversa estrazione culturale e politica. Quei fatti ci dicono, per l'appunto, per ricordarli brevemente, che molte centinaia di migliaia di civili inermi e innocenti, all'incirca un milione e mezzo, furono deportati e massacrati nel corso di pochi mesi ad opera di una vasta serie di operazioni progettate e realizzate dal potere politico e militare della Turchia di quegli anni, dal cosiddetto Governo dei Giovani Turchi.
Come ha scritto Marcello Flores, che è lo storico italiano che con più impegno si è occupato di questi temi e i cui lavori mi permetto di suggerire ai colleghi, ma anche a chiunque fuori da quest'Aula avesse intenzione di approfondire l'argomento, il genocidio degli armeni è ormai entrato a pieno titolo nella storia del Novecento, perché quello che la comunità degli armeni nel mondo ricorda come il grande male, come è stato detto poco fa, fu effettivamente un genocidio e non una semplice strage degli innocenti. Questo perché le azioni di sterminio furono intenzionali, pianificate, rivolte esplicitamente contro un determinato gruppo etnico e religioso, anzi meglio, contro una determinata minoranza etnica e religiosa, perché tale era la comunità degli armeni, allora, nell'Impero ottomano.
Fu contro questa determinata minoranza etnica e religiosa messa in atto un'operazione che aveva l'obiettivo di cancellarla dalla mappa umana, culturale, politica, e quindi nazionale, della Turchia di quegli anni. Fu, dunque, un genocidio, secondo le Nazioni Unite il primo genocidio del XX secolo, e comunque uno dei numerosi genocidi che hanno costellato il XX secolo e che nella loro differenza, anche notevole, hanno sempre avuto un tratto comune, quello di essere stati rivolti - lo ripeto ancora una volta - contro minoranze etniche e religiose. Perché parliamo di questi fatti in quest'Aula parlamentare? Perché il popolo della Repubblica italiana, che noi qui rappresentiamo democraticamente, discute? Ha già discusso, in realtà, ma senza arrivare ad una soluzione così incisiva come quella che noi oggi ci prefiggiamo. Perché discutiamo di fatti avvenuti ormai oltre un secolo fa in un Paese lontano dal nostro?
Perché la memoria pubblica del genocidio armeno, e dunque il suo riconoscimento come genocidio, e non come effetto causale e non intenzionale, e quindi la sua commemorazione, il suo ricordo istituzionale, il suo posto nella consapevolezza pubblica della comunità internazionale di cui fa parte il nostro Paese e di cui fa parte anche la Turchia, tutto questo rappresenta da decenni, lo sappiamo, un tema divisivo e conflittuale tra la gran parte dei Paesi dell'Unione europea e la Turchia. Già nella scorsa legislatura, voglio ricordare, il Partito Democratico sottopose all'attenzione del Parlamento una mozione rivolta a riconoscere ufficialmente il genocidio degli armeni.
Lo stesso intendiamo fare in questa legislatura, insieme agli altri gruppi che presentano questa mozione, convinti come siamo che il riconoscimento e la commemorazione di quella tragedia siano un passo necessario e indispensabile sul cammino di avvicinamento della Turchia all'Unione Europea. Questo cammino di avvicinamento, lo sappiamo, può conoscere in questa fase storica un periodo di rallentamento, così come effettivamente conosce; un rallentamento dovuto a fatti politici interni da una parte all'Unione Europea e dall'altra alla Turchia. Ma resta vero che, per quanto distante o perfino impossibile possa apparirci talvolta il traguardo di una piena e formale adesione della Turchia all'Unione europea, vi debba essere chiarezza, anche ufficiale, sulle basi ufficiali di questa collaborazione, nel segno del pieno rispetto della diversità etnica e religiosa e nel segno del rifiuto della violenza e della sopraffazione come strumenti di risoluzione dei conflitti interni agli Stati.
D'altra parte, voglio sottolinearlo, non è in discussione neanche in questa sede l'amicizia nostra, di questo Parlamento e della Repubblica italiana nei confronti della Turchia. La Turchia è un grande Paese che nel corso dei decenni, per esempio, della guerra fredda ha assunto su di sé un'enorme responsabilità strategica a difesa dell'alleanza occidentale e la cui società civile manifesta anche oggi una grande articolazione politica e culturale insieme ad una tenace vitalità, di cui fanno fede, tra l'altro, le recenti elezioni municipali che si sono svolte in quel Paese. E all'attenzione dei rappresentanti ufficiali della Turchia ci permettiamo di sottolineare questo punto: sarebbe un errore leggere il formale riconoscimento del genocidio degli armeni da parte di questo Parlamento come un atto ostile verso la Turchia, perché la storia del Novecento, tra l'altro, è ricca di esempi che ci raccontano di come grandi Paesi europei e non europei abbiano saputo affrontare a viso aperto la responsabilità di spaventosi atti di barbarie compiuti da Governi precedenti di quegli stessi Paesi.
Una responsabilità che si iscrive appieno nella storia nazionale di quei Paesi anche quando i Governi che ne sono stati protagonisti sono caduti o sono stati sostituiti da Governi di altro colore politico o di più ampia legittimazione democratica, senza per questo rendere quelle storie, quella storia nazionale meno onorevole, perché, d'altra parte, ogni storia nazionale è fatta di ombre e spesso di ingiustizie scritte con il linguaggio della violenza e del sangue, senza per questo rendere quella storia nazionale meno autentica e meno onorevole. Al contrario, l'assunzione piena e trasparente della responsabilità delle tragedie del passato rappresenta un passaggio, per così dire, di liberazione della memoria pubblica, indispensabile a stabilire un rapporto finalmente risolto con la propria storia nazionale.
Si pensi, per esempio, alla Germania, naturalmente, ma anche e soprattutto al nostro Paese, l'Italia, laddove l'Italia democratica e repubblicana nata dalla Resistenza antifascista ha saputo affrontare il grande e doloroso tema delle responsabilità che un numero molto ampio di italiani ha portato su di sé per gli spaventosi crimini etnici e politici compiuti nel corso degli anni del regime fascista ad opera dei Governi di Benito Mussolini.
C'è però un altro aspetto, in conclusione, colleghi, che oggi ci spinge a ricordare e a discutere il genocidio degli armeni, proprio in quest'Aula, perché sarebbe inutile ricordare quella tragedia senza ricordare, allo stesso tempo, le ragioni politiche e culturali che condussero a quei fatti tanto tragici, sarebbe inutile e, aggiungo, persino ipocrita, soprattutto in un Parlamento democratico come il nostro. Perché sarebbe inutile e ipocrita? Perché tacere sulle ragioni di quella tragedia sarebbe inutile, soprattutto, di fronte a una mozione trasversale come quella che noi oggi discutiamo, una mozione trasversale a gruppi di opposizione e di maggioranza, perché in questa trasversalità io credo che ci sia l'occasione per condividere, anche tra gruppi politici diversi, la consapevolezza dei rischi e delle conseguenze di fattori storici, come quelli che furono alla base del genocidio degli armeni.
Come ogni evento storico, d'altra parte, anche il genocidio degli armeni non può essere davvero compreso, riconducendo ad una sola causa le ragioni che condussero a quei fatti. Il genocidio degli armeni fu l'esito di una storia precedente, fatta di conflitti e intolleranza, così come fu l'esito di una congiuntura storica nella quale agirono fattori internazionali, attori interni, insieme alla grande, nefasta occasione della grande guerra; anche in quel caso, lo ricordo, la guerra fu occasione per uno sterminio di massa, come sarebbe accaduto quasi trent'anni dopo nella Germania nazista e come spesso è accaduto in altri scenari di massacri etnici e religiosi.
Ma sullo sfondo di questa complessità di contesto, di fattori e di nessi causali, c'è certamente un fattore che più di altri può essere riconosciuto come fondamentale, in quanto motore di quel genocidio, quel fattore fu la pretesa di rendere la Turchia di quegli anni una nazione omogenea dal punto di vista etnico e religioso. Il massacro degli armeni fu soprattutto l'esito di una vasta operazione politica, militare e criminale, perché furono utilizzati anche gruppi di criminali, realizzata in base al principio dell'etnonazionalismo, ovvero in base alla pretesa di espellere dalla comunità nazionale turca una minoranza etnica e religiosa che il potere politico di quegli anni considerava estranea e pericolosa per la sua stessa natura etnica e religiosa.
Perché questo fattore ci riguarda, cari colleghi? Non si tratta forse di fatti tragici avvenuti più di un secolo fa, in un Paese lontano da noi? Non è così, quel fattore, quel fattore causale, l'etnonazionalismo, ci riguarda perché la politica italiana di questo preciso periodo storico, il periodo che noi tutti stiamo vivendo, anche in questo Parlamento, ha visto il potente ritorno dell'etnonazionalismo come strumento di lotta politica interna e internazionale. E, allora, è nostro dovere, mentre discutiamo insieme, trasversalmente, la tragedia del genocidio degli armeni, ricordare i rischi dell'etnonazionalismo, ovvero i pericoli che derivano, non solo dalla pretesa di porre un gruppo etnico e religioso sopra altri gruppi etnici e religiosi, ma soprattutto i pericoli che derivano dall'obiettivo dell'omogeneità etnica e religiosa, laddove esistono minoranze, perché quell'obiettivo, l'obiettivo dell'omogeneità, l'obiettivo etnonazionalistico, non può che essere raggiunto attraverso gradi diversi di intolleranza, sopraffazione e, spesso, violenza. Allora, dobbiamo ricordare che il genocidio degli armeni fu condotto al grido di qualcosa che potremmo tradurre, nel linguaggio dell'Italia del 2019, con la frase: “prima i turchi”, ovvero, prima, un'etnia e un gruppo religioso e, poi, tutti gli altri.
La discussione che stiamo iniziando qui, oggi - e mi avvio alla conclusione -, la discussione che auspicabilmente condurrà alla votazione, che realizzeremo in questi giorni in modo trasversale tra i gruppi politici, di questa mozione è dunque un'occasione perché ognuno di noi sia ammonito sui rischi dell'etnonazionalismo, sui pericoli di una retorica del primato nazionale, etnico e religioso, perché è vero che niente nella storia si ripresenta nelle stesse identiche fattezze, per carità, ma quello che rimane in filigrana è spesso che la storia si ripresenta con un identico motore, soprattutto con un identico motore dei fenomeni come il genocidio. Quel motore si chiama intolleranza, pregiudizio, razzismo, aspirazione all'omogeneità etnica, persecuzione su basi etniche, religiose o culturali. Se è vero che nessun fenomeno storico è uguale a se stesso, è altrettanto vero che quella retorica del primato cova dentro di sé l'intolleranza e la violenza che noi oggi vogliamo ricordare e commemorare ricordando il genocidio degli armeni.