Data: 
Martedì, 16 Dicembre, 2014
Nome: 
Marco Causi

Grazie Presidente. Mi permetta, Presidente Boldrini e Presidente del Consiglio dei ministri, di cominciare con questa osservazione: a me sembra ancora insufficiente in Italia, la comprensione della storica e profonda battaglia politica che è in corso in Europa. Tre schieramenti si confrontano in Europa: da un lato, i popolari, ma soprattutto i Paesi del nord, che sostanzialmente dicono che va tutto bene così; poi, gli antieuropeisti, il cui richiamo politico-demagogico cresce a vista d'occhio con la crisi e con la disoccupazione; poi i socialisti e i democratici, che vogliono un'Europa migliore, più orientata alla crescita e all'occupazione. 
  Il Governo Renzi è la punta di diamante di questo terzo schieramento, anche perché altri grandi partiti socialisti di grandi Paesi europei sono andati male alle ultime elezioni (penso a Francia, Spagna, Regno Unito). Attenzione, quindi, a indebolire questo Governo italiano. Dovrebbe, anzi, essere interesse nazionale restare il più possibile uniti nel rappresentare all'Europa le proposte italiane. 
  Le posizioni di chi è sceso in piazza qualche giorno fa, pur legittime e da rispettare, sono prive di sbocco politico, a meno di non scegliere di andare a ingrossare le fila dell'antieuropeismo. 
  Autolesionista, mi sembra, la posizione dell'onorevole Brunetta, che manda lettere a Bruxelles contro il Governo del suo Paese. Lo scontro politico interno è il sale della democrazia, ma nel difficile passaggio storico d'Italia e d'Europa, a sette anni dall'inizio della crisi, dovrebbe valere sempre più l'idea che right or not, it's my country, sbagliato o giusto è il mio Paese. 
  La battaglia è in corso in tutti i campi. Pensiamo, ad esempio, alla politica monetaria. Il presidente della Bundesbank rilascia interviste ai grandi quotidiani di opinione, italiani e francesi, portando i suoi argomenti contrari al quantitative easing, all'acquisto di titoli pubblici sui mercati secondari da parte della Banca centrale europea. 
  Ieri il Governatore Visco era qui alla Camera in audizione e lo abbiamo sollecitato a fare altrettanto. Abbiamo sollecitato il Governatore della Banca d'Italia a fare interviste ai grandi quotidiani tedeschi e ci ha risposto, giustamente, che nei prossimi giorni lo farà, anche perché, come ci ha detto ieri il Governatore Visco in audizione, se le nuove informazioni sull'inflazione confermeranno la persistenza o, addirittura, l'aggravarsi dei rischi per la stabilità dei prezzi nell'area euro, «occorrerà avviare con tempestività», sono sue parole, «ulteriori interventi di acquisti di titoli su larga scala, al fine di riportare le dimensioni del bilancio dell'Eurosistema sui livelli desiderati». 
  Deflazione e bassa crescita sono un cocktail esplosivo per la sostenibilità degli elevati debiti sovrani. 
  E se questo è certamente e prima di tutto un problema dell'Italia, che deve mantenere massima attenzione all'equilibrio del suo bilancio pubblico, è però un problema anche per l'Europa, perché l'insostenibilità dei debiti sovrani dell'area euro genera un rischio sistemico di instabilità finanziaria per tutta l'Unione. E lo stesso Weidmann nelle sue interviste ammette che il quantitative easingsui titoli sul mercato secondario, fra virgolette, non è vietato. Anche questo è un passo avanti perché l'anno scorso da parte di quegli ambienti tedeschi c'era stato invece, come ricorderemo, il ricorso alla Corte costituzionale di Karlsruhe. 
  C’è poi il campo di più stretta competenza dei Governi e della Commissione. Accanto alle politiche strutturali di riforma, su cui l'Italia sta correndo come mai negli ultimi anni, è necessario affiancare politiche di sostegno della domanda aggregata con diverse dimensioni: primo, più flessibilità per i bilanci pubblici nazionali; secondo, espansione della domanda nei Paesi, come la Germania, che mostrano rilevanti squilibri macroeconomici sotto forma di eccessivi avanzi di bilancia dei pagamenti; terzo, politiche europee per la crescita e per l'occupazione. 
  Solo la miopia e il provincialismo della lotta politica interna possono sottovalutare i risultati ottenuti lungo il semestre di Presidenza italiana: un'apertura sul primo punto e un primo passo, il piano Juncker, sul terzo punto – è chiaro che la battaglia dovrà continuare fin dal prossimo Consiglio europeo e poi anche dopo la fine del semestre a guida italiana –, sulla flessibilità dei bilanci nazionali con la riforma di come viene calcolato l’output gap, un punto giustamente messo in agenda dall'iniziativa italiana e del Ministro dell'economia Padoan, sugli squilibri macroeconomici, mettendo la Germania di fronte alle sue responsabilità e ricordando anche i 250 miliardi di euro che quel Paese ha speso a carico delle casse pubbliche e, quindi, aumentando il suo debito pubblico e quello dell'intera Unione per salvare le sue banche. Salvataggi per 250 miliardi di euro che sono stati fatti prima che arrivasse la nuova regola europea del meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie con il bail-in, perché oggi quei salvataggi delle banche fatti in Germania sarebbero illegittimi secondo le nuove regole europee, perché non è stata richiesta la compartecipazione al settore privato, diversamente, ad esempio, da quanto accaduto a Cipro. 
  Anche la Germania, insomma, ha dei bei compiti da fare a casa, da un lato, per fare la sua parte nell'aggiustamento degli squilibri reali all'interno dell'Unione e, dall'altro lato, per riflettere sul ruolo che l'espansione così rilevante del suo debito pubblico per il salvataggio delle sue banche ha avuto nell'indebolire le prospettive finanziarie dell'intera Unione. 
  Sulla terza questione, quella delle politiche di dimensione europea, il piano Juncker è un primo passo, ma va rafforzato e completato, come anche poco fa ha detto il Presidente del Consiglio Renzi: applicare la golden rule agli investimenti del piano, sia dal lato dei contributi degli Stati al nuovo Fondo europeo per le infrastrutture strategiche sia dal lato dei cofinanziamenti nazionali, rafforzare gli strumenti esistenti, come la Banca europea degli investimenti, completare poi le altre gambe delle politiche dell'Unione, procedere verso un'autentica unione dei mercati dei capitali, completando l'unione monetaria con quella finanziaria, costruire una più solida capacità fiscale europea a beneficio di un bilancio dell'Unione capace di contribuire strutturalmente agli investimenti e all'assorbimento degli shock reali asimmetrici, a partire dalla disoccupazione. 
  Fra i risultati del semestre, non vanno poi sottovalutati quelli in campo tributario, come la spinta verso la fine del segreto bancario, con l'approvazione comunitaria dei nuovi common reporting standard e l'indirizzo impresso alla direttiva sull'armonizzazione fiscale. 
  Questa battaglia in Europa va continuata, ma bisogna anche sapere bene come si fa. Si fa con una decisa iniziativa culturale e politica, non con le urla, non con la demagogia, si fa come ha fatto Napolitano nella due giorni di Torino dedicata al confronto e al dialogo fra Italia e Germania, si fa con un Paese che, ferme le distinzioni politiche e anche la lotta politica interna, riesca a capire quando è necessario restare unito per difendere fondamentali interessi nazionali. 
  Voglio concludere, Presidente, dicendo al Presidente del Consiglio Renzi: continui così, come ha fatto in questi mesi, dopo che il risultato delle elezioni europee gli ha dato un ruolo così cruciale negli equilibri dell'Unione. Continui a fare gli interessi dell'Italia, perché, così facendo, farà anche gli interessi dell'Europa, che ormai è chiaro: o cambia o rischia uno storico tracollo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).