A.C. 3272-A
Signor Presidente, Governo, colleghe e colleghi, questo pomeriggio svolgiamo una discussione importante e significativa, che dà concretezza e realizza, ancora una volta, come tante altre in questi due intensi anni di lavoro parlamentare, la valenza costituente della legislatura in corso. Si tratta del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, come non a caso è stato rinominato in luogo dell'espressione «servizio pubblico generale radiotelevisivo», vecchia ed evidentemente non più rappresentativa delle forme e degli strumenti comunicativi e informativi moderni.
La riforma organica e complessiva del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, che in questa sede affrontiamo e di cui ci apprestiamo a definire la governance, rappresenta un altro passo in avanti nel percorso di modernizzazione del Paese, nella promozione di tutti quegli elementi di sistema che ci mettano nelle condizioni di aggiornare le forme, gli spazi e i tempi per acquisire maggiore consapevolezza rispetto ai diritti, ai doveri e alle prerogative che derivano dall'essere cittadine e cittadini italiani ed europei.
Non ci sfugge, al riguardo, il primato che la TV continua a esercitare nel nostro Paese. Nel 2014 il tempo medio trascorso dagli italiani ogni giorno davanti alla TV ammonta a 4 ore e 20 minuti, in aumento di 4 minuti e 42 secondi al giorno pro capite rispetto al 2008. Siamo secondi solo agli Stati Uniti. Il 70 per cento dell'opinione pubblica si forma innanzi alla TV. La RAI risulta a tutt'oggi, e nonostante il web, il principale operatore televisivo, raggiungendo ancora il 40 per cento degli ascoltatori totali.
Ma, in ambito alla nostra riflessione, rappresentano e devono rappresentare elementi significativi anche i dati che attengono al progressivo aumento dei fruitori di contenuti streaming e alla diminuzione di coloro che, rispetto al passato, continuano a vedere la TV. Secondo l'ultimo studio di Ericsson «TV & Media 2014», nel raffronto 2014-2013, sono rispettivamente 7 punti percentuali in più per i fruitori di contenuti streaming e 11 punti percentuali in meno per i fruitori di contenuti attraverso la TV tradizionale.
La riforma di cui discutiamo rappresenta, nel contempo, un altro passo in avanti per costruire nuovi livelli e differenti opportunità di competitività del made in Italy nel mondo, investendo e scommettendo sulle potenzialità attrattive del brand Italia e sulle competenze dei nostri giovani talenti – che possiamo spendere nel campo, fra gli altri, della produzione di contenuti da proporre attraverso i tradizionali strumenti televisivi e radiofonici così come attraverso quelli multimediali –, con l'ambizione che un servizio pubblico riorganizzato possa imprimere una positiva accelerata a tutta l'industria audiovisiva italiana e superare in tal modo quella sorta di tabù per cui l'Italia riesce ad esportare tutto, eccetto la propria capacità di raccontare e di intrattenere.
Non mi soffermerò sulla discussione «servizio pubblico sì o servizio pubblico no». Attraverso questo intervento legislativo e, ancor di più, considerate le linee guida sulla riforma RAI, approvate qualche mese fa dal Consiglio dei ministri, abbiamo già espresso e manifestato il nostro punto di vista: servizio pubblico sì; più servizio pubblico sì; un altro servizio pubblico sì, a condizione, quindi, che il servizio pubblico ripensi se stesso e che noi lavoriamo, come vorremmo fare e come stiamo facendo anche oggi, a questo ripensamento, considerato il cambiamento strutturale del mercato, del contesto normativo televisivo, i gusti e le aspettative degli italiani, l'innovazione tecnologica, che ha moltiplicato le piattaforme e i canali di trasmissione e di ricezione, garantendo quell'accesso universale che in passato giustificava il monopolio statale in materia di trasmissioni televisive, e da ultimo, ma non certo per importanza, un sistema sociale e culturale profondamente modificato rispetto a trent'anni fa quanto a soggettività protagoniste, organizzazione del lavoro e dei lavori, livelli formativi, culture, razze, tendenze sessuali. Giusto per citare alcune valenze del mosaico culturale che oggi è diventato il nostro Paese, rispetto a cui il servizio pubblico, sicuramente il servizio pubblico che noi abbiamo in mente, vuole assolvere a bisogni informativi, di intrattenimento ed educativi.
Siamo consapevoli – e la direzione che stiamo provando a imboccare attraverso questo intervento legislativo lo dimostra – che il servizio pubblico debba darsi nuova legittimazione attraverso rinnovati obbiettivi, missione e valori. E, attraverso il disegno di legge di cui oggi discutiamo, tracciando un nuovo modello di governance, stiamo, di fatto, scrivendo la prima pagina del servizio pubblico che abbiamo in mente, rispetto al quale, attraverso un approfondito confronto parlamentare, come quello avvenuto – per quanto ci riguarda – qui alla Camera, e partendo dalle linee guida già approvate, definiremo, prima di procedere al rinnovo della concessione del servizio pubblico, il nuovo perimetro dello stesso, arricchendolo, come premesso e come risulterà dalla discussione in Parlamento e nel Paese, di contenuti all'altezza del Paese che siamo e che vorremo tornare a essere.
Entrando nel merito del provvedimento, come ho già avuto modo di sottolineare e come ha bene rappresentato la relatrice, onorevole Bonaccorsi, intervenire sulla governance del servizio pubblico della RAI non attiene alla parte meno importante della riforma, ma è la risposta alla necessità di riorganizzare e rilanciare il servizio pubblico tenendo insieme una serie di elementi che il dibattito pubblico e politico di questi anni ha promosso come fondamentali: la qualità dei prodotti e dei contenuti; l'accesso a una informazione corretta, la libertà di espressione, la rappresentatività e il pluralismo, quali diritti di cittadinanza irrinunciabili; i costi del servizio in uno scenario con risorse pubbliche ridotte; gli ascolti e il mercato; l'autonomia economico-finanziaria e la garanzia di risorse certe; l'indipendenza e la trasparenza.
In altri termini, si tratta di tutti quegli elementi che fanno del servizio pubblico italiano – ma, più in generale, di tutti i sistemi di servizio pubblico – asset fondamentali delle democrazie europee e insieme aziende che operano dentro il mercato e secondo le regole del mercato. Sono questioni cruciali, che vengono richiamate da diverse sentenze della Corte costituzionale e dalla relazione annuale 2014 dell'Agcom. Sono questioni alle quali noi cerchiamo di dare risposta impostando un nuovo sistema di governance e, in tal senso, interveniamo sugli articoli 49 del decreto legislativo n. 177 del 2005 e 4, primo comma, della legge n. 103 del 1975, con l'ambizione di esaltare le performance dell'azienda RAI, definendo un'organizzazione gestionale improntata all'efficienza e all'economicità (l'amministratore delegato e il CDA che gestiscono, decidono e concorrono alle decisioni in maniera efficace, veloce e assumendosi una responsabilità precisa, misurabile e perseguibile); la certezza delle risorse finanziarie attraverso una rivisitazione del sistema del canone, nell'ottica della semplificazione e riduzione dell'evasione nonché di una maggiore perequazione sociale, come ci chiede l'Agcom, con l'assoluta consapevolezza della rilevanza del servizio pubblico rispetto alla vita democratica del Paese e, quindi, della conseguente necessità, che la governance dello stesso si profili rispettosa di quanto in diverse pronunce ci ha chiesto, come dicevo poc'anzi, la Corte costituzionale, in particolare in relazione alla garanzia di un forte collegamento fra il servizio pubblico e il Parlamento, quale maggiore espressione della collettività nazionale.
Al raggiungimento di questa finalità, corrisponde la nuova previsione relativamente alla nomina dei componenti del consiglio d'amministrazione. Non più nomina effettuata a carico dei quaranta parlamentari della Commissione di vigilanza che, nel disegno di legge che esaminiamo, torna a esercitare i suoi compiti originari, ossia indirizzo generale e, appunto, vigilanza, ma su sette componenti, ben quattro componenti di nomina parlamentare.
E, riguardo ai nuovi requisiti per la scelta dell'amministratore delegato e dei componenti del consiglio d'amministrazione e alle modalità di scelta degli stessi, ritengo che abbiamo imboccato la strada giusta: rappresentanza equilibrata dei generi e dei profili professionali, inserimento, accanto ai requisiti di prestigio, competenza professionale, indipendenza di comportamenti, del requisito dell'onorabilità, che poi si declina in una serie di previsioni sul conflitto di interessi, le incompatibilità e le impossibilità ad essere nominati. Inoltre, si prevedono procedure di selezione attraverso candidature pubbliche, chiari e definiti compiti di gestione del consiglio d'amministrazione e dell'amministratore delegato, un forte controllo sociale sull'operato del consiglio d'amministrazione attraverso gli strumenti di cui al piano per la trasparenza e la comunicazione aziendale.
Mi pare chiaro che si profili, già sulla base della nuova governance di cui oggi discutiamo, l'altro servizio pubblico che abbiamo in mente, con l'auspicio che quel pluralismo culturale che ci caratterizza e che rappresenta una delle nostre potenzialità non completamente espresse possa diventare valore aggiunto e ricchezza. Penso, al riguardo, alla multiculturalità italiana, sia con riguardo alle peculiarità regionali, in particolare quelle dove sono presenti forti identità con marcate tendenze autonomistiche, che si esprimono, fra le altre cose, in preziosa varietà linguistica, sia relativamente all'opportunità di rappresentare al meglio la nuova geografia sociale e culturale del nostro Paese che ci interroga e ci sfida a rappresentare al meglio e riconoscere le diverse tradizioni culturali e religiose.
Insomma, un servizio pubblico che supporti il radicamento della cultura europea ed euro-mediterranea, sfruttando il suo ruolo di principale industria culturale, non solo italiana, ma anche europea. Un servizio pubblico che in tal senso torni a fare e a farsi Paese.