Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 6 Febbraio, 2017
Nome: 
Andrea Romano

A.C. 2-A

La ringrazio, Presidente, farò del mio meglio. La proposta di legge che discutiamo oggi – l'abbiamo già detto – è già stata ampiamente dibattuta ed emendata dalla Commissione e abbiamo deliberato – saggiamente aggiungo – nelle Commissioni, attraverso due emendamenti soppressivi la completa cancellazione del testo. La nostra è quindi di fatto una discussione su una scatola vuota, che però si rivela una discussione utile e necessaria, come stiamo già facendo, non solo per il rispetto allo sforzo di elaborazione che vi è dietro ma anche per rispetto alla partecipazione civica dei tanti cittadini che hanno firmato questa proposta di legge d'iniziativa popolare. Ricordo all'onorevole Di Stefano che il nostro attaccamento e il nostro rispetto a chi firma leggi di iniziativa popolare è talmente forte che avevamo proposto, con la proposta di riforma costituzionale, che le leggi di iniziativa popolare fossero obbligatoriamente discusse in Aula e invece in questo caso ci troviamo, appunto, volontariamente a discuterne. 
Ma, a parte questo, è importante questa nostra discussione perché questa proposta di legge è anche un'occasione per discutere di quanto sta accadendo proprio in queste settimane – mi viene da dire – intorno a noi, in Europa e nel mondo, perché all'inizio di questo percorso, nel 2008, quando il testo venne presentato per la prima volta in Parlamento, l'ispirazione originaria poteva apparire un'ispirazione nobilmente pacifista ed era appunto l'intenzione di ridiscutere radicalmente le alleanze strategiche del nostro Paese, accanto allo smantellamento di fatto di tutte le nostre strutture militari. Ma il tempo, trascorso dal 2008 a oggi, si è incaricato di chiarire che quello che allora poteva apparire come un afflato pacifista altro non era e altro non è oggi che un aspetto particolare e in forma italiana del cosiddetto fenomeno sovranista, quel fenomeno che ormai avvolge un po’ come una cappa l'intero Occidente, dagli Stati Uniti alle frontiere orientali del nostro continente, e che è mosso da un unico slogan, declinato però in diverse lingue: «padroni a casa nostra». Lo dice in inglese Donald Trump, lo dice in francese Marie Le Pen, lo dicono altri in tedesco, in polacco, in ungherese e lo dicono in italiano i tanti rispettabilissimi epigoni di Trump e della Le Pen: penso alla Lega, penso a Fratelli d'Italia, penso al MoVimento 5 Stelle, partiti politici che in Trump e nella Le Pen trovano i riferimenti internazionali visibili, capaci di indicare la strada che anche loro vorrebbero perseguire in Italia una volta conquistato eventualmente il potere. E quella strada non sarebbe altro che l'uscita dalle organizzazioni internazionali, politiche, economiche e di sicurezza per perseguire invece la via dell'isolamento nazionale. 
Ora, per la verità, il sovranismo, quello che noi ora chiamiamo sovranismo, non è che sia una scoperta particolarmente originale. Se guardiamo alla storia del nostro continente vediamo una lunghissima distesa di guerre, condotte in nome e per conto del sovranismo, proprio laddove il concetto stesso di sovranità è nato e cresciuto, cioè sul continente europeo. E proprio oggi, che siamo di fronte al revival di quell'idea, dobbiamo ricordare che la scomparsa della guerra dal nostro continente è un fenomeno relativamente recente, sostanzialmente introdotto nella seconda metà del Novecento, una novità straordinariamente positiva, dovuta però non certo ad un miracolo divino, ma alla concreta capacità delle nostre classi dirigenti di puntare sull'integrazione sovranazionale, sia in campo comunitario – come nel caso dell'Unione europea – che nel campo della sicurezza, per l'appunto con l'Alleanza atlantica. 
Allora, la domanda che dobbiamo porci è la seguente: è possibile tornare indietro sulla strada della storia ? È possibile che un percorso, per l'appunto relativamente recente, di cooperazione internazionale venga ribaltato nel suo contrario, in modo da tornare all'idea di nazione e di nazionalismo che i nostri nonni e i nostri padri hanno, purtroppo, conosciuto sulla propria pelle ? Certo che è possibile, perché la storia non è, purtroppo, una strada a senso unico che conduce inevitabilmente a maggiore pace, maggiore sicurezza e maggiore cooperazione. Al contrario, la storia è apparsa spesso con le fattezze che le attribuì Walter Benjamin quando scrisse che «la storia – appunto – è un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui, però, fissa lo sguardo con il viso rivolto al passato». E noi, come la storia, dobbiamo fissare bene il passato per non ripeterne gli errori e gli orrori. 
Dunque, è già accaduto – e molte volte – che la storia facesse importanti passi indietro, spesso dagli esiti catastrofici e ciò potrebbe accadere ancora. Basta, però, esserne consapevoli, almeno tra di noi e di fronte al Paese, essere consapevoli, cioè, di quali sarebbero i prezzi da pagare e le conseguenze possibili se scegliessimo di tornare indietro a soluzioni già adottate in passato. Quando parliamo di sovranismo cerchiamo, dunque, di non dimenticare cosa ha concretamente rappresentato una particolare declinazione, per l'appunto sovranista, dello Stato in Europa e in Occidente e, quindi, quali prezzi umani, economici e culturali ha comportato, quante vittime in carne e ossa è costato, quali catastrofiche conseguenze ha lasciato sulla vita concreta di generazioni di europei. Infatti, da un lato esiste la rappresentazione sovranista di una solitudine nazionale che non può che entrare in conflitto, prima o poi, con altre solitudini nazionali, come è concretamente avvenuto per secoli attraverso le guerre che hanno flagellato il nostro continente; ma, dall'altro lato, c’è, invece, la difesa e la valorizzazione dell'interesse nazionale, dentro un quadro cooperativo e di integrazione internazionale che è poi la forma concreta che ha assunto il nostro interesse nazionale dopo la catastrofe della Seconda guerra mondiale. Questa seconda visione dell'interesse nazionale è quella che i nostri padri costituenti vollero mettere alla base della Repubblica italiana, con quell'articolo 11 della Costituzione, che ha ricordato l'onorevole Manciulli, che è sempre bene ricordare nel dettaglio quando parliamo di sicurezza, pace e guerra e che voglio ricordare anche qui: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». C’è qui una straordinaria lungimiranza dei costituenti che deriva da tre idee forti: il rifiuto della guerra di aggressione, la valorizzazione e la cooperazione internazionale, l'opportunità di una limitazione della sovranità allo scopo di garantire pace e giustizia. 
L'articolo 11 non è ispirato da una vocazione banalmente pacifista, come troppo spesso si dice e si sostiene, ma piuttosto dall'indicazione di un percorso storicamente fondato attraverso il quale garantire pace e sicurezza, un percorso costruito, per l'appunto, sulla cooperazione, sull'integrazione e sulla partecipazione del nostro Paese alle istituzioni multilaterali. Esattamente è questo spirito dell'articolo 11 che ci guida anche oggi, quando il mondo è attraversato da pericolose spinte verso il ritorno di un sovranismo angusto, isolazionistico e dunque carico di devastante potenziale di conflitti di ogni tipo. Possiamo davvero immaginare, come sostenevano i proponenti di questo testo, che l'Italia possa essere una penisola felice e isolata in mezzo al Mediterraneo in virtù della messa in discussione delle sue alleanze strategiche e dello smantellamento delle sue strutture militari ? A chi sogna la restaurazione di una piena, esclusiva e solitaria sovranità militare noi ricordiamo che l'Italia non è, né potrà mai diventare, una grande Svizzera, che peraltro è uno degli Stati più militarizzati del mondo, perché le condizioni per costruire una pace stabile e duratura si creano non nell'isolamento ma nella cooperazione internazionale in materia di difesa e di sicurezza, non nella precarizzazione ma nella stabilità e nella lunga durata dei trattati internazionali sottoscritti, che peraltro restituiscono un'immagine di affidabilità a un Paese, come l'Italia, che purtroppo nella sua storia è stato conosciuto per motivi esattamente opposti. Queste condizioni si creano non «nell'etica dello struzzo» ma grazie a patenti e internazionali assunzioni di responsabilità (penso, per esempio, alla missione UNIFIL in Libano). 
Infine, voglio dire all'onorevole Di Stefano, che però non vedo ma glielo dico lo stesso, che queste condizioni si creano anche attraverso la riforma delle istituzioni multilaterali di cui si è parte e l'Italia è impegnata nella riforma della NATO, come ha ricordato il collega Manciulli. Ma dobbiamo anche ricordare che l'articolo 12 del Trattato atlantico non prevede, perché non potrebbe prevederlo, riforme unilaterali per cui un Paese si mette in testa di riformare un'istituzione e si procede alla sua riforma, ma prevede un percorso serio, concordato e, appunto, multilaterale di riforma in cui l'Italia è, appunto, pienamente parte. Dunque, la riforma è possibile, ma è possibile soltanto attraverso strumenti seri e condivisi e non certamente attraverso la proclamazione di parole d'ordine. 
Ed è proprio su questa base – e mi avvio alla conclusione, Presidente – che l'Italia repubblicana, con la sua Costituzione e con le sue leggi, ha davvero svolto in questi anni una prudente, paziente e rispettosa azione di costruzione della pace nel mondo. E tra l'altro, se c’è un partito che ha preso sul serio la questione delle servitù militari è proprio il PD, perché nel corso di questa legislatura il Partito Democratico non solo ha avviato, per la prima volta, un'indagine conoscitiva presso la Commissione difesa, ma ha anche – come sviluppo di questa iniziativa – costituito la Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell'utilizzo dell'uranio impoverito, che sta svolgendo un prezioso lavoro proprio finalizzato alla tutela ambientale e della salute sia dei militari operativi nelle basi sia dei cittadini che vivono nelle immediate vicinanze. 
È così che le istituzioni fanno il loro dovere e si assumono le proprie responsabilità verso i cittadini; non attraverso leggi manifesto, il cui unico effetto sarebbe la precarizzazione dei trattati e delle alleanze internazionali, la produzione di incertezza nel diritto internazionale e un generale incremento di instabilità, di cui obiettivamente non si sente il bisogno.