A fine marzo fu chiaro che il +1% di crescita del Pil previsto dal governo per il 2019 non si sarebbe mai realizzato: le stime più ottimistiche davano al massimo lo 0,2%. Da qui il crollo di tutte le storie raccontate fino a quel momento: le misure salvifiche tanto sbandierate - a cominciare da ‘quota 100’ e reddito di cittadinanza - non avrebbero smosso il Paese dalla stagnazione (se va bene) o recessione (più probabile) nella quale era precipitato. Ma niente paura: il governo M5S-Lega aveva la soluzione. “Approviamo un decreto - devono aver pensato alla Casaleggio - e chiamiamolo ‘Decreto Crescita’”. E così a inizio aprile il consiglio dei ministri approvò un testo frettolosamente definito “Crescita”. Ma per 25 giorni nessuno ne vide mai il contenuto. Solo il 30 aprile comparve magicamente in Gazzetta Ufficiale.
“Di quanto aumenta la crescita del Pil nel 2019?” chiedemmo in quei giorni. “Dello 0,05%”, rispose il governo (e lo ha scritto nero su bianco nel Def 2019). Portiamolo in Parlamento e discutiamo, magari riusciamo a farne qualcosa di buono, o perlomeno a limitare i danni. Da allora sono passati 35 giorni. E ancora il governo è incapace di presentare al Parlamento un testo chiaro e definitivo di questo decreto. Poco fa, per l’ennesima volta, il governo ha dichiarato di non essere pronto, e ha rinviato i lavori delle commissioni competenti (Bilancio e Finanze) a lunedì.
Nel frattempo non dovrebbe suscitare particolare stupore il fatto che le crisi industriali non hanno soluzione, che aumentano i lavoratori che perdono il posto (i dati Istat ci confermano che dal giuramento del governo Conte ci sono 32 mila occupati in meno), che le prospettive di crescita del Pil siano sempre più deboli e che lo stato delle nostre finanze pubbliche si deteriori pesantemente. Perché questo accade quando un Paese, nei fatti, non è governato. La situazione sta sfuggendo rapidamente di mano. Sta per iniziare un’estate in cui andranno in scadenza decine di miliardi di titoli di Stato, e in cui - dati gli scambi più rarefatti - minimi movimenti di mercato possono provocare aumenti consistenti del costo di rifinanziamento del nostro debito pubblico. E, come conseguenza, pesanti ricadute sul nostro sistema bancario, che proprio ora cominciava a riprendersi.
Lo afferma Luigi Marattin, capogruppo Pd in commissione Bilancio della Camera.