Data: 
Martedì, 9 Agosto, 2022
Nome: 
Antonio Viscomi

Non l'avevano potuto controllare e, comunque, in ogni caso non era persona contattabile e, quando un magistrato non può essere controllato, quando non può essere contattato, la sua condanna, signor Presidente, arriva inesorabile. Persona non contattabile: è proprio in questo tratto caratteristico e nell'oggettiva connessione con il maxiprocesso palermitano che il collaboratore di giustizia Leonardo Messina ha individuato fin da subito la ragione di fondo della terribile esecuzione del giudice Antonino Scopelliti, primo magistrato di Cassazione ad essere ucciso dalla volontà convergente di mafia siciliana e 'ndrangheta calabrese. Troppo grande - scrivono i giudici della corte di assise di Reggio Calabria nella sentenza del 1996 -, troppo grande sarebbe stato il danno di immagine derivante dalla percezione di una mafia perdente nelle aule giudiziarie.

D'altronde che Antonino fosse persona non contattabile, i mafiosi lo sapevano fin troppo bene, avendone saggiato almeno nei processi Chinnici e Basile le doti personali e professionali e avendo potuto prendere atto, in più occasioni, dell'aperto contrasto con l'approccio a loro usuale della prima sezione penale della Corte di cassazione, apparentemente garantistico, ma, in realtà, semplicemente formalistico, come sempre capita quando - per usare le stesse parole del giudice, scritte in un saggio del 1975 - il cavillo fa aggio sul diritto. Non si faccia, però, l'errore imperdonabile di confinare l'esperienza professionale di Scopelliti nell'esclusiva area del contrasto alla criminalità organizzata; basti considerare che più di 1.500 furono i processi seguiti nel solo periodo passato in Cassazione e fra questi anche i maggiori processi per terrorismo; da quell'osservatorio indubbiamente privilegiato, Antonino Scopelliti è stato veramente al centro delle intricate vicende che hanno intessuto le trame della vita collettiva del nostro Paese e da quell'osservatorio ha potuto maturare un'idea di politica giudiziaria che, ancora oggi, merita di essere condivisa.

Segnalo solo due profili di interesse; il primo è che senza organizzazione non vi è giurisdizione; scriveva nel 1975: un'organizzazione non adeguata rende vittima - cito le sue parole - il cittadino qualunque indifeso e impotente. Il secondo è che ragione e senso della giurisdizione stanno nella Costituzione; scriveva nel 1987: il giudice che opera al di fuori o va oltre o non realizza questo messaggio della Costituzione finisce inevitabilmente per tradire l'unico vero ruolo politico che il suo mandato gli attribuisce. Il giudice se tale è, se cioè non è contattabile, è sempre solo, non può che essere solo nell'esercizio della sua funzione, solo - come ha scritto - con le menzogne cui ha creduto, le verità che gli sono sfuggite, solo con la fede cui si è spesso aggrappato come naufrago, solo con il pianto di un innocente e con la perfidia e la protervia dei malvagi. Ma proprio per questo il buon giudice, nella sua solitudine, deve essere libero, onesto e coraggioso. Essere solo è, dunque, elemento costitutivo dell'essere giudice.

Essere solo, Presidente, e concludo, non significa però essere isolato. A ciascuno di noi, il compito di impedire che la solitudine necessaria del giudice si trasformi, ancora oggi, in isolamento. Per questo alla domanda: tu da che parte stai? Credo che la risposta migliore che ciascuno di noi possa dare sia ancora oggi: io sto dalla parte di Antonino Scopelliti.